Si
è svolta in questi giorni la visita di una delegazione del M5S, guidata da
Luigi Di Maio, in “Israele e Palestina”. La visita, a cui pare seguirà un
viaggio negli USA, è sicuramente destinata ad accreditare il M5S come futura
forza di governo e lo stesso Di Maio come premier, svolgendosi in un cruciale
luogo di conflitto e presso un paese che rappresenta certamente un
interlocutore ineludibile sulla scena internazionale. Se però questi erano gli
scopi, occorre dire che il risultato è stato un misero fallimento. Le dichiarazioni
dei rappresentanti pentastellati, beninteso, non hanno oltrepassato il livello
di ignoranza dei dati storici e di quelli politici che è largamente diffuso
nell’opinione pubblica italiana, specie “progressista”. Questa ignoranza, tuttavia,
quando si manifesta in un movimento e in un esponente politico che si candidano
alla guida del paese risulta gravemente irresponsabile e induce a ritenerli
inaffidabili. I cinque stelle caldeggiano, è vero, la soluzione dei “due stati”
che, per quanto sempre più difficile da realizzare nella pratica, è quella
comunemente sostenuta dalla maggioranza dei paesi e delle forze politiche.
Questa soluzione, però, non si può fondare sulla falsificazione e sulla
manipolazione della realtà storica e politica. Facciamo quindi il punto, nel
modo più essenziale possibile, su tale realtà.
Perché,
la soluzione dei “due stati”, pur prevista dalla risoluzione 181 dell’ONU, che,
alla fine del 1947, metteva fine al mandato britannico sulla Palestina, non si
è mai realizzata? A respingere la suddetta risoluzione non fu affatto Israele: al
suo leader Ben Gurion (socialista, è bene ricordarlo) premeva in quel momento
la nascita dello stato ebraico, per molti versi insperata, a prescindere dai
suoi confini (che in verità, nella risoluzione erano stabiliti in modo discutibile,
per non dire stravagante). La risoluzione fu pertanto rigettata non da Ben
Gurion, ma da tutti i paesi arabi che, per giunta, attaccarono militarmente
Israele, convinti di ottenere una facile vittoria. Israele, invece, dopo
gravissime difficoltà iniziali, riuscì a respingere l’attacco arabo, sostenuto
militarmente, non già dagli USA, ma soprattutto dall’URSS e dalla
Cecoslovacchia comunista. Israele, tuttavia, pur estendendo il proprio
territorio oltre i confini previsti dalla risoluzione, non occupò nel 1949, a
conclusione della prima guerra arabo-israeliana, né la Cisgiordania, né
Gerusalemme est. La domanda che i pro-pal – 5Stelle compresi – non si pongono e
alla quale evitano di rispondere è questa: perché non nacque allora quello stato
palestinese che ora si vorrebbe costituire esattamente in Cisgiordania? Molto
semplice: perché la Cisgiordania fu annessa non da Israele, ma dal regno di
Giordania, paese arabo che si è poi sempre confermato sempre molto, ma molto
“amico” dei palestinesi (vedi “settembre nero”)! Palestinesi e pro-pal
dovrebbero ricordarsi più spesso del famoso proverbio “dagli amici mi guardi
Iddio, che dai nemici mi guardo io”…
Peraltro,
la risoluzione dell’ONU non prevedeva la formazione di uno “stato palestinese”,
ma di uno “stato arabo”. Perché questa formula generica? Anche questo è molto
semplice: perché nessuno nel 1948, non solo in Israele o nei paesi occidentali,
ma nello stesso mondo arabo, aveva contezza dell’esistenza di una “questione
palestinese” e di una “nazione palestinese”. Ciò resta vero fino almeno alla
fine degli anni Cinquanta: persino futuri dirigenti dell’OLP si riferivano
allora a quelle popolazioni che sarebbero poi stata definite palestinesi come a
dei semplici “arabi” e quando volevano specificare la posizione di queste
popolazioni al’interno della più vasta nazione araba li definivano “siriani del
sud”.
La
scena cambia a partire dai colpi di stato degli anni Cinquanta e dall’emergere
del nazionalismo arabo, che ha i suoi campioni nel partito Baath, nelle sue due
filiali irachena e siriana e con i dittatori Saddam Hussein e Assad (padre), e
soprattutto nel leader egiziano Nasser. Nasser e il nazionalismo arabo danno un
contributo decisivo alla costruzione e alla invenzione della nazione e della
questione palestinese e incominciano a servirsene per i loro fini egemonici nel
mondo arabo e per la propaganda anti israeliana.
Sia
chiaro: il fatto che una nazione sia costruita e persino “inventata” non
suscita alcuno scandalo, se si pensa, come io penso e come una volta pensava la
“sinistra”, dalla Rivoluzione francese e da
Mazzini in poi, che le nazioni non siano entità naturali e comunità di
sangue, ma costruzioni storiche, animate e sostanziate da ideali e principi.
Occorre però riconoscere con onestà intellettuale che nel conflitto
israelo-palestinese si trovano di fronte un popolo costituitosi come tale da
millenni, il popolo ebraico (unico popolo dell’antichità, tra l’altro ad essere
sopravvissuto), e un altro che solo negli ultimi decenni si è formato la
coscienza di essere tale. La narrazione, tutta ideologica, dei pro-pal rovescia
invece la realtà e aderisce pericolosamente ad una idea diversa e opposta di
nazione, quella che proviene non già dalla Rivoluzione francese e da Mazzini,
ma da Herder e dal romanticismo tedesco e che identifica la nazione con il
Volk, comunità di sangue, radicata “naturalmente” su un certo territorio. Ed
ecco che Israele viene accusato di aver occupato una “terra” che apparterrebbe
da sempre ai palestinesi, con i ridicoli corollari del Gesù “palestinese” e la
crassa ignoranza della stessa origine storica del termine “Palestina”, nonché
della provenienza geografica delle popolazioni arabe ed evidentemente della
storia tutta dell’antico Israele. Ciò che più sconcerta, però, non è neanche
questa colossale ignoranza, ma l’adesione da parte di sedicenti progressisti,
gruppi e uomini di “sinistra”a una idea reazionaria di nazione, fondata su “sangue
e terra”, che ha fatto già danni immani nella storia recente. E su questa idea
si pretenderebbe poi di fondare una soluzione pacifica!
Ma
arriviamo al passaggio cruciale di questa storia: la guerra dei “Sei Giorni”
nel 1967. Negli anni Sessanta, la questione palestinese, fomentata dai leader
arabi e soprattutto da Nasser, era ormai decollata. Nasser e Assad (ma non
Saddam) gravitavano, inoltre, nell’orbita sovietica, e ciò aveva finito, per reazione, per saldare il rapporto fra USA e Israele che
in precedenza, come già ricordato, non era stato esclusivo e neanche
privilegiato. In Medio Oriente si fronteggiavano, in sostanza, i due
schieramenti della guerra fredda, come in tutto il resto del mondo. Dalla
Cisgiordania e da Gerusalemme est partivano anche sempre più frequentemente
azioni di guerriglia o di terrorismo da parte di organizzazioni palestinesi
come Al-Fatah. Nasser, dal canto suo, un giorno sì e l’altro pure, assicurava
alla nazione araba, di cui si riteneva leader indiscusso, che il nemico
sionista sarebbe stato distrutto e buttato a mare, usando espressioni mutuate
dall’armamentario linguistico e ideologico del più feroce antisemitismo.
In
queste condizioni, il governo israeliano, sempre guidato dai laburisti, prese
la grave iniziativa di una guerra preventiva contro l’Egitto di Nasser. Come
accennato, Israele poteva avere le sue ragioni, ma si trattò comunque di un’aggressione
militare. Però, attenzione, non è questa guerra all’Egitto che oggi viene
imputata a Israele! Nel 1979, con gli accordi di Camp David, Israele ed Egitto
hanno stipulato la pace e Israele ha restituito i territori occupati (il Sinai;
l’Egitto ha rinunciato a Gaza, da cui peraltro Israele si è comunque ritirato
in seguito). Israele ed Egitto sono oggi stretti partner, se non proprio alleati. Quale sarebbe invece il
peccato originale di Israele? Quello di aver occupato la Cisgiordania,
Gerusalemme est e le alture del Golan. Territori che però 1) non erano
“palestinesi”, perché appartenevano rispettivamente a Giordania e Siria e 2)
furono occupati nella circostanza di una guerra difensiva e non offensiva. Ecco
un elemento che viene regolarmente rimosso o manipolato: nel 1967 Israele attaccò
per primo l’Egitto, ma non già la Giordania e la Siria, paesi da cui fu invece
aggredito, in virtù della “solidarietà araba” che scattò fra i loro governi e
quello di Nasser. Esattamente come era accaduto nel 1948-49 i regimi arabi
pensavano di poter accerchiare e distruggere Israele, ma le cose andarono
diversamente e la vittoria militare israeliana fu stavolta folgorante. Da quel
momento in poi Israele è stato, però, ritenuto responsabile di una intollerabile
violazione del diritto internazionale, almeno da una larga parte della opinione
pubblica occidentale progressista e di sinistra (oltre che ovviamente nel mondo
arabo). E’ anzi proprio in seguito alla guerra dei Sei Giorni che si è
consumata la disastrosa lacerazione fra la sinistra e Israele, che ha
significato, in molti paesi a cominciare dall’Italia, una rottura o almeno un
grave distacco fra la sinistra e lo stesso mondo ebraico. In realtà ad Israele
viene imputato ciò che mai a nessun paese è stato imputato nella storia degli
uomini: di essersi difeso da una aggressione militare, di aver vinto la guerra
e di aver occupato dei territori dei paesi aggressori – Giordania e Siria - a
garanzia della propria sicurezza. In sostanza, è come se l’Italia fosse
accusata di aver occupato illegittimamente l’Alto Adige!
E
tuttavia il M5S – lo ha fatto innanzitutto Grillo sul suo blog e lo hanno poi
ripetuto Di Maio e compagni – si unisce al coro di chi chiede il ritiro di
Israele dai territori “occupati” (che andrebbero più onestamente e più
correttamente definiti “contesi”) e cita, credendo che ciò mostri la sacrosanta
verità e giustezza della propria posizione, la famosa o famigerata risoluzione
242 dell’ONU. Risoluzione citata sempre a sproposito e in modo, anche in questo
caso, assolutamente “ignorante”.
Anzitutto, occorrerebbe sapere che la risoluzione in questione fu
redatta in tre lingue – inglese, arabo ed ebraico – e che il testo presenta
difformità non marginali nelle tre diverse redazioni. La risoluzione è comunque
ambigua e deliberatamente generica nei punti chiave. Ciò non a caso: era
l’unica possibilità per ottenerne l’approvazione nel Consiglio di Sicurezza,
superando i veti incrociati delle due superpotenze. Pertanto, chi pensa che
questa risoluzione contenga determinazioni stringenti e una chiara condanna di
Israele mostra di non conoscere nulla dello scenario della guerra fredda e del
funzionamento del Consiglio di sicurezza in quegli anni.
Che
cosa è scritto, in particolare, nella 242? Si dice, certo, che per una “pace
giusta e duratura” Israele deve ritirarsi da “territori”, ma non si specifica
quali siano questi territori! Si può supporre che si intendesse parlare dei
territori occupati nel corso del conflitto appena concluso, ma ciò non è
specificato e non è neanche specificato se Israele debba liberare tutti questi
territori o solo una parte. Ciò sul piano giuridico è tutt’altro che
irrilevante. Ma soprattutto vi è un secondo punto, regolarmente dimenticato dai
pro-pal: mentre Israele deve ritirarsi da “territori”, i suoi vicini devono
garantire a Israele “pace e sicurezza”. Difatti, il testo della risoluzione
viene spesso riassunto nella formula “pace in cambio di territori”. Si tratta
dunque non di una determinazione unilaterale nei confronti di Israele,
tantomeno di una condanna, ma di una determinazione bilaterale, nei riguardi
tanto di Israele, quanto dei suoi nemici arabi e palestinesi.
Se
si è intellettualmente onesti bisogna allora riconoscere che i paesi e i popoli
arabi, a cominciare proprio dai palestinesi, hanno sistematicamente violato la
risoluzione 242, dal 1967 ad oggi, in modo ben più palese e grave di quanto non
l’abbia violata Israele. Israele, infatti, non si è ritirato da tutti i
territori occupati, ma si è comunque ritirato da una loro parte (Sinai, Gaza,
parte della Cisgiordania oggi amministrata dall’ANP). I palestinesi, invece,
non hanno mai garantito a Israele pace e sicurezza, neanche per un giorno.
Infine,
la realtà politica attuale: se oggi nascesse uno stato palestinese sarebbe
certamente governato da Hamas, che domina Gaza (territorio geograficamente
piccolo, ma molto popolato) e potrebbe vincere le elezioni anche in
Cisgiordania. Hamas si propone, per statuto, la distruzione di Israele, o
meglio dell’”entità sionista” . Nello stesso statuto sono citati versetti
attribuiti a Maometto che incitano all’uccisione degli ebrei. Il regime
integralista di Hamas nega notoriamente i diritti di ogni minoranza, è un
regime fortemente misogeno ed omofobo. Eppure, i pro-pal progressisti scambiano
Hamas per una forza di liberazione e i suoi leader per dei Che Guevara. Poco importa, quando si tratta di comuni deficienti
ossia di cittadini comuni che parlano come dei deficienti. Diversa è la
questione quando identiche amenità sono ripetute dal responsabile esteri di una
forza politica che si candida a governare l’Italia. Giorni fa, il numero 2
della delegazione cinque stelle in visita in Israele, Manlio De Stefano, ha infatti
dichiarato in una intervista al quotidiano “La Stampa”, che Hamas non può
essere considerata un’”organizzazione terroristica”, in quanto “nasce come
partito” e “ha vinto libere elezioni”. A
scuola, durante le lezioni di storia, il signor De Stefano doveva essere
distratto, altrimenti saprebbe che anche il nazismo nacque come partito e vinse
elezioni certo più libere di quelle svoltesi, ormai parecchi anni fa, a Gaza.
Secondo il “ragionamento” di De Stefano, le SS non potrebbero quindi
considerarsi una “organizzazione terroristica”…
Va
notato che De Stefano è, insieme a Di Battista, l’”esperto” di politica estera
del M5S. E di Di Battista si ricordano ancora le dichiarazioni di qualche tempo
fa, nelle quali sosteneva la necessità di dialogare con l’Isis e riteneva che,
pur essendo preferibili i metodi di lotta non violenti, bisognava pur
comprendere chi non avendo altri mezzi a sua disposizione per resistere a un
dominio oppressivo si faceva saltare per aria in mezzo alla gente.
In
definitiva, la visita dell’armata Di Maio andrebbe considerata solo ridicola se
non ci fosse davvero la possibilità in futuro di avere un Ministro degli Esteri
e un premier del M5S. Questa possibilità, alla luce delle posizioni espresse in
questi giorni, fa davvero rabbrividire e per almeno tre ordini di motivi. Il
primo è l’assoluta incompetenza e ignoranza in materia storica e geopolitica
degli esponenti del suddetto movimento. Il secondo motivo è il loro radicato
habitus anti israeliano, laddove, oggi più che mai, l’atteggiamento verso
Israele è un attendibile indicatore dell’adesione di un soggetto, politico o
privato, ai valori-cardine della civiltà occidentale. Il terzo motivo, e almeno
questo dovrebbe essere universalmente condiviso, è l’inquietante concezione
della democrazia che mostra chi ritiene che “vincere” le elezioni legittimi
ogni tipo di comportamento, compresa la repressione e distruzione sistematica
di ogni voce dissonante e l’instaurazione di un regime di terrore, come fecero
i nazisti in Germania e ben presto in gran parte dell’Europa, come Hamas ha
fatto a Gaza e come farebbe in tutta l’area palestinese e nello stesso
territorio di Israele, se Israele non avesse la capacità di difendersi o se la
sua difesa fosse affidata a certi aspiranti statisti nostrani.
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