giovedì 23 giugno 2016

SCENDERE DAL CARRO DEL VINCITORE: IL "SUCCESSO" ELETTORALE DEL M5S



L’esito dei ballottaggi, al di là dei prevalenti significati locali del voto, ha indubbiamente segnato una sconfitta politica del PD e di Renzi e un successo del M5S. E’ su quest’ultimo dato che vorrei fare qualche riflessione, davvero sine ira et studio. In particolare, mi sembra opportuno sottolineare alcuni elementi critici in questo risultato del M5S, pur positivo, elementi che sfuggono, mi pare, a molti osservatori e certamente alla stragrande maggioranza dei sostenitori del movimento fondato da Grillo, presi come sono da una pur comprensibile euforia.
1.     Il successo di Raggi e Appendino e degli altri sindaci eletti del M5S si giova, in modo decisivo, di un elemento “tecnico”: il sistema elettorale a doppio turno con ballottaggio. E’ vero che i candidati del M5S si sono dimostrati forti già al primo turno – altrimenti, è ovvio, al ballottaggio non ci sarebbero arrivati – e questo certamente significa che il M5S gode ormai di uno zoccolo duro di suffragi ed è una forza politica non effimera. Al secondo turno, tuttavia, la loro affermazione – e quindi l’elezione – è dipesa dal consenso ricevuto da parecchi elettori di centro-destra. Sarebbe stupido scandalizzarsi di questo e accusare il M5S di aver preso i voti dei “leghisti” o dei “fascisti”: è la logica di questo sistema elettorale democratico. Il dato è piuttosto un altro: questo sistema elettorale maschera un fondamentale handicap politico del M5S, che è il suo deliberato autoisolamento.
In una prossima elezione politica nazionale, se l’”Italicum” non dovesse essere modificato, il M5S potrebbe peraltro godere dello stesso vantaggio che domenica scorsa gli ha consentito il successo. Ma davvero Renzi correrà il rischio di perdere le elezioni, pur di non modificare la legge elettorale? Davvero continuerà a sottovalutare le possibilità del M5S in un eventuale ballottaggio nazionale con il PD e preferirà tener fermo l’”Italicum” con ballottaggio fra le due liste più votate? La legge elettorale così come è offre indubbiamente una serie di vantaggi al premier, che non a caso l’ha fortemente voluta: riduce notevolmente o cancella del tutto il potere contrattuale dei centristi di Alfano, della minoranza interna del PD, della sinistra cosiddetta “radicale” (ma che vorrebbe ancora giovarsi strumentalmente di un’alleanza elettorale del PD, come SEL nelle ultime elezioni); inoltre, l’”Italicum” mette in un vicolo cieco il  centro-destra, costringendo Berlusconi, Salvini e Meloni o a varare una lista unica, che non consentirebbe loro di convincere tutti i potenziali e rispettivi elettori, ostili in molti casi a questa ammucchiata (i leghisti alla lista unica con Forza Italia e, viceversa, i berlusconiani “moderati” a una lista unica con Salvini e Meloni), e nemmeno di accontentare tutti gli “appetiti” elettorali; oppure a procedere in ordine sparso, mettendosi così automaticamente fuori gioco. Tutti questi relativi vantaggi conterebbero poco o nulla, tuttavia, se, dopo aver neutralizzato tutti gli antagonisti e concorrenti politici, escluso il M5S Renzi dovesse poi soccombere proprio in un ballottaggio con quest’ultimo. Sarebbe la riedizione in chiave elettorale della Coppa Rimet del 1970, con l’Italia che supera tutte le fasi eliminatorie, vince un’epica sfida con la Germania (Ovest) e poi capitola nella finale. Valcareggi, come i meno giovani ricordano, non venne precisamente osannato al suo ritorno in patria, ma fu accolto da fischi, insulti e lancio di pomodori…
Non escludo che gli elettori di centro-destra siano stati orientati dai loro leader, in primis Salvini, a preferire i candidati del M5S al ballottaggio anche e soprattutto per far giungere al premier un inequivocabile messaggio: in un ballottaggio con il M5S il PD perde e pertanto è più conveniente e prudente modificare l’”Italicum” passando al ballottaggio non già fra le liste più votate, ma fra le coalizioni. Se ci fosse questa modifica, Renzi dovrebbe certamente subire i “ricatti” degli alleati esterni e interni al PD, ma avrebbe maggiori possibilità di vincere la “finale”. Non mi è chiaro affatto che cosa Renzi deciderà di fare, perché se la prudenza gli consiglierebbe la modifica della legge elettorale, è pur vero che il suo stile politico è quello del giocatore d’azzardo. Uno stile politico che ha sempre segnato le grandi e repentine ascese, ma anche le brusche e catastrofiche cadute. Se però dovesse prevalere la prudenza, il centro-destra rientrerebbe in gioco e il M5S tornerebbe al suo splendido, ma sterile isolamento. E non gli resterebbero che i sindaci di Roma e Torino. E forse, anche se non vorrei fare il “gufo”, solo quello di Torino…

2.     Le dichiarazioni post-voto confermano, per quanto mi riguarda, le valutazioni che avevo già espresso sulla Appendino e la Raggi: la prima potrà essere un buon sindaco – se non sarà messa in difficoltà dal suo stesso movimento – mentre la seconda è palesemente inadeguata al difficilissimo compito che si è assunta. Nelle prime ore, diversi presidenti di aziende “municipalizzate”, a cominciare dalla famigerata azienda che gestisce i rifiuti, hanno rimesso il mandato, per “correttezza istituzionale”, dicono. Questa mossa può invece preannunciare il sistematico boicottaggio del sindaco neoeletto, il che significa che una città che già “cammina” lentamente, nei prossimi mesi potrebbe paralizzarsi del tutto (e non mi riferisco solo ai trasporti, ovviamente). L’elezione della Raggi potrebbe quindi configurarsi come un enorme “trappolone” per lei e soprattutto per il M5S. Riuscirà la Raggi a sfuggire alle tagliole politiche che possono prevedersi numerose sul suo cammino? E che cosa succederebbe se dovesse arrivare un avviso di garanzia, eventualità tutt’altro che improbabile per chi conosca minimamente la situazione romana e anche la Procura di quella città, se dovesse aprirsi un’indagine giudiziaria che la vedesse coinvolta direttamente o che – come è accaduto a Marino – coinvolgesse persone di cui si sarà circondata o sulle quali non avrà vigilato abbastanza? La mia fallibilissima previsione è che questo scenario si aprirà entro 18 mesi, con conseguenze dirompenti…

3.     Se si leggono le inchieste degli inviati – e parlo di giornali come “La Stampa” o il “Corriere della Sera” e non di “Libero” – si può facilmente comprendere come nel largo consenso delle “periferie urbane” alle candidate del M5S, e in particolar modo alla Raggi, ci sia un grande equivoco. La Raggi promette di occuparsi delle periferie curando i trasporti, la raccolta rifiuti e gli altri servizi pubblici e portando in quei quartieri spettacoli, cinema, teatro, cultura, “integrazione”. Dalle interviste con i residenti risulta che l’”offerta” incontra la domanda su poche questioni, quelle dei trasporti e, talora, dei rifiuti (ma qui si tratta di passare dalle parole ai fatti e di aver ragione dei “mostri” che si chiamano ATAC e AMA). Dalle medesime interviste non emerge, purtroppo, una domanda di “cultura”, né vi è qualcuno che lamenti la mancanza di cinema e teatri (questa cosa dei cinema in periferia sembra poi tratta da un programma del PCI anni Settanta ed è davvero sorprendente nell’esponente di un movimento così legato al WEB…). La prima cosa che una larga maggioranza degli intervistati chiede è piuttosto di essere “liberati” da immigrati, spacciatori e piccoli criminali.  In sostanza, ciò che emerge è un bisogno primario di sicurezza unito a un riflesso “identitario”. Non considero tout court di destra questo bisogno e questo riflesso, ma è un fatto che in tutta Europa e non solo in Italia essi sono interpretati e rappresentati politicamente soltanto da una certa destra politica, non già dalla sinistra e nemmeno dal M5S, che proprio su tali questioni non ha sciolto una delle fondamentali ambiguità del suo progetto politico (le altre riguardano l’UE e, specificamente, l’euro, e la politica estera). Non a caso, in quelle stesse periferie era solo la Meloni che nel voto del primo turno teneva testa alla Raggi, la quale ha surclassato Giachetti, grazie anche al concorso di elettori provenienti dalla ben radicata destra capitolina. Gli intervistati hanno anche detto che il voto alla Raggi è per loro “una prova”. Se dovesse basarsi largamente su un equivoco, l’esito negativo di questa prova sarebbe scontato e le ripercussioni inevitabili.

4.     Il rischio più grande – e non solo per la Raggi, ma per tutto il M5S – è nell’essere identificati essenzialmente come quelli “nuovi” e “onesti” e ottenere consensi essenzialmente su questa base. L’esperienza insegna che un bel giorno arriva sempre qualcuno che si presenta come più nuovo e più onesto di te. Renzi stesso vince a mani basse contro Berlusconi o contro le cariatidi del suo partito per questo motivo, ma ha perso domenica scorsa di fronte a qualcuno che si presentava più “rottamatore” di lui. Quanto alla gara a chi è più “puro” sull’agone politico e ai pericoli di questa competizione, su ciò disse cose definitive tanto tempo fa il vecchio Nenni, la cui personale probità era del tutto fuori discussione, ma che ben conosceva la differenza fra l’etica privata e l’etica politica: “a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro di te… che ti epura”.
Ritenere che l’onestà sia una qualità politica e non invece, intesa però secondo i criteri di un’etica pubblica che non può coincidere tout court con quella privata, un prerequisito per potersi credibilmente affacciare sulla scena politica, ritenerla, anzi, la principale, se non l’unica qualità che conti, espone a disastri e derive anche di altro tipo, come quello di una approssimativa selezione della propria classe dirigente, che prescinde dalle competenze specifiche. Non posso che ripetermi: un onesto incompetente può fare più danni di un corrotto capace di amministrare.

5.     Arriviamo così all’ultimo e fondamentale “equivoco” del voto e soprattutto dell’analisi del voto al M5S: che i cosiddetti “grillini” siano votati dagli “italiani onesti”, dalla parte “sana” del paese. Questo può esser vero (e forse non del tutto) solo se per onestà si intende, in modo estremamente riduttivo, il non essere direttamente e attivamente partecipi della corruzione “politica”. Ma come la mettiamo con le “piccole” e quotidiane disonestà, con i “piccoli” e ordinari abusi, omissioni e infrazioni alle leggi e anche semplicemente alle regole del vivere civile? Se davvero il M5S fosse votato dagli italiani estranei a questa “piccola” corruzione temo che resterebbe assai lontano dal 25, dal 20 e anche dal 10% dei voti! Certo, quando si invoca l’”onestà”, nei talk show, nei comizi, nelle campagne elettorali o nelle semplici discussioni politiche da bar e da marciapiede, si stigmatizza sempre la “grande” corruzione, quella dei politici, dei sindaci, dei presidenti e consiglieri regionali, degli alti funzionari dello stato e non si bada alla “piccola”, ordinaria e quotidiana corruzione. Quest’ultima viene rimossa o sottovalutata. Quando la si evoca, ci si scontra di solito con un sorriso di sufficienza. Quelli che sono in buona fede commettono un grave errore a sorridere della piccola corruzione quotidiana. Prendo in prestito le parole di un personaggio letterario, che si riferiscono agli autori di “piccole violenze” e alludono al nazismo, ma che possono efficacemente applicarsi anche al nostro caso: “Molti benintenzionati nel nostro ceto sono abituati a sorridere di questi piccoli violenti e a giudicare folli coloro che hanno dichiarato loro guerra… Questo sorridere è tanto stolto e irresponsabile, quanto sorridere della piccolezza dei batteri…sono gli autori di piccole violenze a corrompere un popolo nel suo intimo; sono come gli invisibili germi della consunzione…”.
Tanti, però, non sono affatto in buona fede e se minimizzano la “piccola” corruzione, se evitano di guardarla in faccia è perché dovrebbero guardare se stessi, o almeno il familiare, il collega, l’amico, il vicino di casa…Risulta più comodo, specie in tempo di crisi, prendersela soltanto con il politico – certamente colpevole, ma la cui colpa non nasce dal nulla, ma da un certo tessuto antropologico. E le forze politiche che, di volta in volta, si intestano la battaglia per l’onestà e contro la corruzione finiscono per avere questo ruolo: non già la rappresentanza della “parte sana” del paese, ma il lavacro collettivo dei propri “piccoli” peccati attraverso il capro espiatorio della “grande” corruzione politica e amministrativa. Ruolo che espone a gravi e finanche immancabili pericoli: anzitutto, occorre stare ben attenti a colpire i “grandi” disonesti e la “grande” corruzione, o almeno a dare l’impressione che lo si voglia fare, senza però toccare i “piccoli” disonesti e la vasta e diffusa area di illegalità o anche soltanto di malcostume, perché altrimenti si ledono gli interessi o si minacciano le inveterate abitudini di molti dei propri elettori, i quali queste cose difficilmente le perdonano. In secondo luogo, basta poco per non essere più credibili in questa veste di moralizzatori e per passare dal ruolo del simulacro dell’onestà che consente il lavacro collettivo a quello di capro espiatorio. Chi, durante tangentopoli, esponeva il cappio nell’aula del Parlamento e tirava monetine dinanzi al Raphael, anni dopo è finito alla gogna per le lauree in Albania o per le mutande verdi…
Basta poco per questa parabola, non tanto perché, come si dice spesso, alla fine quelli che “salgono” al governo sono tutti uguali e il potere corrompe, ma perché l’onestà sulla scena pubblica è legata all’esistenza di un progetto politico: tendenzialmente è e soprattutto resta onesto chi ha un progetto politico – lo prova proprio il citato Nenni, insieme a molti altri esponenti della vecchia o vecchissima classe politica repubblicana. Se, invece, è l’”onestà” stessa a costituire il progetto politico, essa difficilmente resiste alla prova del governo o all’amministrazione di grandi e difficili realtà urbane.

Questa riflessione – lo so già – è destinata a deludere, se non a indispettire parecchi miei amici (e non amici), e a compiacerne altri. Tutti coloro che nei mesi scorsi mi hanno considerato un esemplare, sia pure abbastanza anomalo, di “grillino” e che magari fra poco cominceranno a considerarmi uno strano animale da bestiario, un “leghista” del sud e con un passato indiscutibilmente di “sinistra”. Sono gli equivoci che capitano quando si confondono le scelte politiche con i matrimoni indissolubili, con il tifo calcistico, con le guerre di religione. Di questi fraintendimenti me ne sono già fatto una ragione e non mi turbano più di tanto, avendo l’onestà intellettuale e l’autonomia di pensiero molto più care degli applausi o dei fischi dei conoscenti. Piuttosto, senza nascondere affatto ciò che del resto ho dichiarato pubblicamente  - e cioè che alle ultime elezioni europee, pur con serie riserve, ho votato M5S, ritenendolo il principale ostacolo all’instaurarsi di quel regime renziano che poi, proprio a causa di quel trionfo elettorale, ha effettivamente dato i suoi frutti avvelenati (a cominciare dalla riforma della scuola) – vorrei sottolineare quanto sia salutare per ogni mente che si voglia mantenere critica e autonoma e per ogni cittadino che voglia vigilare su chi esercita il potere, come si conviene ad un sano ordinamento liberale, la pratica di uno sport così poco amato dagli italiani: SCENDERE dal carro del vincitore. Che un po’ di cittadini liberi facciano questa sana attività fisica è, peraltro, anche nell’interesse del vincitore, sebbene questi non lo capisca quasi mai.

sabato 18 giugno 2016

CHI VOTEREI AI BALLOTTAGGI...

Non voto in nessuna delle città interessate dai ballottaggi, ma non mi sottraggo al gioco del “chi voterei” e non rinuncio al piacere di sconcertare un po’ di persone, preferibilmente appartenenti a due categorie:  quelli che criticano le scelte elettorali altrui, senza mai dichiarare le proprie; e quelli che hanno con i partiti e movimenti politici un rapporto simile a quello dei tifosi con la propria “squadra del cuore” e con le odiatissime squadre rivali. Per quanto mi riguarda, la mia squadra del cuore, da 50 anni, è la Juventus e le squadre più odiate sono l’Inter, il Napoli, la Roma, il Torino…. Nessuna di queste squadre è candidato-sindaco, per cui posso cercare di ragionare…

ROMA: ASTENSIONE
Non è affatto il ballottaggio più importante, ma è, inevitabilmente, quello di cui più si parla, non tanto perché si tratta della città capitale, ma per le ben note vicende di “Mafia Capitale” e dell’ex sindaco Marino. Proprio queste vicende dovrebbero indurre qualunque cittadino di buon senso a non votare candidati che siano espressione delle forze che hanno avuto dirette responsabilità nelle passate amministrazioni e a scegliere candidati espressione di forze che invece da queste responsabilità siano rimaste esenti. Se non che, il M5S si presenta con una candidata sindaco – la Raggi – che ad ogni uscita televisiva mi ha fatto un’impressione francamente penosa. Qui c’è un problema di fondo, che va ben oltre il caso Roma: il M5S non può pensare di continuare ad affrontare in modo così naif, con una simile sconcertante approssimazione, il cruciale problema della selezione della propria classe politica e amministrativa. Non è affatto vero che qualunque cittadino possa ricoprire qualunque incarico e che l’onestà sia l’unico requisito richiesto! Uno non vale uno! Competenza, attitudini, percorsi formativi, esperienze pregresse contano e come! Un onesto incapace può fare molti più danni a una collettività di un corrotto competente…
La Raggi, peraltro, è sostenuta da un’onda emotiva che poco ha a che fare con la sacrosanta indignazione per gli scandali e per il fatto che non esista in Europa capitale peggio amministrata di Roma, ma che ha assunto connotati di becero qualunquismo a dir poco inquietanti.
Giachetti è sicuramente molto più competente della Raggi. Ha anche fama di personale rettitudine e certamente non è mai stato coinvolto in nessuno scandalo (ma su questo bisognerebbe ricordarsi sempre del precedente di Marino…). Tuttavia, votare a Roma per il candidato espressione del PD, dopo tutto quello che è successo, mi pare davvero espressione di irresponsabilità civica.
Io avrei preferito la Meloni e, fossi stato residente a Roma, l’avrei votata sia contro Giachetti che contro Raggi. Mi pare quasi di vedere la faccia scandalizzata di qualcuno. Al quale qualcuno vorrei solo ricordare che, quando entrambi eravamo più giovani, io e la Meloni abbiamo militato su fronti opposti e non precisamente amici.  Il fatto che ora potrei arrivare a votarla non è certo dovuto alla “caduta delle ideologie” – alle quali ero assai poco sensibile anche allora – né ad una pacificazione “buonista”, ma a ben altro. Delle due l’una: o un grave problema ce l’ho io, o un grave problema ce l’ha ciò che ancora si definisce “sinistra”. Mi rimetto serenamente al giudizio del lettore che non abbia pregiudizi…
In tali condizioni, comunque, a Roma non resta che l’astensione, con la sconsolata certezza che comunque vada sarà un disastro.


MILANO: PARISI
E’ questo l’unico ballottaggio che abbia veramente un significato politico nazionale e che possa incidere sugli equilibri politici generali.
Voterei Parisi al 101%. Non è affatto vero che i due candidati siano eguali, come affermano quelli che da anni a Milano votano per Basilio Rizzo, ormai divenuto la perfetta espressione di una sinistra radicale mummificata e comunque incapace di andare oltre il 3-4% (come confermano i casi di Airaudo a Torino e Fassina a Roma), nonostante Renzi non sia “di sinistra”, nonostante il PD e i suoi candidati non siano “di sinistra”. Il che conferma che, se questo è vero, non induce affatto gli elettori a votare per i candidati della sinistra “pura e dura” e che, piaccia o non piaccia, quel fantomatico enorme spazio a sinistra del PD non c’è affatto. Sarebbe bene prenderne atto, una buona volta.
I due candidati non sono eguali. E’ vero che sono entrambi dei manager, ma la differenza essenziale è che Sala è l’uomo dell’Expo immediatamente riciclato come candidato sindaco. Come se una grande e controversa impresa commerciale e l’amministrazione di un Comune fossero la stessa cosa. Sala, inoltre, è l’unico fra i diversi candidati sindaco del PD che può essere considerato diretta espressione di Renzi. La sua vittoria o la sua sconfitta sono la vittoria o la sconfitta di Renzi, il che invece non si può dire né per Fassino, né per Giachetti. Parisi è l’espressione di un centro-destra non solo unito, ma liberale e presentabile. L’Italia ha assoluto bisogno di un polo moderato di questo tipo e ciò dovrebbero essere negli auspici di tutti quelli che hanno a cuore la salute della nostra democrazia e non solo degli elettori del centro-destra. Mentre Parisi, infine, ha preso posizioni nette sulle questioni del pericolo jihadista e dell’antisemitismo islamico (e non islamico), Sala ha candidato un’esponente islamica, che si dichiara “moderata”, ma la cui organizzazione ha stretti rapporti con i Fratelli musulmani, e che ha familiari – la madre, il marito – che sul web inneggiano ad Hamas e alla distruzione di Israele. La suddetta candidata, rigorosamente “velata”, ha anche raccolto un buon numero di preferenze. Qui si intravede il profilo inquietante di certo filo islamismo e di certe denunce dell’”islamofobia” da parte di determinate forze politiche e candidati, che, mossi da convenienze elettorali, cavalcano una tigre che può divenire sempre più pericolosa. La differenza fra Sala e Parisi è quindi inequivocabile, dato che il primo a differenza del secondo si presenta come fautore di un progetto multiculturalista che è solo mistificazione ideologica  e che, a parte il pericolo di infiltrazioni jihadiste, mette a repentaglio principi e valori fondanti della nostra civiltà.

TORINO: FASSINO
Bisogna riconoscere all’Appendino una stoffa politica ben diversa da quella della Raggi. Probabilmente non sarebbe affatto un cattivo sindaco. Quel che è certo, però, è che un cattivo sindaco non è stato Fassino, a meno che non gli si voglia imputare una sofferenza sociale che è conseguenza di una crisi economica che ha colpito in modo particolarmente duro certi settori dell’economia torinese. Un sindaco ha poteri e risorse limitati per fronteggiare queste situazioni. Torino, fra le grandi città italiane, è però senza ombra di dubbio quella meglio governata e non si vedono francamente ragionevoli motivi per “sfiduciare” Fassino o per evocare l’esigenza di un “cambiamento” se non si interpreta il voto amministrativo come non lo si deve interpretare, e cioè come una partita fra il PD e il M5S e come un semplice preliminare delle prossime politiche.

BOLOGNA:  BORGONZONI
Per Bologna, vale il discorso precisamente opposto a quello di Torino: se la qualità urbana di quest’ultima è progressivamente migliorata, a parte i contraccolpi della crisi, quella di Bologna è costantemente peggiorata negli ultimi venti anni e quindi già prima del 2007-2008. L’esigenza di un cambiamento qui c’è. Ma a parte ogni altra considerazione, se io fossi residente a Bologna voterei la candidata della Lega anche per un solo motivo: perché è davvero indecente che ogni volta che il segretario di questo partito si reca a Bologna per tenervi una manifestazione, come è suo sacrosanto diritto ed è soprattutto diritto dei sostenitori della Lega e di qualunque cittadino voglia ascoltare e partecipare, vi siano i cosiddetti centri sociali che inscenano una gazzarra di pura marca squadristica per impedirgli di parlare. Il diritto alla parola e l’indignazione quando esso viene conculcato, vale per tutti, che si chiamino Salvini o “Radio Alice”.

NAPOLI: LETTIERI.
Lettieri al 102%. Non per Lettieri in sé, ma per De Magistris, una miscela esplosiva dei vecchi rigurgiti reazionari con le scemenze ideologiche e le intolleranze squadristiche della sinistra radicale. Sono i primi, comunque, che connotano il personaggio: un giustizialismo che è la versione aggiornata del vecchio qualunquismo di Guglielmo Giannini. Un rivendicazionismo sudista e strumentalmente antigovernativo, che ha una antica e non nobile tradizione, a partire dal Mattino di Scarfoglio per arrivare ad Achille Lauro. Un atteggiamento da “re di Napoli” , un accentramento decisionista, un culto della propria immagine che assecondano l’atavico e mai vinto sentimento monarchico di molti napoletani.  Oltre a questo, De Magistris vezzeggia e asseconda le peggiori tendenze della sinistra radicale e dei centri sociali e se Sala a Milano ha una sola candidata filo-Hamas – anzi con dei familiari filo-Hamas – De Magistris, pescando nell’area suddetta dei centri sociali, ne presenta un piccolo campionario. Del resto il gratuito “facimmo ammuina” e il sostanziale squadrismo negli atteggiamenti assunti verso gli antagonisti politici,  creano una sostanziale sintonia fra il candidato sindaco e questi gruppi dell’estrema sinistra.
Tutta la carriera pubblica di De Magistris appare una grande costruzione mistificante. Da magistrato ha vestito i panni del paladino della lotta alla corruzione politica perseguitato dai “poteri forti”. Se non che, tutte le sue inchieste sono finite in una bolla di sapone e non si è mai capito quali poteri forti lo abbiano poi osteggiato. Da sindaco si è preso il merito di aver liberato Napoli dai rifiuti: è questo l’unica argomento che sono riuscito a strappare dalla bocca dei suoi non pochi sostenitori, quando ho chiesto ragione di questa loro esaltazione agiografica di “Giggino”. I meglio informati sanno, però, che De Magistris si giovò di misure che erano state prese dall’amministrazione precedente. Dai rifiuti sono poi stati liberati solo alcuni quartieri e certe strade-vetrina e, comunque, sapendo come funzionano le cose nel ciclo dei rifiuti in Campania, se davvero ci fosse stata questa repentina scomparsa dei rifiuti urbani, il miracolo avrebbe connotati inquietanti e bisognerebbe supporre un concorso di ben note potenze “demoniache”…
Infine, ciò che colpisce nella vicenda delle elezioni napoletane è che De Magistris sia subito apparso come predestinato alla vittoria. Il M5S candida un improbabile signor Brambilla. Il centro-destra non trova di meglio che ricorrere al perdente dell’altra volta. Pare proprio che De Magistris “debba” vincere. Un’altra ragione per votare Lettieri.
Certo di aver scontentato e anche scandalizzato tanti fra i pochi che mi leggeranno, aspetto, senza ansia alcuna, l’esito del voto!

martedì 14 giugno 2016

LA STRAGE DI ORLANDO E LA DISFATTA DELLA NARRAZIONE PROGRESSISTA



La strage di Orlando non ha solo ucciso 50 persone innocenti: ha demolito e colato a picco la narrazione progressista sul fenomeno terroristico. Eppure, questa narrazione ha cercato anche in questa circostanza di dare il meglio di sé. Si è cominciato con la solita imbarazzata reticenza dei giornalisti e delle giornaliste (si è particolarmente distinta la Fanuele di La7 e merita una citazione specifica): l’attentatore è un “americano” si sono subito affrettati a dire costoro, quasi sollevati, mentre giungevano le prime notizie. Certo, quell’”americano” si chiamava Omar, un nome di battesimo che di solito i “suprematisti bianchi” non portano; certo il padre proveniva dall’Afghanistan… ma proprio questo scomodo genitore, inizialmente, è sembrato tornare utile alla suddetta narrazione. E’ stata, infatti, rilanciata immediatamente una sua presunta dichiarazione nella quale egli avrebbe sostenuto che l’unica motivazione del gesto criminale del figlio era da ricercarsi nell’odio contro gli omosessuali. Ecco, vedete, era il sottinteso dei narratori progressisti, è omofobia, l’islam non c’entra! Peccato, che poco dopo si sia scoperto che il buon genitore è un fanatico sostenitore dei talebani, che usa fare comizi televisivi a favore dei seguaci del defunto mullah Omar e contro gli USA e l’Occidente tutto… Peccato, soprattutto, che il figlio, l’autore della strage, mentre la stava compiendo abbia avuto il tempo di chiamare il numero di emergenza statunitense e di dichiararsi seguace del Califfo al-Baghdadi. Peccato che l’IS abbia subito rivendicato la strage, definendo  il suddetto Omar, “uno di noi”.
La “narrazione progressista”, data la sua natura schiettamente ideologica, non tiene però conto delle evidenze fattuali. E difatti, il presidente Obama ha parlato semplicemente di “odio e terrore” e poi di “terrorismo domestico”, senza neanche citare l’islam, mentre la Clinton ha ribadito che “l’islam non ha nulla a che vedere con il terrorismo islamico”. In tutto il mondo, poi, Italia compresa, la strage è stata subito etichettata come “omofoba”. Il sottinteso – ma non di rado  questo sottinteso è stato anche chiaramente esplicitato – è che la colpa è della notoria “omofobia” occidentale e che quindi, ancora una volta, “l’islam non c’entra”. Mi ero quasi convinto e, dato che questi signori “progressisti” considerano omofobo anche chi è contrario alle adozioni gay, stavo per costituirmi: lasciate perdere Omar, volevo dire all’FBI, che è solo un esecutore materiale, che è un musulmano così ben integrato che ha assimilato il terribile morbo autoctono occidentale dell’omofobia. Il vero responsabile della strage sono io! Un amico delle forze dell’ordine mi ha però dissuaso: vedi, mi ha detto, purtroppo polizia e magistratura scontano questo terribile ritardo culturale nell’individuare i veri responsabili dei fenomeni criminali come il terrorismo…non ti crederebbero, lascia perdere…
Intanto, la narrazione progressista trovava nuovi simboli: è stato presto adottato un nastrino, metà con i colori della bandiera americana e metà con i colori arcobaleno ormai ascritti all’”orgoglio gay” (a dispetto della Bibbia, di Genesi 9, del diluvio, di Noè e dell’Eterno…). E’ stato, comunque, divertente vedere tanti pervicaci antiamericani postare come immagine del profilo un nastrino che almeno per metà aveva gli odiati imperialistici colori: potenza purificante dell’arcobaleno!
Ma è tempo di lasciare l’ironia. La “narrazione progressista” sul terrorismo islamico, come dicevo, esce demolita da quest’ultima tragica vicenda, almeno agli occhi di chi non sia completamente ottenebrato dall’ideologia. Demolita in ogni suo punto fondante.
“L’islam non c’entra. La colpa è dell’emarginazione sociale, della povertà, del degrado, che è l’humus dal quale nascono i terroristi. La colpa è dell’Occidente”. Ebbene, per l’ennesima volta, come a Parigi, a Bruxelles, a San Bernardino, l’autore della strage non è un emarginato, un povero, un disadattato, non è neanche disoccupato, ma è una guardia giurata con un buon reddito, immigrato di seconda generazione, in apparenza perfettamente “integrato”.
“L’islam non c’entra. La colpa è della politica occidentale e specificamente americana in Medio Oriente”. Certo, il padre del criminale inneggia ai talebani e Bush invase l’Afghanistan nel 2001. Ma, a parte il fatto, regolarmente e incredibilmente dimenticato nella suddetta narrazione, che questa vicenda delle “guerre di Bush” non incomincia con l’invasione dell’Afghanistan, ma con quel piccolo, irrilevante episodio che fu la strage dell’11 settembre, se il killer intendeva vendicarsi della brutale aggressione imperialistica ai danni del paese di suo padre, perché non è entrato in un locale di marines? Perché prendersela con i gay? Era gay forse George W. Bush? Ha forse mandato battaglioni di marines gay in Afghanistan?
“L’islam non c’entra. La colpa è degli USA dove circolano troppe armi e le armi si acquistano con troppa facilità”. Qui, una prima considerazione va fatta sul modo in cui i “progressisti” trattano e usano il tema delle “diversità culturali”. Se si tratta delle diversità fra l’occidente e i popoli arabi, fra l’occidente e l’islam, fra l’occidente e quello che una volta si chiamava “terzo mondo” queste diversità – quelle che caratterizzano gli arabi, gli islamici, le civiltà terzomondiste - vanno rispettate e tutelate come qualcosa di sacro e inviolabile. Se si tratta, invece, di diversità interne all’occidente e, in particolare, di tradizioni e modi di vivere che appartengono a popoli o anche a gruppi sociali che non godono dei favori del mondo progressista, allora queste diversità non sono più degne di rispetto o addirittura vanno considerate come meri residui barbarici. E’ il caso del diritto a possedere un’arma come segno e garanzia della libertà individuale, un diritto radicato nella storia americana e tutelato addirittura da un emendamento alla Costituzione. Ma, a parte questo, puntare il dito contro la vendita e la circolazione delle armi, piuttosto che sul fenomeno islamistico, dopo la strage di Orlando, come ha fatto innanzitutto e come sempre il nefando presidente Obama, non è solo un diversivo, è anche un argomento veramente stolto. Un sostenitore della libera circolazione delle armi – io non le amo e non ne ho mai posseduto una, ma provo a immedesimarmi – potrebbe sostenere, ribaltando in modo tutt’altro che peregrino l’argomentazione progressista, che se alcuni avventori del locale preso di mira dal criminale avessero avuto con sé un’arma, probabilmente sarebbero riusciti a fermarlo e a limitare, almeno, il numero delle vittime. Ma, in tale occasione, l’argomentazione è particolarmente idiota, visto che Omar era una guardia giurata e le guardie giurate non solo negli USA, ma in tutto il mondo, Italia compresa, non hanno difficoltà a procurarsi armi.
“L’islam non c’entra. La colpa è dell’”omofobia”. Quindi, dell’occidente”. Il dato specifico dell’ultima strage è che è stato preso di mira un locale frequentato da gay. In tal modo, i progressisti hanno creduto di trovare un argomento a sostegno delle loro fissazioni ideologiche che, talora, diventano addirittura paranoiche (mi è capitato finanche di leggere l’invettiva di un tizio che, ignorando bellamente l’identità dell’assassino, la sua dichiarazione di fedeltà all’IS e la rivendicazione dell’IS stesso, accusava soltanto gli “omofobi” occidentali, dicendo più o meno: “ecco, ora sarete contenti, l’avete voluto voi…” e giù una sfilza di improperi). E’ vero il contrario: dopo i fatti di Colonia di Capodanno, con le donne molestate in piazza da bande di immigrati islamici (proprio in questi giorni, dopo mesi, la polizia ha confermato che i responsabili erano tutti islamici e immigrati), questo nuovo episodio fa definitivamente esplodere le contraddizioni della narrazione progressista “politically correct”. Che si fonda su tre pilastri: il neofemminismo – che prende di mira il maschilismo da cui sarebbe ancora pervasa la società occidentale e che ha inventato la categoria giuridica del “femminicidio”; l’”omofilia”, che si estrinseca nelle battaglie a favore dei veri o presunti “diritti” degli omosessuali e specificamente delle coppie omosessuali e nelle manifestazioni stile “gay-pride”; il “multiculturalismo”, in realtà declinato soprattutto come “islamofilia”, nuova versione del vecchio “terzomondismo”, che denuncia come problema fondamentale dell’Occidente attuale, la xenofobia e, in particolare, l’islamofobia.
Ebbene questi tre pilastri non reggono tutti assieme, in quanto almeno uno dei tre è in violenta contraddizione con gli altri. Ed è proprio questo conflitto che fa crollare tutta l’impalcatura della narrazione ideologica progressista. Si era già visto a Colonia, con il silenzio imbarazzato delle neofemministe o le loro patetiche argomentazioni diversive (“anche gli occidentali molestano le donne, il problema non è l’islam e non sono gli immigrati”) e con la coraggiosa, isolata denuncia di qualche “veterofemminista” (l’”accoglienza” indiscriminata senza integrazione rischia di compromettere diritti faticosamente acquisiti in Occidente proprio dalle donne). Ora, questa ultima orrenda strage, che ha preso di mira i gay. La conclusione è molto semplice: l’islamofilia multiculturalista non è compatibile con il neo o veterofemminismo, ma soprattutto non è compatibile con la tutela del ruolo e dei diritti delle donne come si sono venuti consolidando nella società occidentale. L’islamofilia multiculturalista è ancor meno compatibile con l’omofilia, ma soprattutto non è compatibile con il rispetto delle personali scelte sessuali e di vita, che invece appartiene ormai al pensiero e al comportamento della grande maggioranza degli occidentali ed è tutelato dalla legislazione.
E’ una mistificazione intollerabile sostenere che le vittime di Orlando sono vittime dell’”omofobia”. Esse sono vittime del terrorismo islamista. E’ “omofobo” l’islamismo? Accostare il termine così caro all’ideologia progressista – “omofobia” – alla parola islam, certo romperebbe un tabù e smaschererebbe la contraddizione della costruzione ideologica stessa. Ma sarebbe ancora una mistificazione. Un dibattito serio e un’analisi sensata dovrebbero semplicemente bandire termini come “omofobia”, “islamofobia” e “xenofobia”. Nel caso degli ebrei, giustamente, non è stato mai usato il termine “giudeofobia”. Queste parole si richiamano a una psicologia a buon mercato e possono stare sulla bocca soltanto di psicologi della domenica, o del lunedi, non su quella di persone che vogliono seriamente capire fenomeni così importanti e gravi. L’assunto, assai rozzo, è infatti che gli omosessuali sarebbero presi di mira da chi ha paura dell’omosessualità, o meglio, della loro trasgressiva libertà, e magari ha paura della propria omosessualità “latente”, se non addirittura della sessualità “tout court”! Bisognerebbe, invece, affermare una verità molto più semplice, meno contorta, meno dipendente da elucubrazioni mentali: gli islamisti, che ne abbiano o meno paura, che siano o meno sessualmente repressi e magari latentemente omosessuali, i gay li uccidono in quanto gay (mentre gli omofobi o presunti tali dell’occidente i gay non li uccidono, ma al massimo sfilano pacificamente al family day); uccidono i gay, sulla base della loro ideologia religiosa, non per presunta paura. E allo stesso modo, uccidono i cristiani in quanto cristiani e gli ebrei in quanto ebrei. E allo stesso modo, discriminano, maltrattano, molestano, violentano e schiavizzano le donne in quanto donne. Fanno tutto ciò, sulla base di una ideologia religiosa, che non è limitata a pochi fanatici, ma ha larga e crescente diffusione, soprattutto fra coloro che non commettono materialmente le stragi, ma costituiscono l’acqua in cui nuotano i pesci, ossia i terroristi.
I reticenti, i giustificazionisti occidentali e tutti quelli secondo cui “l’islam non c’entra, l’islam è religione di pace”, tutti quelli che rifiutano di porsi il problema islam – che evidentemente non significa affatto considerare tutti gli islamici potenziali terroristi, ma cancellare quelle mistificazioni che di fatto impediscono anche ai tanti milioni di islamici pacifici di far sentire la loro voce e di isolare gli islamisti radicali – devono essere finalmente smascherati e, di fronte al sangue delle vittime, devono essere inchiodati alle loro responsabilità morali: sono loro i ‘complici’, non i presunti omofobi, misogeni, islamofobi. ‘Complici’. Come quelli che tacevano di fronte alla barbarie nazifascista, o dicevano parole reticenti, o parlavano d’altro.
Ed è tempo di tener conto di questo, innanzitutto nelle proprie scelte politiche e anche specificamente elettorali, anche se questo dovesse portare a posizioni scomode e difficili da assumere, dato il proprio retroterra politico, culturale e perfino esistenziale.
Se fossi cittadino americano, ad esempio, a novembre dovrei votare Trump e non Hillary Clinton, sebbene Trump sia lontanissimo dal mio modo di pensare, di vivere e anche di parlare e mi provochi un fastidio finanche estetico. Ma non è ‘complice’ dei barbari. La Clinton, invece, che continua a dire che l’islam non ha niente a che fare con il terrorismo e che il problema è l’islamofobia, ‘complice’ lo è. Esattamente come Obama, che con la sua scellerata politica è stato l’apprendista stregone che ha scatenato le potenze di morte che sono all’opera in Medio Oriente e nel mondo intero.
Un analogo ragionamento bisognerà fare in Italia, a suo tempo. E a chi si scandalizzerà per quelle che dovessero essere le mie scelte elettorali, rispondo fin da ora: “Scandalizzati di te stesso, se voti per i ‘complici’ dei nuovi nazisti, rendendoti ‘complice’ a tua volta”.
Nei tempi difficili, occorre coraggio. Occorre opporre al barbaro coraggio dei terroristi islamici, il coraggio civile delle proprie scelte di cittadini liberi, che vogliono difendere ad ogni costo una libertà così faticosamente conquistata.