Chi
mi onora della sua attenzione, seguendo questo blog o anche ciò che scrivo su
FB, conosce bene la mia valutazione molto negativa su certo acritico e finanche
fanatico entusiasmo per l’attuale pontefice, un entusiasmo che pare talora
ancor più acceso nella opinione pubblica sedicente laica, e persino in qualche parte
della piccola minoranza protestante italiana, che non negli ambienti cattolici.
Sa pure che in questo pontificato, fino a questo momento, vedo soprattutto una
abile operazione di marketing, vuota di reali e significativi contenuti e senza
nessuna di quelle “svolte storiche” che altri sembrano riscontrare pressoché
quotidianamente.
Adesso
devo però salutare con gioia e anche con gratitudine le ultime dichiarazioni
del papa sul genocidio degli armeni, di cui ricorre il centenario e devo
riconoscere che hanno, queste sì, una vera portata storica. Innanzitutto,
perché Bergoglio è il primo papa a usare francamente il termine “genocidio” (Giovanni
Paolo II, che pure aveva detto cose significative, aveva usato il termine “annientamento”,
se non vado errato); si tratta infatti veramente del primo genocidio del
Novecento, che, come dirò, fu anche sinistro laboratorio di sperimentazione
della Shoah.
In
tal modo, non solo il papa ha messo fine a un silenzio aberrante della chiesa
romana sullo sterminio di uno dei più antichi popoli della cristianità, ma ha
anche indirettamente sbugiardato e smascherato l’imbarazzo o la netta reticenza
di tanti governi – compreso quello italiano – sul massacro degli armeni. E non
ha avuto timore – anche qui a differenza dei governi – delle immancabili e violente
proteste della Turchia.
Sono
quegli stessi governi che sono oggi ipersensibili nei confronti di ogni accenno
di “negazionismo” della Shoah da parte di sedicenti storici – e rispondono con
misure legislative sbagliate a questa forma di negazionismo - e che sono invece
ciechi di fronte al ben più grave negazionismo di stato del governo turco, di
tutti i governi turchi da un secolo a questa parte, nei confronti dell’olocausto
degli armeni.
Quella
di Bergoglio è invece una operazione di verità che non riguarda solo una pagina
atroce della storia, ma ha anche e soprattutto importanti implicazioni per la
più stretta attualità. L’uso improprio, equivoco o deviante della parole è
infatti molto pericoloso, perché apre la strada alla mistificazione e alla
strumentalizzazione della realtà. E quando si tratta di una parola così
gravemente importante, come è la parola “genocidio”, le conseguenze possono
essere devastanti. Ebbene, proprio questa parola specie negli ultimi tempi è
sottoposta a questi usi pericolosi. Infatti, viene adottata a sproposito per
definire qualunque azione militare compiuta dal proprio “nemico” e non viene
invece usata quando un sistematico e “scientifico” sterminio etnico-religioso
viene perpetrato da soggetti con i quali segretamente si simpatizza, magari
soltanto perché sembrano essere nemici del proprio nemico.
Si
è così parlato, in modo indecente, di genocidio per la vicenda di Gaza di
questa estate, laddove si trattava di una operazione militare, quella condotta
da Israele, certamente criticabile, ma che nulla aveva a che vedere con il
genocidio e che peraltro rispondeva ad un’aggressione militare subita da
Israele e dalla sua popolazione civile. Uso davvero indecente, perché attribuiva
falsamente la responsabilità di un tale sommo crimine allo Stato costituito da
quel popolo che è vittima per eccellenza di tale aberrazione della storia. E’
difficile non scorgere in un tale fanatico e fazioso accanimento anti
israeliano – che spesso neanche distingue le responsabilità del governo di
Israele da quelle dei suoi cittadini e addirittura da quelle di ogni ebreo che
viva nel mondo - un latente retaggio di secolari sentimenti e pregiudizi
antigiudaici.
D’altra
parte, la parola genocidio non viene usata, laddove invece ciò andrebbe fatto,
laddove il nuovo genocidio andrebbe chiaramente denunciato, senza alcun timore
o riserva: mi riferisco evidentemente allo sterminio delle minoranza cristiane,
sciite o di altra religione da parte del totalitarismo islamista.
Le
parole di Bergoglio sono importanti anche per questo, perché legano la strage
di un secolo fa a quella di cui sono vittima nuovamente dei cristiani, in una
vasta area del mondo, dal Pakistan alla Nigeria.
Un
uso appropriato delle parole, e in particolare del termine genocidio, non ha
quindi solo a che fare con la padronanza della lingua (comunque auspicabile!),
ma è imposto da ragioni di responsabilità etica e civile. Quello del 1915 fu
sicuramente un genocidio, perché si trattò precisamente dello sterminio
sistematico e deliberato di una intera etnia e del tentativo, per poco fallito,
di cancellare ogni traccia di quel popolo. Già per questo, il confronto con
Auschwitz, che è implausibile sul piano storico e indegno sul piano morale in
altri casi, come le azioni di guerra di Israele, è qui del tutto fondato.
Poche
notizie: il 15 settembre del 1915 il Ministro degli interni turco, Taalat
Pashà, telegrafò un ordine al prefetto di Aleppo (allora ancora provincia
ottomana), informandolo della decisione del governo di eliminare completamente
gli armeni: “devono cessare di esistere, per quanto tragiche le misure da
intraprendere, senza riguardo alcuno per età o sesso, né scrupoli di coscienza”
(citato dal grande corrispondente di guerra britannico Robert Fisk, giornalista
dell’Indipendent, che nel suo
bellissimo Cronache mediorientali, dedica
un intero e lungo capitolo a “Il primo Olocausto”). E’ una terrificante
anticipazione della “soluzione finale” nazista del 1942.
Nello
sterminio degli armeni vi fu anche l’aspetto peculiare del genocidio moderno: l’agghiacciante
applicazione di soluzioni tecnologiche tese a massimizzare i profitti – ossia il
numero delle persone eliminate – minimizzando i costi economici. Ovviamente, si
trattò delle rudimentali soluzioni tecnologiche di cui poteva disporre un paese
arretrato da questo punto di vista come era l’Impero Ottomano di allora, ma il
genio maligno del moderno olocausto vi era già tutto. Si sfruttarono, ad
esempio, le grotte e le grandi cavità naturali presenti sul territorio, per
ammassarvi dentro decine, spesso centinaia di armeni. L’ingresso della grotta veniva
poi ulteriormente ristretto da massi e
all’imboccatura veniva acceso un fuoco, sicché quelli che erano all’interno
morivano asfissiati. Si trattava di una primitiva camera a gas e ciò che rende
più agghiacciante il racconto è che ad assistere e anche a collaborare allo
sterminio vi erano anche ufficiali e soldati tedeschi – la Germania e la
Turchia erano alleate durante la Prima guerra mondiale. Alcuni di loro, anni
dopo, sarebbero divenuti nazisti e avrebbero avuto responsabilità primarie
nella Shoah: un certo Rudolf Hoess, ad esempio, si arruolò poco più che
adolescente nelle truppe tedesche distaccate in Turchia; nel 1940 fu nominato
comandante di Auschwitz e nel 1944 divenne viceispettore di tutti i campi di
concentramento nazisti.
Un
altro sistema teso a ottimizzare il rapporto costi/benefici consisteva nel
portare una moltitudine di persone, spesso l’intera popolazione di un
villaggio, sulle rive di un fiume dalle acque profonde e dalla corrente
impetuosa, legando tutti a una corda. Il primo veniva poi ucciso con un colpo
di rivoltella e spinto a cadere nel fiume; in tal modo trascinava dietro di sé a
morire tutti gli altri: con lo “spreco” di una sola pallottola si eliminava l’intera
popolazione di un villaggio.
Durante
la guerra, poche notizie filtrarono in Europa e in America, ma alcuni giornali
americani riuscirono comunque a scoprire e a denunciare il genocidio: in
particolare il New York Times pubblicò
un coraggioso reportage.
La
commozione e l’indignazione durarono però ben poco: a guerra finita ci si
dimenticò degli armeni. Negli USA Wilson, che sembrava disponibile alla
costituzione di uno stato armeno, non fu rieletto e nei governi europei
prevalse la realpolitik: la nuova
Turchia era considerata un bastione contro la minaccia costituita dalla neonata
Unione Sovietica e non era il caso di inimicarsela. Così, non ci fu alcun “processo
di Norimberga” per i responsabili, non nacque nessun libero stato di Armenia e
del genocidio praticamente non si parlò più. Oltre agli armeni furono delusi
anche i curdi, che pure credevano di essersi guadagnati dei titoli di
benemerenza agli occhi del governo turco. Come scrive Fisk, uno dei pochissimi
a rompere quest’altra cortina di silenzio, se i turchi furono i mandanti del
genocidio, i curdi furono i suoi più feroci esecutori, anche per la rivalità
etnico-religiosa con gli armeni.
E’
questa una responsabilità che, Fisk a parte, si guardano bene dal ricordare tanti
giornalisti, intellettuali e politici di sinistra, impegnati a celebrare la
positiva diversità dell’eroico, laico, rivoluzionario popolo curdo. Non
esistono, invece, popoli “buoni” – come non ne esistono di “cattivi” – e le
vittime di oggi, possono anche essere stati i carnefici di ieri, per cui un
sano e disincantato spirito laico non è mai di troppo.
Spirito
laico e onestà intellettuale servono soprattutto a valutare e denunciare le responsabilità
e le connivenze del proprio governo, visto che i governi democratici dovrebbero
rispondere ai cittadini e i cittadini dovrebbero quindi esercitare una costante
vigilanza critica nei loro confronti. In questo caso, sono macroscopiche le
responsabilità e le connivenze dell’attuale governo italiano e della classe
politica in genere: una classe politica che è sempre pronta a osannare ogni
minima affermazione del papa, stavolta, dinanzi alle sue parole, è rimasta in
silenzio e dinanzi alle violente proteste diplomatiche turche non ha battuto
ciglio e non ha espresso la benché minima solidarietà al pontefice. E c’è di
più: il presidente dell’Armenia in viaggio in Italia, non è stato onorato di
alcuna accoglienza ufficiale e l’Italia non parteciperà in nessun modo alle
manifestazioni che si svolgeranno nei prossimi giorni in Armenia per il
centenario del genocidio.
C’è
solo da indignarsi e da vergognarsi.