L’esito
dei ballottaggi, al di là dei prevalenti significati locali del voto, ha
indubbiamente segnato una sconfitta politica del PD e di Renzi e un successo
del M5S. E’ su quest’ultimo dato che vorrei fare qualche riflessione, davvero sine ira et studio. In particolare, mi
sembra opportuno sottolineare alcuni elementi critici in questo risultato del
M5S, pur positivo, elementi che sfuggono, mi pare, a molti osservatori e
certamente alla stragrande maggioranza dei sostenitori del movimento fondato da
Grillo, presi come sono da una pur comprensibile euforia.
1. Il
successo di Raggi e Appendino e degli altri sindaci eletti del M5S si giova, in
modo decisivo, di un elemento
“tecnico”: il sistema elettorale a doppio turno con ballottaggio. E’ vero che i
candidati del M5S si sono dimostrati forti già al primo turno – altrimenti, è
ovvio, al ballottaggio non ci sarebbero arrivati – e questo certamente
significa che il M5S gode ormai di uno zoccolo duro di suffragi ed è una forza
politica non effimera. Al secondo turno, tuttavia, la loro affermazione – e
quindi l’elezione – è dipesa dal consenso ricevuto da parecchi elettori di
centro-destra. Sarebbe stupido scandalizzarsi di questo e accusare il M5S di
aver preso i voti dei “leghisti” o dei “fascisti”: è la logica di questo
sistema elettorale democratico. Il dato è piuttosto un altro: questo sistema
elettorale maschera un fondamentale handicap politico del M5S, che è il suo
deliberato autoisolamento.
In una prossima
elezione politica nazionale, se l’”Italicum” non dovesse essere modificato, il
M5S potrebbe peraltro godere dello stesso vantaggio che domenica scorsa gli ha
consentito il successo. Ma davvero Renzi correrà il rischio di perdere le
elezioni, pur di non modificare la legge elettorale? Davvero continuerà a
sottovalutare le possibilità del M5S in un eventuale ballottaggio nazionale con
il PD e preferirà tener fermo l’”Italicum” con ballottaggio fra le due liste più votate? La legge elettorale
così come è offre indubbiamente una serie di vantaggi al premier, che non a
caso l’ha fortemente voluta: riduce notevolmente o cancella del tutto il potere
contrattuale dei centristi di Alfano, della minoranza interna del PD, della
sinistra cosiddetta “radicale” (ma che vorrebbe ancora giovarsi strumentalmente
di un’alleanza elettorale del PD, come SEL nelle ultime elezioni); inoltre,
l’”Italicum” mette in un vicolo cieco il
centro-destra, costringendo Berlusconi, Salvini e Meloni o a varare una
lista unica, che non consentirebbe loro di convincere tutti i potenziali e rispettivi
elettori, ostili in molti casi a questa ammucchiata (i leghisti alla lista
unica con Forza Italia e, viceversa, i berlusconiani “moderati” a una lista
unica con Salvini e Meloni), e nemmeno di accontentare tutti gli “appetiti”
elettorali; oppure a procedere in ordine sparso, mettendosi così
automaticamente fuori gioco. Tutti questi relativi vantaggi conterebbero poco o
nulla, tuttavia, se, dopo aver neutralizzato tutti gli antagonisti e
concorrenti politici, escluso il M5S Renzi dovesse poi soccombere proprio in un
ballottaggio con quest’ultimo. Sarebbe la riedizione in chiave elettorale della
Coppa Rimet del 1970, con l’Italia che supera tutte le fasi eliminatorie, vince
un’epica sfida con la Germania (Ovest) e poi capitola nella finale. Valcareggi,
come i meno giovani ricordano, non venne precisamente osannato al suo ritorno
in patria, ma fu accolto da fischi, insulti e lancio di pomodori…
Non escludo che gli
elettori di centro-destra siano stati orientati dai loro leader, in primis
Salvini, a preferire i candidati del M5S al ballottaggio anche e soprattutto
per far giungere al premier un inequivocabile messaggio: in un ballottaggio con
il M5S il PD perde e pertanto è più conveniente e prudente modificare
l’”Italicum” passando al ballottaggio non già fra le liste più votate, ma fra
le coalizioni. Se ci fosse questa
modifica, Renzi dovrebbe certamente subire i “ricatti” degli alleati esterni e
interni al PD, ma avrebbe maggiori possibilità di vincere la “finale”. Non mi è
chiaro affatto che cosa Renzi deciderà di fare, perché se la prudenza gli
consiglierebbe la modifica della legge elettorale, è pur vero che il suo stile
politico è quello del giocatore d’azzardo. Uno stile politico che ha sempre
segnato le grandi e repentine ascese, ma anche le brusche e catastrofiche
cadute. Se però dovesse prevalere la prudenza, il centro-destra rientrerebbe in
gioco e il M5S tornerebbe al suo splendido, ma sterile isolamento. E non gli
resterebbero che i sindaci di Roma e Torino. E forse, anche se non vorrei fare
il “gufo”, solo quello di Torino…
2.
Le dichiarazioni post-voto confermano,
per quanto mi riguarda, le valutazioni che avevo già espresso sulla Appendino e
la Raggi: la prima potrà essere un buon sindaco – se non sarà messa in
difficoltà dal suo stesso movimento – mentre la seconda è palesemente
inadeguata al difficilissimo compito che si è assunta. Nelle prime ore, diversi
presidenti di aziende “municipalizzate”, a cominciare dalla famigerata azienda
che gestisce i rifiuti, hanno rimesso il mandato, per “correttezza
istituzionale”, dicono. Questa mossa può invece preannunciare il sistematico
boicottaggio del sindaco neoeletto, il che significa che una città che già
“cammina” lentamente, nei prossimi mesi potrebbe paralizzarsi del tutto (e non
mi riferisco solo ai trasporti, ovviamente). L’elezione della Raggi potrebbe
quindi configurarsi come un enorme “trappolone” per lei e soprattutto per il
M5S. Riuscirà la Raggi a sfuggire alle tagliole politiche che possono
prevedersi numerose sul suo cammino? E che cosa succederebbe se dovesse
arrivare un avviso di garanzia, eventualità tutt’altro che improbabile per chi
conosca minimamente la situazione romana e anche la Procura di quella città, se
dovesse aprirsi un’indagine giudiziaria che la vedesse coinvolta direttamente o
che – come è accaduto a Marino – coinvolgesse persone di cui si sarà circondata
o sulle quali non avrà vigilato abbastanza? La mia fallibilissima previsione è
che questo scenario si aprirà entro 18 mesi, con conseguenze dirompenti…
3.
Se si leggono le inchieste degli inviati
– e parlo di giornali come “La Stampa” o il “Corriere della Sera” e non di
“Libero” – si può facilmente comprendere come nel largo consenso delle
“periferie urbane” alle candidate del M5S, e in particolar modo alla Raggi, ci
sia un grande equivoco. La Raggi promette di occuparsi delle periferie curando
i trasporti, la raccolta rifiuti e gli altri servizi pubblici e portando in
quei quartieri spettacoli, cinema, teatro, cultura, “integrazione”. Dalle
interviste con i residenti risulta che l’”offerta” incontra la domanda su poche
questioni, quelle dei trasporti e, talora, dei rifiuti (ma qui si tratta di
passare dalle parole ai fatti e di aver ragione dei “mostri” che si chiamano
ATAC e AMA). Dalle medesime interviste non emerge, purtroppo, una domanda di
“cultura”, né vi è qualcuno che lamenti la mancanza di cinema e teatri (questa
cosa dei cinema in periferia sembra poi tratta da un programma del PCI anni
Settanta ed è davvero sorprendente nell’esponente di un movimento così legato
al WEB…). La prima cosa che una larga maggioranza degli intervistati chiede è
piuttosto di essere “liberati” da immigrati, spacciatori e piccoli criminali. In sostanza, ciò che emerge è un bisogno
primario di sicurezza unito a un riflesso “identitario”. Non considero tout
court di destra questo bisogno e questo riflesso, ma è un fatto che in tutta
Europa e non solo in Italia essi sono interpretati e rappresentati
politicamente soltanto da una certa destra politica, non già dalla sinistra e
nemmeno dal M5S, che proprio su tali questioni non ha sciolto una delle
fondamentali ambiguità del suo progetto politico (le altre riguardano l’UE e,
specificamente, l’euro, e la politica estera). Non a caso, in quelle stesse
periferie era solo la Meloni che nel voto del primo turno teneva testa alla
Raggi, la quale ha surclassato Giachetti, grazie anche al concorso di elettori
provenienti dalla ben radicata destra capitolina. Gli intervistati hanno anche
detto che il voto alla Raggi è per loro “una prova”. Se dovesse basarsi
largamente su un equivoco, l’esito negativo di questa prova sarebbe scontato e
le ripercussioni inevitabili.
4.
Il rischio più grande – e non solo per
la Raggi, ma per tutto il M5S – è nell’essere identificati essenzialmente come
quelli “nuovi” e “onesti” e ottenere consensi essenzialmente su questa base. L’esperienza
insegna che un bel giorno arriva sempre qualcuno che si presenta come più nuovo
e più onesto di te. Renzi stesso vince a mani basse contro Berlusconi o contro
le cariatidi del suo partito per questo motivo, ma ha perso domenica scorsa di
fronte a qualcuno che si presentava più “rottamatore” di lui. Quanto alla gara
a chi è più “puro” sull’agone politico e ai pericoli di questa competizione, su
ciò disse cose definitive tanto tempo fa il vecchio Nenni, la cui personale
probità era del tutto fuori discussione, ma che ben conosceva la differenza fra
l’etica privata e l’etica politica: “a fare a gara a fare i puri, troverai
sempre uno più puro di te… che ti epura”.
Ritenere che l’onestà
sia una qualità politica e non invece, intesa però secondo i criteri di
un’etica pubblica che non può coincidere tout court con quella privata, un
prerequisito per potersi credibilmente affacciare sulla scena politica, ritenerla,
anzi, la principale, se non l’unica qualità che conti, espone a disastri e
derive anche di altro tipo, come quello di una approssimativa selezione della
propria classe dirigente, che prescinde dalle competenze specifiche. Non posso
che ripetermi: un onesto incompetente può fare più danni di un corrotto capace
di amministrare.
5.
Arriviamo così all’ultimo e fondamentale
“equivoco” del voto e soprattutto dell’analisi del voto al M5S: che i
cosiddetti “grillini” siano votati dagli “italiani onesti”, dalla parte “sana”
del paese. Questo può esser vero (e forse non del tutto) solo se per onestà si
intende, in modo estremamente riduttivo, il non essere direttamente e
attivamente partecipi della corruzione “politica”. Ma come la mettiamo con le
“piccole” e quotidiane disonestà, con i “piccoli” e ordinari abusi, omissioni e
infrazioni alle leggi e anche semplicemente alle regole del vivere civile? Se
davvero il M5S fosse votato dagli italiani estranei a questa “piccola”
corruzione temo che resterebbe assai lontano dal 25, dal 20 e anche dal 10% dei
voti! Certo, quando si invoca l’”onestà”, nei talk show, nei comizi, nelle
campagne elettorali o nelle semplici discussioni politiche da bar e da
marciapiede, si stigmatizza sempre la “grande” corruzione, quella dei politici,
dei sindaci, dei presidenti e consiglieri regionali, degli alti funzionari
dello stato e non si bada alla “piccola”, ordinaria e quotidiana corruzione.
Quest’ultima viene rimossa o sottovalutata. Quando la si evoca, ci si scontra
di solito con un sorriso di sufficienza. Quelli che sono in buona fede
commettono un grave errore a sorridere della piccola corruzione quotidiana.
Prendo in prestito le parole di un personaggio letterario, che si riferiscono
agli autori di “piccole violenze” e alludono al nazismo, ma che possono
efficacemente applicarsi anche al nostro caso: “Molti benintenzionati nel
nostro ceto sono abituati a sorridere di questi piccoli violenti e a giudicare
folli coloro che hanno dichiarato loro guerra… Questo sorridere è tanto stolto
e irresponsabile, quanto sorridere della piccolezza dei batteri…sono gli autori
di piccole violenze a corrompere un popolo nel suo intimo; sono come gli
invisibili germi della consunzione…”.
Tanti, però, non sono
affatto in buona fede e se minimizzano la “piccola” corruzione, se evitano di
guardarla in faccia è perché dovrebbero guardare se stessi, o almeno il
familiare, il collega, l’amico, il vicino di casa…Risulta più comodo, specie in
tempo di crisi, prendersela soltanto con il politico – certamente colpevole, ma
la cui colpa non nasce dal nulla, ma da un certo tessuto antropologico. E le
forze politiche che, di volta in volta, si intestano la battaglia per l’onestà
e contro la corruzione finiscono per avere questo ruolo: non già la
rappresentanza della “parte sana” del paese, ma il lavacro collettivo dei
propri “piccoli” peccati attraverso il capro espiatorio della “grande”
corruzione politica e amministrativa. Ruolo che espone a gravi e finanche
immancabili pericoli: anzitutto, occorre stare ben attenti a colpire i “grandi”
disonesti e la “grande” corruzione, o almeno a dare l’impressione che lo si
voglia fare, senza però toccare i “piccoli” disonesti e la vasta e diffusa area
di illegalità o anche soltanto di malcostume, perché altrimenti si ledono gli
interessi o si minacciano le inveterate abitudini di molti dei propri elettori,
i quali queste cose difficilmente le perdonano. In secondo luogo, basta poco
per non essere più credibili in questa veste di moralizzatori e per passare dal
ruolo del simulacro dell’onestà che consente il lavacro collettivo a quello di
capro espiatorio. Chi, durante tangentopoli, esponeva il cappio nell’aula del
Parlamento e tirava monetine dinanzi al Raphael, anni dopo è finito alla gogna
per le lauree in Albania o per le mutande verdi…
Basta poco per questa
parabola, non tanto perché, come si dice spesso, alla fine quelli che “salgono”
al governo sono tutti uguali e il potere corrompe, ma perché l’onestà sulla
scena pubblica è legata all’esistenza di un progetto politico: tendenzialmente
è e soprattutto resta onesto chi ha un progetto politico – lo prova proprio il
citato Nenni, insieme a molti altri esponenti della vecchia o vecchissima
classe politica repubblicana. Se, invece, è l’”onestà” stessa a costituire il
progetto politico, essa difficilmente resiste alla prova del governo o
all’amministrazione di grandi e difficili realtà urbane.
Questa riflessione – lo
so già – è destinata a deludere, se non a indispettire parecchi miei amici (e
non amici), e a compiacerne altri. Tutti coloro che nei mesi scorsi mi hanno
considerato un esemplare, sia pure abbastanza anomalo, di “grillino” e che
magari fra poco cominceranno a considerarmi uno strano animale da bestiario, un
“leghista” del sud e con un passato indiscutibilmente di “sinistra”. Sono gli
equivoci che capitano quando si confondono le scelte politiche con i matrimoni
indissolubili, con il tifo calcistico, con le guerre di religione. Di questi
fraintendimenti me ne sono già fatto una ragione e non mi turbano più di tanto,
avendo l’onestà intellettuale e l’autonomia di pensiero molto più care degli
applausi o dei fischi dei conoscenti. Piuttosto, senza nascondere affatto ciò
che del resto ho dichiarato pubblicamente
- e cioè che alle ultime elezioni europee, pur con serie riserve, ho
votato M5S, ritenendolo il principale ostacolo all’instaurarsi di quel regime
renziano che poi, proprio a causa di quel trionfo elettorale, ha effettivamente
dato i suoi frutti avvelenati (a cominciare dalla riforma della scuola) –
vorrei sottolineare quanto sia salutare per ogni mente che si voglia mantenere
critica e autonoma e per ogni cittadino che voglia vigilare su chi esercita il
potere, come si conviene ad un sano ordinamento liberale, la pratica di uno
sport così poco amato dagli italiani: SCENDERE dal carro del vincitore. Che un
po’ di cittadini liberi facciano questa sana attività fisica è, peraltro, anche
nell’interesse del vincitore, sebbene questi non lo capisca quasi mai.
Nessun commento:
Posta un commento