lunedì 8 maggio 2017

HANNO INVENTATO IL BURATTINO PERFETTO

Ci sono riusciti. Hanno creato in laboratorio l’automa perfetto. Dalla loro bottega è uscito il burattino ideale, obbediente a tutti i loro comandi. Si chiama Emmanuel Macron. Svezzato dalla sua professoressa, allevato e addestrato in un grande gruppo bancario, compiuto il suo tirocinio al governo e nel partito socialista, l’automa-burattino, nell’estate del 2016, mentre in Francia esplodeva il malcontento sociale per le «politiche europee», mentre a Nizza si verificava l’ennesima strage islamista, mentre interi quartieri cittadini era in mano a immigrati di prima, seconda o terza generazione e governati più dalla sharia che dalla Republique, mentre Hollande si preparava a una mesta e ingloriosa uscita di scena e il suo partito era sull’orlo dell’estinzione, mentre accadeva tutto questo, il designato delfino della tirannide eurocratica veniva spinto al passo decisivo e formava un suo movimento politico. Una brillante operazione di marketing elettorale lanciata in tempo utile. Un nome suggestivo nella forma, vuoto nella sostanza: en marche (ma per andare dove?). La sua era l’immagine di «uomo nuovo» e non compromesso con la politica tradizionale, nella quale invece si era formato, ritirandosi al momento giusto, abbandonando prima il partito e poi il governo. Certo, occorreva glissare sul fatto che l’uomo nuovo dovesse la sua ascesa politica proprio a quel partito ormai così screditato e che fosse stato fino al giorno prima il Ministro dell’Economia dell’odiatissimo governo Valls. Operazione non impossibile: ormai basta trovare un somaro giovane e che si possa spacciare per “nuovo” ed ecco frotte di elettori acclamanti. Nella Gerusalemme di oggi non entrano messia in groppa all’asina, ma gli asini soltanto; e non turbano le elite del Tempio, visto che anzi sono queste a spalancargli le porte.

Certo, il consenso a Macron in termini assoluti è assai ridotto, anche se oggi questo dato obiettivo viene taciuto dai più. La Francia è drammaticamente divisa ed è come se ormai ci fossero due diverse nazioni: da un lato, Parigi, le elite borghesi e intellettuali, i grandi media, i molti cittadini islamici; dall’altro lato la cosiddetta “Francia profonda”, le campagne, la provincia, i contadini e gli operai, le vittime della globalizzazione e quelle della società “multiculturale”, i francesi che, al contrario di Macron, pensano ancora che esista una “identità nazionale” e che vedono falcidiati i loro redditi.

Un quadro a prima vista non molto diverso da quello degli USA – anche nella mobilitazione liberal-progressista preelettorale, con la demonizzazione dell’antagonista - ma con un esito opposto. Come mai? Innanzitutto, per la diversa struttura della nazione francese rispetto a quella americana: l’America non è New York, non è la fascia urbana dell’East e della West Coast, l’America non è il New York Times, non è un grande college progressista. Controllare queste aree e questi ambienti è importante, ma non decisivo. La Francia, invece, è prima di tutto Parigi. Nel senso che nessuno può prendere il potere senza prendere Parigi. Se ne dovette accorgere Enrico di Borbone, capo del partito protestante, che poté diventare re solo entrando a Parigi, sebbene non avesse più antagonisti, e per entrare a Parigi dovette farsi cattolico («Parigi val bene una messa»). Per questo motivo, mentre a novembre avevo puntato sulla vittoria di Trump, non avrei scommesso un euro e nemmeno un vecchio franco su quella di Marine, che a Parigi raccoglie percentuali di voti risibili.

Peraltro, va anche detto che se è vero che senza Parigi nessuno può prendere il potere in Francia, è altrettanto indubitabile che senza controllare la campagna e la provincia nessuno può restarci a lungo al potere. Lo capirono subito i rivoluzionari del 1789 che dopo soltanto una ventina di giorni dalla caduta della Bastiglia seppero conquistarsi larga parte delle campagne e del mondo contadino con l’abrogazione giuridica del regime feudale. Lo seppero i giacobini che seppero contenere le tante “Vandee” del malcontento contadino, distribuendo le terre.  

Per questo, se c’è ancora una residua speranza, come dice Winston Smith, il personaggio inventato da Orwell in 1984, questa speranza risiede nei prolet e non certo nei ricchi progressisti del Marais e negli intellò che, in larghissima maggioranza, stanno ora festeggiando Macron.

Intanto, però, non si può che registrare l’abilissima operazione che ha portato “Lolito” Macron all’Eliseo e che soprattutto ha probabilmente affondato definitivamente le speranze di riscatto e rinascita dei popoli europei.

L’ideologia immigrazionista e multiculturale ha realizzato il suo capolavoro, confermandosi efficacissimo strumento al servizio delle oligarchie dominanti. E’ riuscita, infatti, prima a dividere il fronte della protesta e del malcontento, che se si fosse compattato, come mostrano oggettivamente i risultati di Melenchon e Le Pen al primo turno, avrebbe prevalso e poi ad agitare il consueto spauracchio del pericolo “fascio-xenofobo”, dell’”estrema destra populista”. Etichette vuote e mistificanti, eppure vincenti. Lo spartiacque fra destra e sinistra è ormai ridotto a una formula che consolida i poteri dominanti e che fa avanzare i soli fascismi dei nostri tempi – se proprio si vuole usare questo termine in senso evidentemente improprio e comunque molto lato (in una approssimativa accezione politologica e non certo storiografica) – “fascismi” che sono il regime eurocratico, da un lato, il totalitarismo islamista, dall’altro.

E’ significativo che ancor prima di quella di Macron sia giunta ieri sera, a urne chiuse e proiezioni appena lanciate, la dichiarazione trionfante della Merkel. Gli eurocrati, che negano il conflitto di civiltà, in realtà se ne  servono per dividere gli scontenti, separando gli scontenti di "sinistra" ammaliati dalla favola del "buon immigrato", da quelli di "destra", spaventati dall'"uomo nero". Gli eurocrati sanno bene che la supremazia occidentale è ormai finita, ma invece di concepire una strategia politica che consenta all’Occidente, sia pure ridimensionato, di sopravvivere, salvaguardando i propri valori fondanti, arraffano i preziosi e l’argenteria, depredano tutto ciò che si può depredare, spolpano vivi i loro popoli e aprono la porta ai nemici della nostra civiltà, prima di scappare, probabilmente, e di correre a nascondersi dove sperano di godersi i frutti della rapina. Gli eurocrati, che oggi proclamano felici che “la paura è stata sconfitta”, sulla paura in realtà hanno costruito la loro vittoria e la vittoria del loro pupazzo. O meglio, ad una paura sacrosanta – quella del popolo che si vede scorticato dalla moneta unica, esposto alla minaccia terroristica e invaso da una massa portatrice di identità, abitudini e mentalità incompatibili con quelle occidentali -  hanno saputo opporre una paura finta e strumentale, quella del “populismo”.

Tra le molte battute che circolano in queste ore ho letto anche questa: “i francesi hanno dimostrato di essere più stupidi degli italiani”. Aspettiamo, però, a sorridere, sia pure amaramente: tra poco saremo chiamati a scegliere fra Renzi e Di Maio… Il regime dominante mostra purtroppo la capacità che hanno i dominatori più ferrei: riesce a scegliere non solo chi deve governare, ma anche chi deve rappresentare l’alternativa. In modo che questa alternativa sia improponibile, come si è mostrata la Le Pen in Francia, oppure vuota e inutile, come il M5S in Italia, sul quale il giudizio forse definitivo è quello, come al solito spietatamente lucido di Luttwak, in occasione della visita negli USA di Di Maio (Di Maio ad Harvard: un nuovo ossimoro): «il M5S ha raccolto una volontà di cambiamento e l’ha tradotta in un niente».

Probabilmente, avete vinto voi. Lo sappiamo. Un giorno, magari, scopriremo di amare il Grande Fratello, il dio Baal di Bruxelles (se non arriverà prima il Califfo…). A tanti accade già. Un giorno, ci convincerete che due più due fa cinque, che «la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza e forza».

Ma non è ancora il tempo, se mai arriverà. Per ora possiamo ancora ritirarci in un angolo nascosto a scrivere il nostro diario. Per ora possiamo perfino scrivere voluttuosamente sulla pagina «abbasso il Grande Fratello, abbasso il Grande Fratello!». Per ora, soprattutto, possiamo ancora correre fuori città, andare in campagna, come Winston e Julia in 1984, lungo quel ruscello, nel “Paese d’oro” che certe volte continuiamo a sognare, Winston con Julia, Julia con Winston; oppure con gli amici fidati, o persino da soli. Prima di essere presi, possiamo vivere ancora liberi per qualche tempo.

E quindi tenetevi le vostre vittorie, le vostre bandiere e i vostri burattini; e non ci date fastidio.




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