Nella settimana della
Passione, c’è un giorno singolare, per certi versi inquietante, un giorno ove
non ci sono riti e liturgie, un tempo sospeso. E’ il giorno di sabato. Le
narrazioni evangeliche non dicono quasi nulla del sabato. Solo in Matteo vi è
un breve inserto, di carattere strettamente apologetico, che tende
probabilmente a smentire la voce che si era subito diffusa negli ambienti
giudaici più ostili a Gesù, secondo cui i discepoli stessi ne avrebbero
trafugata la salma per accreditare l’annuncio della resurrezione. In questi
pochi versetti, Matteo dice che i capi dei sacerdoti e i farisei, il giorno
dopo la crocefissione, si sarebbero recati da Pilato per convincerlo a mettere
una guardia armata accanto al sepolcro ed evitare, per l’appunto, il trafugamento
del corpo di Gesù. Matteo vuole così dimostrare l’infondatezza della diceria
suddetta.
Se si esclude questo
passo, che si trova solo in Matteo ed è, tutto sommato, poco significativo, nei
quattro Vangeli non vi è alcun racconto di vicende accadute il sabato. La
narrazione passa direttamente dalla sepoltura di Gesù, il venerdì prima del
tramonto, alla visita delle donne al sepolcro, alle prime luci dell’alba della
domenica.
Nei sinottici la scena
si chiude sull’immagine delle donne che restano come impietrite dal dolore a
guardare la tomba dove è stato deposto Gesù e si riapre – salvo il già citato
breve passo di Matteo – sulle stesse donne che, due giorni dopo, la mattina
prestissimo, vanno al sepolcro per ungere il corpo di Gesù e svolgere tutto il
pietoso cerimoniale che si usava per i defunti, ma trovano la pietra rotolata e
la tomba vuota. In Giovanni, cambia la scena del venerdì, perché il sipario si
chiude non sulle donne, ma su Giuseppe di Arimatea e Nicodemo che danno
sepoltura a Gesù, mentre quella della domenica è analoga, anche se qui è solo
Maria Maddalena a recarsi al sepolcro.
Vi è in effetti una
ragione apparentemente banale per questo silenzio ed è Luca, come sempre il più
attento ai dettagli, che ce la chiarisce. Il giorno successivo – che non
incominciava dalla mezzanotte, ma, secondo l’uso giudaico poco prima del
tramonto - è sabato, shabbat, è il
giorno in cui ogni “lavoro” deve cessare e, per questo, le donne, dice Luca,
“si riposarono, secondo il comandamento”. Ciò conferma, tra l’altro, che i
Vangeli, se non sono e non vogliono essere narrazioni storiografiche,
inseriscono tuttavia la vicenda di Gesù nella sua cornice storica reale.
Peraltro, quel sabato era uno shabbat
tutto particolare, perché era quello in cui si celebrava Pesach, la Pasqua
ebraica.
In questo modo, però,
il giorno fra il venerdì santo e la domenica, fra il Golgota e Pasqua, fra la
croce e la resurrezione, diventa un tempo vuoto e sospeso. Se la causa storica
diretta di questa sospensione del tempo è semplice e perfino banale, il
significato e le implicazioni della cosa sono invece notevolissime, sul piano
teologico e anche ad altri livelli di riflessione sulla Bibbia.
Questa pausa temporale
è fondamentale, sul piano teologico. Essa serve a sottolineare più cose.
Anzitutto che la morte di Gesù è reale, Gesù è veramente morto, è stato sepolto
e resta nella tomba per tutto il giorno di sabato. Non vi è la sopravvivenza
dell’anima – la fede cristiana nella resurrezione dei corpi, almeno in origine,
è cosa assolutamente diversa dalla dottrina filosofica e religiosa, già diffusa
nella cultura pagana e greca, della immortalità dell’anima – e non vi è nemmeno
la risurrezione immediata, istantanea, fulminea. Prendere sul serio la morte di
Gesù, come si potrebbe dire, serve a dare il giusto, il pieno valore alla sua
resurrezione: Gesù era morto ed è stato resuscitato da Dio, con un intervento
di inaudita potenza escatologica. Nello stesso tempo, prendere sul serio la
morte, serve anche a ricordare che il Risorto è il Crocefisso, non è uno
spirito, non è un fantasma, e che il Signore glorificato è lo stesso Gesù
condannato, flagellato, deriso e infine appeso alla croce e lasciato morire fra
atroci sofferenze. Certamente non si può pensare la morte di Cristo senza
pensare anche alla sua resurrezione, ma non si può nemmeno pensare alla
resurrezione senza la croce. Non vi è venerdì santo senza Pasqua, ma non vi è
Pasqua senza venerdì santo. Per questo è teologicamente necessario che il tempo
si fermi, almeno per un intero giorno, in modo che la terribile vicenda della
crocefissione, della morte e della sepoltura di Gesù possa sostare nella nostra
mente e nel nostro cuore. Noi siamo chiamati a condividere il grande dolore, la
delusione, la rabbia, la frustrazione, lo sbigottimento che devono aver provato
le donne e tutti i discepoli in quel tempo vuoto fra il seppellimento di Gesù e
le apparizioni del Risorto.
Il messaggio teologico
è rivolto però anche alle nostre comuni esistenze e alle nostre esperienze
secolari. Quando nella nostra vita irrompe l’ora della sofferenza, l’ora
dell’angoscia del Getsemani, l’ora dello scacco, del naufragio dei nostri
progetti e delle nostre speranze, l’ora della morte, della fine e della perdita
di ciò che ci è caro, certamente dobbiamo sperare e confidare nella rinascita,
pregando Dio, se siamo credenti, affinché voglia donarcela. Non dobbiamo mai
pensare che il Golgota e il venerdi santo, che il fallimento, il dolore, la
perdita siano la fine della storia. Tuttavia, non dobbiamo essere impazienti,
non dobbiamo pretendere che al nostro venerdì santo succeda subito la domenica.
Siamo chiamati a sostare nel tempo sospeso del sabato, siamo chiamati ad
attraversare il deserto, siamo chiamati ad aspettare che la potenza
rigeneratrice e rivitalizzatrice faccia il suo corso, perché solo così la
passione e il Golgota che ci sono toccati avranno un senso e non saranno stati
soltanto una assurda, accidentale o fatale disgrazia; solo così la nostra
rinascita sarà vera, autentica, reale. Per un credente, non si tratta di una
sorta di terapia psicologica , di una specie di elaborazione del lutto– che
comunque potrebbe avere la sua utilità. Si tratta di confidare nella potenza
escatologica del Signore, che non ci attende in un futuro remoto, come spesso e
malamente si intende, ma che, come ha fatto con Gesù, irrompe nel nostro
presente e insieme a noi visita anche e soprattutto il nostro passato, con tutte
le sue ferite, per riscattarlo, sanarlo, riconciliarlo. Questo è forse ciò che
dovremmo meditare nel tempo apparentemente vuoto del sabato santo, un tempo di
dolore e di smarrimento che ci apre invece la via ad una vera consolazione.