Ci sono riusciti. Hanno creato in laboratorio l’automa
perfetto. Dalla loro bottega è uscito il burattino ideale, obbediente a tutti i
loro comandi. Si chiama Emmanuel Macron. Svezzato dalla sua professoressa,
allevato e addestrato in un grande gruppo bancario, compiuto il suo tirocinio
al governo e nel partito socialista, l’automa-burattino, nell’estate del 2016,
mentre in Francia esplodeva il malcontento sociale per le «politiche europee»,
mentre a Nizza si verificava l’ennesima strage islamista, mentre interi
quartieri cittadini era in mano a immigrati di prima, seconda o terza
generazione e governati più dalla sharia che
dalla Republique, mentre Hollande si
preparava a una mesta e ingloriosa uscita di scena e il suo partito era sull’orlo
dell’estinzione, mentre accadeva tutto questo, il designato delfino della
tirannide eurocratica veniva spinto al passo decisivo e formava un suo movimento
politico. Una brillante operazione di marketing elettorale lanciata in tempo
utile. Un nome suggestivo nella forma, vuoto nella sostanza: en marche (ma per andare dove?). La sua
era l’immagine di «uomo nuovo» e non compromesso con la politica tradizionale,
nella quale invece si era formato, ritirandosi al momento giusto, abbandonando
prima il partito e poi il governo. Certo, occorreva glissare sul fatto che l’uomo
nuovo dovesse la sua ascesa politica proprio a quel partito ormai così
screditato e che fosse stato fino al giorno prima il Ministro dell’Economia
dell’odiatissimo governo Valls. Operazione non impossibile: ormai basta trovare
un somaro giovane e che si possa spacciare per “nuovo” ed ecco frotte di
elettori acclamanti. Nella Gerusalemme di oggi non entrano messia in groppa all’asina,
ma gli asini soltanto; e non turbano le elite del Tempio, visto che anzi sono queste
a spalancargli le porte.
Certo, il consenso a Macron in termini assoluti è
assai ridotto, anche se oggi questo dato obiettivo viene taciuto dai più. La Francia
è drammaticamente divisa ed è come se ormai ci fossero due diverse nazioni: da
un lato, Parigi, le elite borghesi e intellettuali, i grandi media, i molti
cittadini islamici; dall’altro lato la cosiddetta “Francia profonda”, le
campagne, la provincia, i contadini e gli operai, le vittime della
globalizzazione e quelle della società “multiculturale”, i francesi che, al
contrario di Macron, pensano ancora che esista una “identità nazionale” e che
vedono falcidiati i loro redditi.
Un quadro a prima vista non molto diverso da quello
degli USA – anche nella mobilitazione liberal-progressista preelettorale, con
la demonizzazione dell’antagonista - ma con un esito opposto. Come mai?
Innanzitutto, per la diversa struttura della nazione francese rispetto a quella
americana: l’America non è New York, non è la fascia urbana dell’East e della West
Coast, l’America non è il New York Times,
non è un grande college progressista.
Controllare queste aree e questi ambienti è importante, ma non decisivo. La
Francia, invece, è prima di tutto Parigi. Nel senso che nessuno può prendere il
potere senza prendere Parigi. Se ne dovette accorgere Enrico di Borbone, capo del
partito protestante, che poté diventare re solo entrando a Parigi, sebbene non
avesse più antagonisti, e per entrare a Parigi dovette farsi cattolico («Parigi
val bene una messa»). Per questo motivo, mentre a novembre avevo puntato sulla
vittoria di Trump, non avrei scommesso un euro e nemmeno un vecchio franco su quella
di Marine, che a Parigi raccoglie percentuali di voti risibili.
Peraltro, va anche detto che se è vero che senza
Parigi nessuno può prendere il potere in Francia, è altrettanto indubitabile
che senza controllare la campagna e la provincia nessuno può restarci a lungo
al potere. Lo capirono subito i rivoluzionari del 1789 che dopo soltanto una
ventina di giorni dalla caduta della Bastiglia seppero conquistarsi larga parte
delle campagne e del mondo contadino con l’abrogazione giuridica del regime
feudale. Lo seppero i giacobini che seppero contenere le tante “Vandee” del
malcontento contadino, distribuendo le terre.
Per questo, se c’è ancora una residua speranza, come
dice Winston Smith, il personaggio inventato da Orwell in 1984, questa speranza
risiede nei prolet e non certo nei ricchi
progressisti del Marais e negli intellò
che, in larghissima maggioranza, stanno ora festeggiando Macron.
Intanto, però, non si può che registrare l’abilissima
operazione che ha portato “Lolito” Macron all’Eliseo e che soprattutto ha
probabilmente affondato definitivamente le speranze di riscatto e rinascita dei
popoli europei.
L’ideologia immigrazionista e multiculturale ha
realizzato il suo capolavoro, confermandosi efficacissimo strumento al servizio
delle oligarchie dominanti. E’ riuscita, infatti, prima a dividere il fronte
della protesta e del malcontento, che se si fosse compattato, come mostrano
oggettivamente i risultati di Melenchon e Le Pen al primo turno, avrebbe
prevalso e poi ad agitare il consueto spauracchio del pericolo “fascio-xenofobo”,
dell’”estrema destra populista”. Etichette vuote e mistificanti, eppure
vincenti. Lo spartiacque fra destra e sinistra è ormai ridotto a una formula
che consolida i poteri dominanti e che fa avanzare i soli fascismi dei nostri
tempi – se proprio si vuole usare questo termine in senso evidentemente
improprio e comunque molto lato (in una approssimativa accezione politologica e
non certo storiografica) – “fascismi” che sono il regime eurocratico, da un
lato, il totalitarismo islamista, dall’altro.
E’ significativo che ancor prima di quella di Macron
sia giunta ieri sera, a urne chiuse e proiezioni appena lanciate, la
dichiarazione trionfante della Merkel. Gli eurocrati, che negano il conflitto
di civiltà, in realtà se ne servono per
dividere gli scontenti, separando gli scontenti di "sinistra" ammaliati dalla favola del "buon immigrato", da quelli di "destra", spaventati dall'"uomo nero". Gli eurocrati sanno bene che la supremazia occidentale
è ormai finita, ma invece di concepire una strategia politica che consenta all’Occidente,
sia pure ridimensionato, di sopravvivere, salvaguardando i propri valori
fondanti, arraffano i preziosi e l’argenteria, depredano tutto ciò che si può
depredare, spolpano vivi i loro popoli e aprono la porta ai nemici della nostra
civiltà, prima di scappare, probabilmente, e di correre a nascondersi dove sperano
di godersi i frutti della rapina. Gli eurocrati, che oggi proclamano felici che
“la paura è stata sconfitta”, sulla paura in realtà hanno costruito la loro
vittoria e la vittoria del loro pupazzo. O meglio, ad una paura sacrosanta –
quella del popolo che si vede scorticato dalla moneta unica, esposto alla
minaccia terroristica e invaso da una massa portatrice di identità, abitudini e
mentalità incompatibili con quelle occidentali - hanno saputo opporre una paura finta e
strumentale, quella del “populismo”.
Tra le molte battute che circolano in queste ore ho
letto anche questa: “i francesi hanno dimostrato di essere più stupidi degli
italiani”. Aspettiamo, però, a sorridere, sia pure amaramente: tra poco saremo
chiamati a scegliere fra Renzi e Di Maio… Il regime dominante mostra purtroppo
la capacità che hanno i dominatori più ferrei: riesce a scegliere non solo chi
deve governare, ma anche chi deve rappresentare l’alternativa. In modo che
questa alternativa sia improponibile, come si è mostrata la Le Pen in Francia,
oppure vuota e inutile, come il M5S in Italia, sul quale il giudizio forse
definitivo è quello, come al solito spietatamente lucido di Luttwak, in occasione
della visita negli USA di Di Maio (Di Maio ad Harvard: un nuovo ossimoro): «il
M5S ha raccolto una volontà di cambiamento e l’ha tradotta in un niente».
Probabilmente, avete vinto voi. Lo sappiamo. Un
giorno, magari, scopriremo di amare il Grande Fratello, il dio Baal di
Bruxelles (se non arriverà prima il Califfo…). A tanti accade già. Un giorno,
ci convincerete che due più due fa cinque, che «la guerra è pace, la libertà è
schiavitù, l’ignoranza e forza».
Ma non è ancora il tempo, se mai arriverà. Per ora
possiamo ancora ritirarci in un angolo nascosto a scrivere il nostro diario.
Per ora possiamo perfino scrivere voluttuosamente sulla pagina «abbasso il
Grande Fratello, abbasso il Grande Fratello!». Per ora, soprattutto, possiamo
ancora correre fuori città, andare in campagna, come Winston e Julia in 1984, lungo quel ruscello, nel “Paese d’oro”
che certe volte continuiamo a sognare, Winston con Julia, Julia con Winston; oppure
con gli amici fidati, o persino da soli. Prima di essere presi, possiamo vivere
ancora liberi per qualche tempo.
E quindi tenetevi le vostre vittorie, le vostre
bandiere e i vostri burattini; e non ci date fastidio.
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