giovedì 23 giugno 2016

SCENDERE DAL CARRO DEL VINCITORE: IL "SUCCESSO" ELETTORALE DEL M5S



L’esito dei ballottaggi, al di là dei prevalenti significati locali del voto, ha indubbiamente segnato una sconfitta politica del PD e di Renzi e un successo del M5S. E’ su quest’ultimo dato che vorrei fare qualche riflessione, davvero sine ira et studio. In particolare, mi sembra opportuno sottolineare alcuni elementi critici in questo risultato del M5S, pur positivo, elementi che sfuggono, mi pare, a molti osservatori e certamente alla stragrande maggioranza dei sostenitori del movimento fondato da Grillo, presi come sono da una pur comprensibile euforia.
1.     Il successo di Raggi e Appendino e degli altri sindaci eletti del M5S si giova, in modo decisivo, di un elemento “tecnico”: il sistema elettorale a doppio turno con ballottaggio. E’ vero che i candidati del M5S si sono dimostrati forti già al primo turno – altrimenti, è ovvio, al ballottaggio non ci sarebbero arrivati – e questo certamente significa che il M5S gode ormai di uno zoccolo duro di suffragi ed è una forza politica non effimera. Al secondo turno, tuttavia, la loro affermazione – e quindi l’elezione – è dipesa dal consenso ricevuto da parecchi elettori di centro-destra. Sarebbe stupido scandalizzarsi di questo e accusare il M5S di aver preso i voti dei “leghisti” o dei “fascisti”: è la logica di questo sistema elettorale democratico. Il dato è piuttosto un altro: questo sistema elettorale maschera un fondamentale handicap politico del M5S, che è il suo deliberato autoisolamento.
In una prossima elezione politica nazionale, se l’”Italicum” non dovesse essere modificato, il M5S potrebbe peraltro godere dello stesso vantaggio che domenica scorsa gli ha consentito il successo. Ma davvero Renzi correrà il rischio di perdere le elezioni, pur di non modificare la legge elettorale? Davvero continuerà a sottovalutare le possibilità del M5S in un eventuale ballottaggio nazionale con il PD e preferirà tener fermo l’”Italicum” con ballottaggio fra le due liste più votate? La legge elettorale così come è offre indubbiamente una serie di vantaggi al premier, che non a caso l’ha fortemente voluta: riduce notevolmente o cancella del tutto il potere contrattuale dei centristi di Alfano, della minoranza interna del PD, della sinistra cosiddetta “radicale” (ma che vorrebbe ancora giovarsi strumentalmente di un’alleanza elettorale del PD, come SEL nelle ultime elezioni); inoltre, l’”Italicum” mette in un vicolo cieco il  centro-destra, costringendo Berlusconi, Salvini e Meloni o a varare una lista unica, che non consentirebbe loro di convincere tutti i potenziali e rispettivi elettori, ostili in molti casi a questa ammucchiata (i leghisti alla lista unica con Forza Italia e, viceversa, i berlusconiani “moderati” a una lista unica con Salvini e Meloni), e nemmeno di accontentare tutti gli “appetiti” elettorali; oppure a procedere in ordine sparso, mettendosi così automaticamente fuori gioco. Tutti questi relativi vantaggi conterebbero poco o nulla, tuttavia, se, dopo aver neutralizzato tutti gli antagonisti e concorrenti politici, escluso il M5S Renzi dovesse poi soccombere proprio in un ballottaggio con quest’ultimo. Sarebbe la riedizione in chiave elettorale della Coppa Rimet del 1970, con l’Italia che supera tutte le fasi eliminatorie, vince un’epica sfida con la Germania (Ovest) e poi capitola nella finale. Valcareggi, come i meno giovani ricordano, non venne precisamente osannato al suo ritorno in patria, ma fu accolto da fischi, insulti e lancio di pomodori…
Non escludo che gli elettori di centro-destra siano stati orientati dai loro leader, in primis Salvini, a preferire i candidati del M5S al ballottaggio anche e soprattutto per far giungere al premier un inequivocabile messaggio: in un ballottaggio con il M5S il PD perde e pertanto è più conveniente e prudente modificare l’”Italicum” passando al ballottaggio non già fra le liste più votate, ma fra le coalizioni. Se ci fosse questa modifica, Renzi dovrebbe certamente subire i “ricatti” degli alleati esterni e interni al PD, ma avrebbe maggiori possibilità di vincere la “finale”. Non mi è chiaro affatto che cosa Renzi deciderà di fare, perché se la prudenza gli consiglierebbe la modifica della legge elettorale, è pur vero che il suo stile politico è quello del giocatore d’azzardo. Uno stile politico che ha sempre segnato le grandi e repentine ascese, ma anche le brusche e catastrofiche cadute. Se però dovesse prevalere la prudenza, il centro-destra rientrerebbe in gioco e il M5S tornerebbe al suo splendido, ma sterile isolamento. E non gli resterebbero che i sindaci di Roma e Torino. E forse, anche se non vorrei fare il “gufo”, solo quello di Torino…

2.     Le dichiarazioni post-voto confermano, per quanto mi riguarda, le valutazioni che avevo già espresso sulla Appendino e la Raggi: la prima potrà essere un buon sindaco – se non sarà messa in difficoltà dal suo stesso movimento – mentre la seconda è palesemente inadeguata al difficilissimo compito che si è assunta. Nelle prime ore, diversi presidenti di aziende “municipalizzate”, a cominciare dalla famigerata azienda che gestisce i rifiuti, hanno rimesso il mandato, per “correttezza istituzionale”, dicono. Questa mossa può invece preannunciare il sistematico boicottaggio del sindaco neoeletto, il che significa che una città che già “cammina” lentamente, nei prossimi mesi potrebbe paralizzarsi del tutto (e non mi riferisco solo ai trasporti, ovviamente). L’elezione della Raggi potrebbe quindi configurarsi come un enorme “trappolone” per lei e soprattutto per il M5S. Riuscirà la Raggi a sfuggire alle tagliole politiche che possono prevedersi numerose sul suo cammino? E che cosa succederebbe se dovesse arrivare un avviso di garanzia, eventualità tutt’altro che improbabile per chi conosca minimamente la situazione romana e anche la Procura di quella città, se dovesse aprirsi un’indagine giudiziaria che la vedesse coinvolta direttamente o che – come è accaduto a Marino – coinvolgesse persone di cui si sarà circondata o sulle quali non avrà vigilato abbastanza? La mia fallibilissima previsione è che questo scenario si aprirà entro 18 mesi, con conseguenze dirompenti…

3.     Se si leggono le inchieste degli inviati – e parlo di giornali come “La Stampa” o il “Corriere della Sera” e non di “Libero” – si può facilmente comprendere come nel largo consenso delle “periferie urbane” alle candidate del M5S, e in particolar modo alla Raggi, ci sia un grande equivoco. La Raggi promette di occuparsi delle periferie curando i trasporti, la raccolta rifiuti e gli altri servizi pubblici e portando in quei quartieri spettacoli, cinema, teatro, cultura, “integrazione”. Dalle interviste con i residenti risulta che l’”offerta” incontra la domanda su poche questioni, quelle dei trasporti e, talora, dei rifiuti (ma qui si tratta di passare dalle parole ai fatti e di aver ragione dei “mostri” che si chiamano ATAC e AMA). Dalle medesime interviste non emerge, purtroppo, una domanda di “cultura”, né vi è qualcuno che lamenti la mancanza di cinema e teatri (questa cosa dei cinema in periferia sembra poi tratta da un programma del PCI anni Settanta ed è davvero sorprendente nell’esponente di un movimento così legato al WEB…). La prima cosa che una larga maggioranza degli intervistati chiede è piuttosto di essere “liberati” da immigrati, spacciatori e piccoli criminali.  In sostanza, ciò che emerge è un bisogno primario di sicurezza unito a un riflesso “identitario”. Non considero tout court di destra questo bisogno e questo riflesso, ma è un fatto che in tutta Europa e non solo in Italia essi sono interpretati e rappresentati politicamente soltanto da una certa destra politica, non già dalla sinistra e nemmeno dal M5S, che proprio su tali questioni non ha sciolto una delle fondamentali ambiguità del suo progetto politico (le altre riguardano l’UE e, specificamente, l’euro, e la politica estera). Non a caso, in quelle stesse periferie era solo la Meloni che nel voto del primo turno teneva testa alla Raggi, la quale ha surclassato Giachetti, grazie anche al concorso di elettori provenienti dalla ben radicata destra capitolina. Gli intervistati hanno anche detto che il voto alla Raggi è per loro “una prova”. Se dovesse basarsi largamente su un equivoco, l’esito negativo di questa prova sarebbe scontato e le ripercussioni inevitabili.

4.     Il rischio più grande – e non solo per la Raggi, ma per tutto il M5S – è nell’essere identificati essenzialmente come quelli “nuovi” e “onesti” e ottenere consensi essenzialmente su questa base. L’esperienza insegna che un bel giorno arriva sempre qualcuno che si presenta come più nuovo e più onesto di te. Renzi stesso vince a mani basse contro Berlusconi o contro le cariatidi del suo partito per questo motivo, ma ha perso domenica scorsa di fronte a qualcuno che si presentava più “rottamatore” di lui. Quanto alla gara a chi è più “puro” sull’agone politico e ai pericoli di questa competizione, su ciò disse cose definitive tanto tempo fa il vecchio Nenni, la cui personale probità era del tutto fuori discussione, ma che ben conosceva la differenza fra l’etica privata e l’etica politica: “a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro di te… che ti epura”.
Ritenere che l’onestà sia una qualità politica e non invece, intesa però secondo i criteri di un’etica pubblica che non può coincidere tout court con quella privata, un prerequisito per potersi credibilmente affacciare sulla scena politica, ritenerla, anzi, la principale, se non l’unica qualità che conti, espone a disastri e derive anche di altro tipo, come quello di una approssimativa selezione della propria classe dirigente, che prescinde dalle competenze specifiche. Non posso che ripetermi: un onesto incompetente può fare più danni di un corrotto capace di amministrare.

5.     Arriviamo così all’ultimo e fondamentale “equivoco” del voto e soprattutto dell’analisi del voto al M5S: che i cosiddetti “grillini” siano votati dagli “italiani onesti”, dalla parte “sana” del paese. Questo può esser vero (e forse non del tutto) solo se per onestà si intende, in modo estremamente riduttivo, il non essere direttamente e attivamente partecipi della corruzione “politica”. Ma come la mettiamo con le “piccole” e quotidiane disonestà, con i “piccoli” e ordinari abusi, omissioni e infrazioni alle leggi e anche semplicemente alle regole del vivere civile? Se davvero il M5S fosse votato dagli italiani estranei a questa “piccola” corruzione temo che resterebbe assai lontano dal 25, dal 20 e anche dal 10% dei voti! Certo, quando si invoca l’”onestà”, nei talk show, nei comizi, nelle campagne elettorali o nelle semplici discussioni politiche da bar e da marciapiede, si stigmatizza sempre la “grande” corruzione, quella dei politici, dei sindaci, dei presidenti e consiglieri regionali, degli alti funzionari dello stato e non si bada alla “piccola”, ordinaria e quotidiana corruzione. Quest’ultima viene rimossa o sottovalutata. Quando la si evoca, ci si scontra di solito con un sorriso di sufficienza. Quelli che sono in buona fede commettono un grave errore a sorridere della piccola corruzione quotidiana. Prendo in prestito le parole di un personaggio letterario, che si riferiscono agli autori di “piccole violenze” e alludono al nazismo, ma che possono efficacemente applicarsi anche al nostro caso: “Molti benintenzionati nel nostro ceto sono abituati a sorridere di questi piccoli violenti e a giudicare folli coloro che hanno dichiarato loro guerra… Questo sorridere è tanto stolto e irresponsabile, quanto sorridere della piccolezza dei batteri…sono gli autori di piccole violenze a corrompere un popolo nel suo intimo; sono come gli invisibili germi della consunzione…”.
Tanti, però, non sono affatto in buona fede e se minimizzano la “piccola” corruzione, se evitano di guardarla in faccia è perché dovrebbero guardare se stessi, o almeno il familiare, il collega, l’amico, il vicino di casa…Risulta più comodo, specie in tempo di crisi, prendersela soltanto con il politico – certamente colpevole, ma la cui colpa non nasce dal nulla, ma da un certo tessuto antropologico. E le forze politiche che, di volta in volta, si intestano la battaglia per l’onestà e contro la corruzione finiscono per avere questo ruolo: non già la rappresentanza della “parte sana” del paese, ma il lavacro collettivo dei propri “piccoli” peccati attraverso il capro espiatorio della “grande” corruzione politica e amministrativa. Ruolo che espone a gravi e finanche immancabili pericoli: anzitutto, occorre stare ben attenti a colpire i “grandi” disonesti e la “grande” corruzione, o almeno a dare l’impressione che lo si voglia fare, senza però toccare i “piccoli” disonesti e la vasta e diffusa area di illegalità o anche soltanto di malcostume, perché altrimenti si ledono gli interessi o si minacciano le inveterate abitudini di molti dei propri elettori, i quali queste cose difficilmente le perdonano. In secondo luogo, basta poco per non essere più credibili in questa veste di moralizzatori e per passare dal ruolo del simulacro dell’onestà che consente il lavacro collettivo a quello di capro espiatorio. Chi, durante tangentopoli, esponeva il cappio nell’aula del Parlamento e tirava monetine dinanzi al Raphael, anni dopo è finito alla gogna per le lauree in Albania o per le mutande verdi…
Basta poco per questa parabola, non tanto perché, come si dice spesso, alla fine quelli che “salgono” al governo sono tutti uguali e il potere corrompe, ma perché l’onestà sulla scena pubblica è legata all’esistenza di un progetto politico: tendenzialmente è e soprattutto resta onesto chi ha un progetto politico – lo prova proprio il citato Nenni, insieme a molti altri esponenti della vecchia o vecchissima classe politica repubblicana. Se, invece, è l’”onestà” stessa a costituire il progetto politico, essa difficilmente resiste alla prova del governo o all’amministrazione di grandi e difficili realtà urbane.

Questa riflessione – lo so già – è destinata a deludere, se non a indispettire parecchi miei amici (e non amici), e a compiacerne altri. Tutti coloro che nei mesi scorsi mi hanno considerato un esemplare, sia pure abbastanza anomalo, di “grillino” e che magari fra poco cominceranno a considerarmi uno strano animale da bestiario, un “leghista” del sud e con un passato indiscutibilmente di “sinistra”. Sono gli equivoci che capitano quando si confondono le scelte politiche con i matrimoni indissolubili, con il tifo calcistico, con le guerre di religione. Di questi fraintendimenti me ne sono già fatto una ragione e non mi turbano più di tanto, avendo l’onestà intellettuale e l’autonomia di pensiero molto più care degli applausi o dei fischi dei conoscenti. Piuttosto, senza nascondere affatto ciò che del resto ho dichiarato pubblicamente  - e cioè che alle ultime elezioni europee, pur con serie riserve, ho votato M5S, ritenendolo il principale ostacolo all’instaurarsi di quel regime renziano che poi, proprio a causa di quel trionfo elettorale, ha effettivamente dato i suoi frutti avvelenati (a cominciare dalla riforma della scuola) – vorrei sottolineare quanto sia salutare per ogni mente che si voglia mantenere critica e autonoma e per ogni cittadino che voglia vigilare su chi esercita il potere, come si conviene ad un sano ordinamento liberale, la pratica di uno sport così poco amato dagli italiani: SCENDERE dal carro del vincitore. Che un po’ di cittadini liberi facciano questa sana attività fisica è, peraltro, anche nell’interesse del vincitore, sebbene questi non lo capisca quasi mai.

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