sabato 26 marzo 2016

IL TEMPO "SOSPESO" DEL SABATO SANTO



Nella settimana della Passione, c’è un giorno singolare, per certi versi inquietante, un giorno ove non ci sono riti e liturgie, un tempo sospeso. E’ il giorno di sabato. Le narrazioni evangeliche non dicono quasi nulla del sabato. Solo in Matteo vi è un breve inserto, di carattere strettamente apologetico, che tende probabilmente a smentire la voce che si era subito diffusa negli ambienti giudaici più ostili a Gesù, secondo cui i discepoli stessi ne avrebbero trafugata la salma per accreditare l’annuncio della resurrezione. In questi pochi versetti, Matteo dice che i capi dei sacerdoti e i farisei, il giorno dopo la crocefissione, si sarebbero recati da Pilato per convincerlo a mettere una guardia armata accanto al sepolcro ed evitare, per l’appunto, il trafugamento del corpo di Gesù. Matteo vuole così dimostrare l’infondatezza della diceria suddetta.
Se si esclude questo passo, che si trova solo in Matteo ed è, tutto sommato, poco significativo, nei quattro Vangeli non vi è alcun racconto di vicende accadute il sabato. La narrazione passa direttamente dalla sepoltura di Gesù, il venerdì prima del tramonto, alla visita delle donne al sepolcro, alle prime luci dell’alba della domenica.
Nei sinottici la scena si chiude sull’immagine delle donne che restano come impietrite dal dolore a guardare la tomba dove è stato deposto Gesù e si riapre – salvo il già citato breve passo di Matteo – sulle stesse donne che, due giorni dopo, la mattina prestissimo, vanno al sepolcro per ungere il corpo di Gesù e svolgere tutto il pietoso cerimoniale che si usava per i defunti, ma trovano la pietra rotolata e la tomba vuota. In Giovanni, cambia la scena del venerdì, perché il sipario si chiude non sulle donne, ma su Giuseppe di Arimatea e Nicodemo che danno sepoltura a Gesù, mentre quella della domenica è analoga, anche se qui è solo Maria Maddalena a recarsi al sepolcro.
Vi è in effetti una ragione apparentemente banale per questo silenzio ed è Luca, come sempre il più attento ai dettagli, che ce la chiarisce. Il giorno successivo – che non incominciava dalla mezzanotte, ma, secondo l’uso giudaico poco prima del tramonto - è sabato, shabbat, è il giorno in cui ogni “lavoro” deve cessare e, per questo, le donne, dice Luca, “si riposarono, secondo il comandamento”. Ciò conferma, tra l’altro, che i Vangeli, se non sono e non vogliono essere narrazioni storiografiche, inseriscono tuttavia la vicenda di Gesù nella sua cornice storica reale. Peraltro, quel sabato era uno shabbat tutto particolare, perché era quello in cui si celebrava Pesach, la Pasqua ebraica.
In questo modo, però, il giorno fra il venerdì santo e la domenica, fra il Golgota e Pasqua, fra la croce e la resurrezione, diventa un tempo vuoto e sospeso. Se la causa storica diretta di questa sospensione del tempo è semplice e perfino banale, il significato e le implicazioni della cosa sono invece notevolissime, sul piano teologico e anche ad altri livelli di riflessione sulla Bibbia.
Questa pausa temporale è fondamentale, sul piano teologico. Essa serve a sottolineare più cose. Anzitutto che la morte di Gesù è reale, Gesù è veramente morto, è stato sepolto e resta nella tomba per tutto il giorno di sabato. Non vi è la sopravvivenza dell’anima – la fede cristiana nella resurrezione dei corpi, almeno in origine, è cosa assolutamente diversa dalla dottrina filosofica e religiosa, già diffusa nella cultura pagana e greca, della immortalità dell’anima – e non vi è nemmeno la risurrezione immediata, istantanea, fulminea. Prendere sul serio la morte di Gesù, come si potrebbe dire, serve a dare il giusto, il pieno valore alla sua resurrezione: Gesù era morto ed è stato resuscitato da Dio, con un intervento di inaudita potenza escatologica. Nello stesso tempo, prendere sul serio la morte, serve anche a ricordare che il Risorto è il Crocefisso, non è uno spirito, non è un fantasma, e che il Signore glorificato è lo stesso Gesù condannato, flagellato, deriso e infine appeso alla croce e lasciato morire fra atroci sofferenze. Certamente non si può pensare la morte di Cristo senza pensare anche alla sua resurrezione, ma non si può nemmeno pensare alla resurrezione senza la croce. Non vi è venerdì santo senza Pasqua, ma non vi è Pasqua senza venerdì santo. Per questo è teologicamente necessario che il tempo si fermi, almeno per un intero giorno, in modo che la terribile vicenda della crocefissione, della morte e della sepoltura di Gesù possa sostare nella nostra mente e nel nostro cuore. Noi siamo chiamati a condividere il grande dolore, la delusione, la rabbia, la frustrazione, lo sbigottimento che devono aver provato le donne e tutti i discepoli in quel tempo vuoto fra il seppellimento di Gesù e le apparizioni del Risorto.
Il messaggio teologico è rivolto però anche alle nostre comuni esistenze e alle nostre esperienze secolari. Quando nella nostra vita irrompe l’ora della sofferenza, l’ora dell’angoscia del Getsemani, l’ora dello scacco, del naufragio dei nostri progetti e delle nostre speranze, l’ora della morte, della fine e della perdita di ciò che ci è caro, certamente dobbiamo sperare e confidare nella rinascita, pregando Dio, se siamo credenti, affinché voglia donarcela. Non dobbiamo mai pensare che il Golgota e il venerdi santo, che il fallimento, il dolore, la perdita siano la fine della storia. Tuttavia, non dobbiamo essere impazienti, non dobbiamo pretendere che al nostro venerdì santo succeda subito la domenica. Siamo chiamati a sostare nel tempo sospeso del sabato, siamo chiamati ad attraversare il deserto, siamo chiamati ad aspettare che la potenza rigeneratrice e rivitalizzatrice faccia il suo corso, perché solo così la passione e il Golgota che ci sono toccati avranno un senso e non saranno stati soltanto una assurda, accidentale o fatale disgrazia; solo così la nostra rinascita sarà vera, autentica, reale. Per un credente, non si tratta di una sorta di terapia psicologica , di una specie di elaborazione del lutto– che comunque potrebbe avere la sua utilità. Si tratta di confidare nella potenza escatologica del Signore, che non ci attende in un futuro remoto, come spesso e malamente si intende, ma che, come ha fatto con Gesù, irrompe nel nostro presente e insieme a noi visita anche e soprattutto il nostro passato, con tutte le sue ferite, per riscattarlo, sanarlo, riconciliarlo. Questo è forse ciò che dovremmo meditare nel tempo apparentemente vuoto del sabato santo, un tempo di dolore e di smarrimento che ci apre invece la via ad una vera consolazione.