LA LEGALITA’ FASCISTA
Ieri, a las cinco de la tarde, la giudice
Lamela ha ordinato l’arresto di sette membri del legittimo governo catalano,
compreso il vicepresidente Junqueras. Oggi sarà probabilmente spiccato un
mandato di cattura internazionale per Puigdemont e altri cinque ministri,
esiliati in Belgio. Al fremito di
indignazione e alla immediata mobilitazione popolare a Barcellona e in tutta la
Catalogna, fa riscontro il silenzio delle istituzioni e dei governi europei
(uniche eccezioni al momento, il primo ministro scozzese e il capogruppo dei
Verdi al Parlamento europeo), l’indifferenza e spesso anche il malcelato
compiacimento se non l’applauso aperto di tanti che pure si dichiarano liberali
e democratici. Prevale largamente l’idea che referendum e dichiarazione di
indipendenza fossero “illegali” e che pertanto il tribunale abbia agito in
difesa della “legalità” e dello “stato di diritto”. Esercitando su me stesso
uno dei più severi sforzi di autocontrollo della mia vita per contenere lo
sdegno che prorompe da tutto ciò, provo a svolgere un semplice e pacato
ragionamento.
L’assunto
su cui si basano molti è che “legalità”
e democrazia, o meglio legalità e “legittimità democratica”, coincidano e che non
ci siano neanche distinzioni fra varie forme di “legalità”. Vediamo se così
è, esaminando la vicenda prima sotto il profilo della
legittimità democratica e poi sotto quello della “legalità”, per porci infine
qualche domanda su “quale” legalità viene in questo caso applicata e imposta.
Sul
piano della legittimità democratica. Puigdemont, Junqueras e gli altri
consiglieri della Generalitat di Catalogna sono andati al governo non con un
colpo di stato, ma in seguito a regolari e democratiche elezioni, riconosciute
ovviamente da Madrid, le elezioni del settembre 2015. In queste elezioni, una
coalizione di partiti e associazioni - il PDeCAT di Puigdemont, l’ERC di
Junqueras, Assemblea Nacional Catalana, Omnium – uniti nella lista Junts pel Sì – e la sinistra radicale
della CUP, hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi al Parlamento di
Barcellona. Sia Junts pel Sì che la
CUP hanno vinto le elezioni sulla base di un programma indipendentista. Più
precisamente, hanno fatto campagna elettorale per il diritto all’autodeterminazione
del popolo catalano, già conculcato a loro avviso nel 2014 quando il governo
centrale e il Tribunale costituzionale avevano cercato di impedire e poi
annullato un referendum sull’indipendenza. Si sono impegnati a organizzare un
nuovo referendum sull’indipendenza e, in caso di vittoria del Sì, a
intraprendere un percorso di costruzione di una Repubblica Catalana libera e
sovrana. In questi due anni, il governo Puigdemont, espressione diretta di Junts pel Sì e appoggiato dalla CUP, non
ha fatto altro che applicare coerentemente quel programma, assolvendo così a un
mandato popolare che si era chiaramente espresso nelle urne. Conseguenza di
quel mandato popolare sono stati sia la legge di transitorietà di settembre,
sia il referendum del 1° di ottobre, sia la dichiarazione di indipendenza del
28 ottobre. Il comportamento del governo
catalano è stato quindi ineccepibile sotto il profilo della legittimità
democratica. Questo è un primo dato di fatto ed è incontestabile.
Accade,
però, che il governo centrale e la magistratura (poi vedremo quale ordine di
magistratura) abbiano opposto alla legittimità democratica la “legalità” del
proprio ordine giuridico e costituzionale. Il
conflitto fra democrazia e legalità – che molti fanno invece coincidere,
con notevole pressapochismo culturale – è quindi nei fatti ed è attestato proprio
dalle azioni intraprese da Madrid. Si potrebbe già forse dire che un liberale,
in un tale conflitto, non dovrebbe avere alcuna esitazione a stare dalla parte
della legittimità democratica, ma si potrebbe opporre, non senza qualche
ragione, l’argomento secondo cui la legittimità democratica potrebbe sfociare
anche in un regime plebiscitario o addirittura in un totalitarismo, come è già
accaduto nel corso della storia (si pensi solo alle elezioni del 1932 in
Germania e all’ascesa del nazismo). Se non che, questo argomento è del tutto
fuori luogo nel caso in questione, perché Puigdemont, la Generalitat, il
Parlamento, i partiti e movimenti indipendentisti non hanno mai prestato il
fianco al minimo sospetto di tentazioni autoritarie o demagogico-totalitarie e
anzi hanno condotto le loro iniziative in modo assolutamente non violento,
anche quando, in queste ultime settimane, è incominciata la repressione da
parte di Madrid (la Guardia Civil ai seggi del referendum, l’incarceramento dei
leader delle due associazioni indipendentiste più rappresentative). Tuttavia,
sospendiamo pure il giudizio e attendiamo prima di prendere posizione in questo
conflitto fra legalità e legittimità democratica. Attendiamo fino a quando non
avremo capito meglio di che legalità
stiamo parlando.
Anzitutto,
il processo giudiziario è stato attivato in seguito all’applicazione del famoso
e famigerato articolo 155 della Costituzione. L’articolo è quanto mai generico è
dice solo che “quando una Comunità Autonoma non dovesse ottemperare agli
obblighi imposti dalla Costituzione o dalle altre leggi, oppure si comporti in
modo tale da attentare agli interessi generali della Spagna”, il Governo,
autorizzato dal Senato “potrà prendere le misure necessarie per obbligarla all’adempimento
forzato dei suddetti obblighi”. E’ molto discutibile che questo articolo possa
comportare la sospensione della autonomia, in quanto esso dice che la Comunità stessa
deve essere obbligata all’adempimento dei suoi obblighi, non che può essere
esautorata. Invece, non solo è stato deposto il governo legittimo della
Comunità in questione, ma questo governo è stato messo in carcere!
E’ quindi dubbio,
per prima cosa, che il governo centrale si stia davvero muovendo nel solco
della sua stessa legalità.
Ma se anche così fosse, veniamo alla questione di cui si diceva. Di che
legalità stiamo parlando? Ebbene, l’articolo
155 ricalca puntualmente – ne è quasi la copia esatta – l’articolo 39 della
legge organica del 1967. La “legge organica” è una legge che nell’ordinamento
giuridico sta immediatamente al di sotto della Costituzione e al di sopra delle
leggi ordinarie. In Spagna si utilizza molto questo strumento legislativo. Ma
stiamo parlando del 1967. Chi era al potere nel 1967 in Spagna? Lo sappiamo
tutti. Dunque, la legalità di cui si parla, quando si parla dell’articolo 155
della Costituzione spagnola, è la
legalità ricalcata su una importante legge del regime franchista. Il
conflitto non sembra essere fra la legittimità democratica e una generica e da
taluni santificata legalità, ma fra la
legittimità democratica e una legalità di matrice franchista.
Ciò
che segue confermerà questa tesi.
L’articolo
155, benché sia ciò che abbiamo detto, per la sua genericità poteva essere comunque
applicato in cento modi diversi. Si è scelta la strada più brutale, con la trasformazione di una questione politica
in questione giudiziaria e in processo penale a carico degli antagonisti
politici. E questa strada, di per sé molto significativa della vocazione
autoritaria dello Stato spagnolo e di chi oggi lo rappresenta, è stata
perseguita nelle sedi e con le procedure che meritano ora di essere
approfondite.
La
giudice Lamela ha convocato letteralmente da un giorno all’altro i membri del
governo catalano, senza dare a loro e ai loro avvocati neanche 24 ore di tempo
per leggere le carte e preparare le proprie deduzioni e obiezioni. Come è stata
possibile questa procedura in quello che molti affermano essere uno “stato di
diritto”? Si fosse trattato di un procedimento in carico alla magistratura
ordinaria i passaggi sarebbero stati ben altri. Ma questo processo si sarebbe
svolto in Catalogna e con i tempi lunghi della giustizia spagnola ordinaria.
Evidentemente, ciò sarebbe stato molto rischioso per il governo Rajoy. Il
processo è stato dunque avocato all’Audiencia
Nacional che ha sede a Madrid. Ecco, i paladini della legalità quale che
sia dovrebbero provare a porsi questa semplicissima domanda: quale tribunale ha ordinato l’arresto del
governo catalano? Che cosa è questa Audiencia
Nacional? Per che tipologia di reati è competente?
Negli
ultimi tempi del regime franchista esisteva il famigerato Tribunale dell’Ordine Pubblico, che doveva perseguire
i “delitti contro lo Stato” connessi al terrorismo, in pratica non solo l’ETA,
ma tutti i “sovversivi”, ossia gli oppositori del regime. Con il cambio questo Tribunale viene
naturalmente soppresso, ma nel 1977 dalle sue ceneri nasce l’ Audiencia Nacional, che ne eredita pari pari funzioni e competenze.
Tanto è vero che molti giuristi la ritengono incompatibile con la Costituzione
democratica. Viene, però, opposta e fatta prevalere la tesi secondo cui l’Audiencia Nacional si dovrebbe occupare
essenzialmente dei delitti contro lo stato legati al terrorismo e in nessun
modo potrebbe intervenire in modo tale da minacciare libertà politiche e
diritti umani.
E
d’altra parte la stessa Audiencia Nacional
, quando in passato si è trattato di giudicare i crimini del franchismo ha
dichiarato la propria incompetenza. E’ il caso di fare attenzione a questo
precedente: si trattava di imputati per “ribellione”, uno dei reati – il più
grave – addebitato anche ai ministri catalani. L’ Audiencia Nacional obiettò che il reato di ribellione nel codice
penale vigente si configura non come delitto contro lo Stato, ma come delitto
contro l’ordine pubblico, e pertanto non è di competenza della stessa Audiencia Nacional. Ebbene, la giudice
Lamela, o meglio ancora il Procuratore generale dello Stato Maza, personaggio
assai discusso in Spagna, prima di lei, hanno effettuato un triplo salto mortale giuridico per avocare il processo a Madrid
e di fronte alla Audiencia Nacional. La
giudice Lamela, in particolare, ha contraddetto
la giurisprudenza dello stesso organo di cui fa parte! Infatti, ha
perseguito gli imputati per ribellione – attentato all’integrità dello Stato –
sedizione – attentato contro i governo – e malversazione – per aver distratto
fondi pubblici (hanno rubato? Sono dei comuni ladri e corrotti? Ma no: hanno o
avrebbero utilizzato fondi pubblici per organizzare il referendum del 1°
ottobre!), facendo riferimento a fattispecie
giuridiche presenti nel codice penale franchista del 1973, ove appunto la
ribellione si configurava come delitto contro lo stato e non contro l’ordine
pubblico! In tal modo, gli imputati rischiano, sommando le pene previste per i
tre reati, fino a 48 anni di carcere e, a fronte della celerità con cui sono
stato portati in prigione, vi potranno restare in attesa del primo giudizio
anche due anni.
Vale
appena la pena di sottolineare che in tal modo l’Audiencia nacional nel corso degli anni si è dichiarata
incompetente a processare per delitti contro lo stato i responsabili dei
crimini franchisti, mentre ha equiparato
a dei terroristi i legittimi rappresentanti di governo del popolo catalano! Se
non è un processo politico questo…
Prima
di Junqueras e compagni erano stati del resto incarcerati dalla giudice Lamela,
Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, leader delle associazioni civiche
indipendentiste Assemblea Nacional e Omnium, per aver organizzato
manifestazioni pacifiche, anche in quel caso nell’indifferenza generale.
Fossero stati incarcerati in Turchia o in Russia, da Erdogan o da Putin,
immaginate il clamore.
Allora,
cari paladini della legalità e dello stato di diritto: ciò che state difendendo non solo non è una legalità che si identifichi
con la legittimità democratica, perché anzi la contraddice e la violenta, ma è
una legalità di stampo fascista. Nello Stato di diritto, che voi idolatrate
a prescindere, certamente il potere politico non è al di sopra di leggi e
tribunali e deve rispettarli, ma quando le leggi e le procedure sono quelle del
codice penale franchista e il Tribunale è l’erede diretto del Tribunale che Franco
usava per perseguire i dissidenti, allora lo
Stato di diritto che state esaltando è lo Stato di diritto del franchismo
redivivo.
Questo
atteggiamento potrebbe essere considerato soltanto il frutto dell’ignoranza o
di uno sconcertante pressapochismo culturale, proprio di chi non ha neanche
studiato quella mezza paginetta che ogni manuale di filosofia di terzo liceo
dedica al dibattito sulle leggi nella Sofistica. Basterebbe, infatti, aver
letto e capito quella mezza paginetta e anche se non si fosse più letto e
studiato nulla nella propria vita si avrebbe una idea meno ottusa della “legalità”.
Ma
c’è dell’altro, temo. C’è un malcelato compiacimento, c’è la morbosa
soddisfazione di veder bastonato chi ha osato avere il coraggio della libertà,
c’è il risentimento che i piccoli uomini nutrono spesso nei confronti dei liberi
e coraggiosi. Lo stesso risentimento che portava molti ad applaudire il
fascismo. Il fascismo che anche attraverso questa vicenda e le reazioni che
suscita nel nostro paese si rivela davvero l’”autobiografia della nazione”, la
rivelazione del carattere italiano.
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