E’
largamente diffusa, per non dire dominante, una certa idea sul mondo islamico: occorre
distinguere fra l’islam “integralista” o “fondamentalista” e l’islam cosiddetto
“moderato”. Di conseguenza occorrere cercare e realizzare il dialogo con l’islam
moderato, praticando l’”accoglienza” nei confronti dei musulmani moderati e
pacifici, in modo da isolare estremisti e fanatici. Corollari di questa tesi
sono poi, da un lato una valutazione del tutto infondata circa la presunta rispettiva
consistenza dei due islam (una esigua minoranza il primo, la larghissima
maggioranza il secondo); dall’altro lato, l’attribuzione, pregiudiziale, del
riconoscimento di “vero islam” a quello “moderato”, mentre il fondamentalismo
rappresenterebbe una interpretazione “distorta” e “aberrante” del Corano. Sui
due corollari tornerò nei prossimi post: per ora, mi soffermo sul corpo
centrale della tesi, la distinzione tra “moderati” e “fondamentalisti”.
E’
stato già notato – peraltro vanamente – che la qualifica di “moderato” è decisamente
mistificante, sul piano della geopolitica, in quanto viene attribuita ai
governi musulmani alleati dell’Occidente e in particolare degli USA, a
prescindere dalla reale posizione religiosa e talora in stridente contrasto con
questa. Il caso evidentemente più clamoroso è quello dell’Arabia Saudita, paese
arabo “moderato”, che è tuttavia la centrale dell’integralismo wahabita e che
finanzia movimenti jihadisti. Ma si può rilevare che lo stesso Saddam Hussein godette,
fino all’invasione del Kuwait nel 1990, della qualifica di “moderato”, perché alleato
degli USA, sebbene fosse già a capo di un regime dittatoriale ed evidentemente
non precisamente pacifico.
Il
punto cruciale è però un altro: che cosa dovrebbe fare veramente l’islam per
isolare i terroristi? Che cosa deve chiedere l’Occidente all’islam e ai singoli
musulmani per poter efficacemente e unitariamente combattere il terrorismo islamista? Che cosa,
infine, potrebbe veramente togliere al fondamentalismo il suo humus vitale?
Bene,
la risposta, a mio avviso, non è: un “islam moderato”, pacifico, benpensante,
solidale, umanitario. Tutte queste qualità – salvo la prima, piuttosto equivoca
– sono altamente apprezzabili e desiderabili, ma non decisive allo scopo
attuale. Ciò che invece occorrerebbe è un “islam laico”. Tra i pochissimi che
hanno colto il problema, c’è il rabbino Giuseppe Laras, in un intervento che ho
già menzionato ieri. Ne riprendo qui un passaggio cruciale:
“Cosa dobbiamo, sia a livello politico e
giuridico sia
a livello interreligioso, chiedere oggi ai più autorevoli teologi islamici nei
Paesi europei e arabi, anche a fronte della massiccia presenza demografica di
musulmani?
La prima domanda è la
seguente:
è possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima
propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi
occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello
di cittadinanza religiosa,
confliggente quest’ultimo con i valori occidentali e pericoloso per le comunità
cristiane ed ebraiche, che, in qualità di minoranze sarebbero esposte a
intolleranze e arbitrio? Se sì, come diffondere questa interpretazione e come
radicarla oggi in seno alle comunità islamiche? A questa domanda deve seguire
necessariamente la “reciprocità” nei Paesi islamici della piena libertà di
espressione, di stampa e di culto.”
Questa
domanda decisiva sulla laicità dell’Islam, purtroppo, non viene posta dalla
quasi totalità degli osservatori e commentatori italiani.
Monica
Lanfranco su “Riforma”, in un bell’articolo significativamente intitolato Laicità: l’unico antidoto al terrore, ha
rilevato due fatti sintomatici: in Italia è passato completamente sotto
silenzio il libro della la prima donna musulmana di dichiarata fede islamica che
ha preso parola pubblica contro l’integralismo religioso, la giornalista dissidente
Irshad Manji: My trouble with Islam.
“In Italia, come
sovente accade, . scrive la Lanfranco - il
libro non ha visibilità: non piace a destra per ovvi motivi e nemmeno a
sinistra, perché non inneggia alle colpe dell’occidente, ma anzi punta il dito
verso la religione delle ‘vittime’, l’islam, che per una parte della sinistra
italiana non è criticabile come l’ebraismo e il cattolicesimo, considerate
colonialiste e responsabili della reazione violenta dell’islam”.
Il
secondo fatto è l’analogo silenzio che ha circondato in Italia l’evento della Secular conference di Londra, che ha
visto riuniti anche musulmani laici, atei, agnostici.
Continua
la Lanfranco: “Quello che da anni dicono,
senza eco mediatica, le persone impegnate nel mondo musulmano laico, è che la
lotta contro la violenza fondamentalista si fa dando spazio alla laicità che,
con la separazione tra Stato e religione, garantisce l’affermazione dei diritti
umani, schiacciati da ogni teocrazia, che per sua natura è sempre
fondamentalista, sessista, omofoba e patriarcale.”
Queste
voci, preziosissime, non sono minimamente ascoltate, tantomeno rilanciate e
valorizzate dalla stampa e dal mondo politico italiano. Perché? Il motivo mi
pare evidente: è il drammatico deficit di laicità del nostro paese, dove l’opinione
pubblica sedicente “laica” è talora ancor meno laica, se possibile, di quella
dichiaratamente cattolica.
Come
notava a suo tempo Oriana Fallaci, il motivo sostanziale che porta la sinistra
italiana a giustificare o, comunque, a relativizzare gli orrori dell’integralismo
– quando non si manifesta addirittura una malcelata simpatia nei suoi confronti
– non sta tanto nel pregiudizio ideologico antiamericano e anti israeliano –
che pure esiste – ma in una sostanziale e inquietantissima sintonia: la
sintonia del settarismo, del pregiudizio, del conformismo. In una sola parola: l’opinione
pubblica che è dominante nel nostro paese, e in particolare nella sinistra, non
può rilevare nell’integralismo islamico il male da cui essa stessa è affetta e non
può chiedere all’islam ciò di cui essa stessa è gravemente deficitaria, lo
spirito critico laico. E’ molto meglio, è molto più tranquillizzante continuare
a raccontarsi la favola inutile dell’islam moderato.
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