Rispondo senza indugio
al prezioso intervento di Carlo Crescitelli, ospitato ieri su questo blog. Il
dialogo può essere proficuo – e rinnovo l’invito ad altri amici a dare il loro
contributo – proprio perché io e Carlo abbiamo competenze professionali
differenti. Carlo Crescitelli ha una formazione politologica, io ho una
formazione storica. Carlo adotta quindi modelli generalizzanti – il trans
culturalismo in tal caso. I modelli generalizzanti sono peraltro
imprescindibili anche per lo storico, come ha mostrato un autore che non mi
stancherò mai di citare e che è Max Weber, risolvendo positivamente il dibattito
tardo ottocentesco che contrapponeva scienze naturali e scienze dello spirito, o
meglio “storico-sociali”. Allo storico, tuttavia, tocca poi sottolineare la
peculiarità e la specificità dei fenomeni indagati. In questo caso si tratta,
oltre che naturalmente della specificità e peculiarità della situazione
odierna, soprattutto della specificità e della peculiarità dell’islam. Perché sarebbe
ipocrita negare che il problema di dialogo, di convivenza e di incontro/scontro
l’Occidente non ce l’ha con i cinesi – che pure sono numerosi ormai nelle
nostre città – e nemmeno con gli africani di religione cristiana, ma con gli
immigrati islamici, innanzitutto arabi o maghrebini, ma anche di altra etnia.
Si può richiamare la
imprescindibile individualità della situazione storica anche restando al
richiamo molto suggestivo che Carlo Crescitelli ha fatto a quella grandiosa
operazione “transculturale”, l’incontro fra la civiltà romana e quella dei
popoli germanici, da cui nacquero un medioevo tutt’altro che barbarico e la
stessa identità europea. Che cosa, però, consentì quell’incontro e quella
sintesi? Il maestro insuperato di ogni medievista, Gioacchino Volpe, usava una
formula lapidaria ed efficace, superando la sterile controversia fra “romanisti”
e “germanisti”: il Medio Evo, diceva (e quindi l’Europa stessa), nasce da una
grande sintesi romano-germanico-cristiana.
Mi permetterei di precisare ancor meglio la definizione del maestro, dicendo
che il Medio Evo e l’Europa sono il risultato di una sintesi romano-germanica su base cristiana. Ed oggi, superando
il retaggio antigiudaico che purtroppo imperversò anche nell’ambito di questa
operazione transculturale, dovremmo tutti riconoscere che il cristianesimo è a
sua volta, almeno sul piano storico, una corrente giudaica, una corrente giudaica
di successo potremmo dire. Per cui la formula più adeguata a definire l’operazione
transculturale che porta alla formazione dell’identità europea mi pare in
definitiva la seguente: una grande sintesi romano-germanica
su base ebraico-cristiana.
Fu quindi il cristianesimo l’elemento che rese
possibile l’incontro, la sintesi, l’operazione transculturale. Questo lascia
già emergere la drammaticità della situazione odierna, visto che la religione è
oggi non già fattore di incontro, ma, all’opposto, di lacerante divisione.
Restando al riferimento
storico adottato, si può osservare che esiste però un importante caso di una
popolazione germanica che ebbe, almeno inizialmente, nei confronti della
civiltà romana e della popolazione autoctona, un atteggiamento molto simile a
quello che hanno oggi il jihadismo e il fondamentalismo islamico nei confronti
dell’Occidente: questa popolazione non pensava affatto ad integrare o ad
integrarsi, ma solo a conquistare,
dominare e sottomettere. Sto parlando dei Longobardi, evidentemente. A differenza di altre popolazioni
germaniche, i Longobardi, prima della loro discesa in Italia, avevano avuto
solo sporadici contatti con l’Impero e con la civiltà romana: non avevano dato
soldati e tantomeno generali all’Impero, non avevano contribuito ad eleggere e
a deporre imperatori, non si erano insediati all’interno dei suoi confini, non
ne avevano avuto terre. Erano entrati in contatto con i Romani, probabilmente
fin dai tempi di Tiberio e poi durante le spedizioni di Marco Aurelio, solo per
combatterli ed esserne combattuti. Una condizione diametralmente opposta,
quindi, a quella, ad esempio, degli Ostrogoti, che fu invece la base del grande
progetto politico di Teodorico. Inoltre – ma è l’elemento decisivo – a differenza
di tutte le altre popolazioni germaniche, quando scendono in Italia i
Longobardi, o almeno la gran parte di loro, non hanno sposato il cristianesimo,
nemmeno nella variante ariana, e seguono ancora un culto pagano.
Per molto tempo, è
stata diffusa una “leggenda storiografica”, secondo cui, nei primi decenni di
dominazione longobarda, l’intera popolazione della penisola – o almeno di
quella parte di essa che fu oggetto della conquista longobarda - sarebbe stata
ridotta addirittura in condizione di schiavitù. Nessuno oggi sostiene più
questa tesi, non fosse altro per la difficoltà da parte di un popolo invasore
di centomila individui o poco più di tenere assoggettata in regime di schiavitù
una popolazione indigena molto più numerosa. E’ però certo che per alcuni
decenni la condizione di vita della popolazione romana fu durissima e non vi fu
alcun incontro, né multi, né trans-culturale con i dominatori germanici. Poi la
scena cambia radicalmente. Quando e perché? A partire dal 598, circa 30 anni
dopo la conquista, quando inizia la conversione dei Longobardi al cristianesimo
niceno, per iniziativa di papa Gregorio Magno e con il sostegno della regina
Teodolinda, sposa di Agilulfo. Il processo certamente non fu istantaneo, né
rapido, ma portò progressivamente all’avvicinamento tra le due popolazioni,
grazie anche al fattore decisivo di ogni operazione transculturale, che è dato
dai matrimoni misti, ora divenuti
possibili.
Va notato un
interessante aspetto specifico di questa grande operazione transculturale: a facilitare
la conversione di un popolo che aveva costitutivamente costumi guerrieri fu il
culto dell’Arcangelo Michele. Una figura, quella dell’Arcangelo con la spada,
capo delle schiere celesti, che evidentemente poteva colpire favorevolmente l’immaginazione
religiosa dei Longobardi, come testimoniano del resto i tanti siti – grotte e
chiese romaniche – legati a tale culto e risalenti all’epoca longobarda, che troviamo
nel Mezzogiorno interno e nell’area appenninica.
La situazione storica
suggerita da Carlo e, in essa, la vicenda specifica che mi sono permesso di
segnalare mostrano ciò che risulterebbe chiaro da qualsiasi altro esempio
storico: la religione è fattore primario
e decisivo nei rapporti di incontro/scontro fra civiltà diverse ed è alla base
delle civiltà stesse. Tutte le maggiori civiltà sono fondate su una grande
religione. Purtroppo, questo dato è disconosciuto e mistificato da molti
occidentali. Certamente, questo disconoscimento del ruolo della religione è un
effetto collaterale della secolarizzazione, un elemento costitutivo dell’identità
occidentale moderna. Si tratta, però, di un colossale equivoco: la
secolarizzazione stessa ha origine dalla storia della religione e nasce nell’ambito
del cristianesimo. Più specificamente è frutto della Riforma protestante.
Negare, quindi, l’importanza decisiva della religione nelle dinamiche attuali
dell’occidente, dell’islam e dei loro rapporti sarebbe come negare l’importanza
del latino nella genesi della lingua italiana e affermare che con l’italiano “il
latino non c’entra nulla”! Dato che ho l’abitudine di dire le cose in modo
diretto, aggiungerò che questa idea della irrilevanza o rilevanza marginale del
fattore religioso è frutto solo di grande ignoranza.
E’ proprio questo,
allora, che rende così problematica la questione del rapporto fra Occidente e
Islam: da un lato, il fondamentale fattore all’origine dell’incontro e della
sintesi fra culture diverse agisce oggi come elemento drammaticamente divisivo;
dall’altro, questo fattore viene disconosciuto da molti, il che non aiuta
affatto, evidentemente, a operare una corretta analisi della situazione.
Potremmo chiederci: è
comunque possibile un processo transculturale senza una fusione religiosa,
senza conversioni di massa, nel rispetto delle reciproche fedi? Temo che proprio
questa domanda sia tutta interna alla civiltà occidentale e sia invece largamente
estranea – la domanda stessa, non la risposta! - a quella islamica. Una operazione del genere
comporterebbe l’acquisizione di una visione laica del mondo o, quantomeno, dei
rapporti fra sfera religiosa e sfera civile, legge morale o religiosa e legislazione
civile, luoghi pubblici e luoghi della fede, stato e istituzioni religiose (che
siano la chiesa, la sinagoga o la moschea).
Ma è proprio questo il cuore del “problema-islam”, come
cerco di dire fin dalle prime pagine di questo blog, da oltre due anni e dai
tempi di Charlie Hebdo: l’inesistenza o
l’assoluta marginalità di una cultura laica nel mondo islamico. Agli
islamici “moderati” o “pacifici” bisognerebbe chiedere non già la formale
dissociazione dal “terrorismo” – un rituale ormai stucchevole ed ipocrita – ma una
autentica professione di laicità, da mostrare nei comportamenti e nelle
pratiche. Anzi, questa professione di laicità bisognerebbe non chiederla, ma
pretenderla, come requisito essenziale
di cittadinanza. Ma prima ancora di arrivare a questo, bisognerebbe fare i
conti con il deficit di laicità che esiste nella stessa opinione pubblica
italiana e anche nella scuola pubblica, che poi dovrebbe educare alla laicità
italiani e immigrati. Molti connazionali scambiano, infatti, l’essere laico con
il non aderire a nessuna confessione religiosa: quale fatale equivoco! Come si
diceva, il concetto stesso di laicità nasce nell’ambito di una confessione
religiosa. Essere laico presuppone non già una presa di distanza dalla
religione, ma una presa di distanza dalle ideologie, religiose o civili che
siano, da una visione rigidamente prefabbricata e integralista della realtà. Non
conosco personalmente nessun integralista islamico ma conosco, e ho conosciuto,
migliaia di integralisti occidentali, specie tra le fila della cosiddetta “sinistra”!
Spesso si tratta di rozzi manipolatori del marxismo, marxisti all’insaputa di
Marx! E non mi meraviglia quindi la sotterranea corrente di simpatia di costoro
nei confronti del fondamentalismo islamico.
E a proposito di Marx,
la conclusione del tutto provvisoria, fortunatamente, di questo ragionamento - che Carlo e altri spero vorranno proseguire ed
eventualmente integrare o contestare – è che se non si riesce a trovare un
terreno di incontro fra Occidente e Islam, a prescindere dalla religione – visto che sulla religione mi pare che sia impossibile allo stato attuale costruire
un positivo dialogo inter-trans o multi-culturale – a latere della religione e quindi nell’ambito di una concezione
laica della società, allora sarà il caso di adattare allo scontro di civiltà l’idea
che il vecchio di Treviri aveva sulla dinamica della lotta di classe: quando due
forze si fronteggiano e sono irriducibili, l’una dominante e l’altra emergente,
allora si potrà avere solo o una “trasformazione rivoluzionaria” della società
ad opera della forza emergente (nel nostro caso si tratterebbe dell’Islam e di
una “rivoluzione retrograda”) o la comune rovina delle classi/civiltà in lotta.
Che il Signore ci aiuti! Detto laicamente.