mercoledì 13 luglio 2016

BRANCALEONE/DI MAIO ALLE CROCIATE



Si è svolta in questi giorni la visita di una delegazione del M5S, guidata da Luigi Di Maio, in “Israele e Palestina”. La visita, a cui pare seguirà un viaggio negli USA, è sicuramente  destinata ad accreditare il M5S come futura forza di governo e lo stesso Di Maio come premier, svolgendosi in un cruciale luogo di conflitto e presso un paese che rappresenta certamente un interlocutore ineludibile sulla scena internazionale. Se però questi erano gli scopi, occorre dire che il risultato è stato un misero fallimento. Le dichiarazioni dei rappresentanti pentastellati, beninteso, non hanno oltrepassato il livello di ignoranza dei dati storici e di quelli politici che è largamente diffuso nell’opinione pubblica italiana, specie “progressista”. Questa ignoranza, tuttavia, quando si manifesta in un movimento e in un esponente politico che si candidano alla guida del paese risulta gravemente irresponsabile e induce a ritenerli inaffidabili. I cinque stelle caldeggiano, è vero, la soluzione dei “due stati” che, per quanto sempre più difficile da realizzare nella pratica, è quella comunemente sostenuta dalla maggioranza dei paesi e delle forze politiche. Questa soluzione, però, non si può fondare sulla falsificazione e sulla manipolazione della realtà storica e politica. Facciamo quindi il punto, nel modo più essenziale possibile, su tale realtà.
Perché, la soluzione dei “due stati”, pur prevista dalla risoluzione 181 dell’ONU, che, alla fine del 1947, metteva fine al mandato britannico sulla Palestina, non si è mai realizzata? A respingere la suddetta risoluzione non fu affatto Israele: al suo leader Ben Gurion (socialista, è bene ricordarlo) premeva in quel momento la nascita dello stato ebraico, per molti versi insperata, a prescindere dai suoi confini (che in verità, nella risoluzione erano stabiliti in modo discutibile, per non dire stravagante). La risoluzione fu pertanto rigettata non da Ben Gurion, ma da tutti i paesi arabi che, per giunta, attaccarono militarmente Israele, convinti di ottenere una facile vittoria. Israele, invece, dopo gravissime difficoltà iniziali, riuscì a respingere l’attacco arabo, sostenuto militarmente, non già dagli USA, ma soprattutto dall’URSS e dalla Cecoslovacchia comunista. Israele, tuttavia, pur estendendo il proprio territorio oltre i confini previsti dalla risoluzione, non occupò nel 1949, a conclusione della prima guerra arabo-israeliana, né la Cisgiordania, né Gerusalemme est. La domanda che i pro-pal – 5Stelle compresi – non si pongono e alla quale evitano di rispondere è  questa: perché non nacque allora quello stato palestinese che ora si vorrebbe costituire esattamente in Cisgiordania? Molto semplice: perché la Cisgiordania fu annessa non da Israele, ma dal regno di Giordania, paese arabo che si è poi sempre confermato sempre molto, ma molto “amico” dei palestinesi (vedi “settembre nero”)! Palestinesi e pro-pal dovrebbero ricordarsi più spesso del famoso proverbio “dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”…
Peraltro, la risoluzione dell’ONU non prevedeva la formazione di uno “stato palestinese”, ma di uno “stato arabo”. Perché questa formula generica? Anche questo è molto semplice: perché nessuno nel 1948, non solo in Israele o nei paesi occidentali, ma nello stesso mondo arabo, aveva contezza dell’esistenza di una “questione palestinese” e di una “nazione palestinese”. Ciò resta vero fino almeno alla fine degli anni Cinquanta: persino futuri dirigenti dell’OLP si riferivano allora a quelle popolazioni che sarebbero poi stata definite palestinesi come a dei semplici “arabi” e quando volevano specificare la posizione di queste popolazioni al’interno della più vasta nazione araba li definivano “siriani del sud”.
La scena cambia a partire dai colpi di stato degli anni Cinquanta e dall’emergere del nazionalismo arabo, che ha i suoi campioni nel partito Baath, nelle sue due filiali irachena e siriana e con i dittatori Saddam Hussein e Assad (padre), e soprattutto nel leader egiziano Nasser. Nasser e il nazionalismo arabo danno un contributo decisivo alla costruzione e alla invenzione della nazione e della questione palestinese e incominciano a servirsene per i loro fini egemonici nel mondo arabo e per la propaganda anti israeliana.
Sia chiaro: il fatto che una nazione sia costruita e persino “inventata” non suscita alcuno scandalo, se si pensa, come io penso e come una volta pensava la “sinistra”, dalla Rivoluzione francese e da  Mazzini in poi, che le nazioni non siano entità naturali e comunità di sangue, ma costruzioni storiche, animate e sostanziate da ideali e principi. Occorre però riconoscere con onestà intellettuale che nel conflitto israelo-palestinese si trovano di fronte un popolo costituitosi come tale da millenni, il popolo ebraico (unico popolo dell’antichità, tra l’altro ad essere sopravvissuto), e un altro che solo negli ultimi decenni si è formato la coscienza di essere tale. La narrazione, tutta ideologica, dei pro-pal rovescia invece la realtà e aderisce pericolosamente ad una idea diversa e opposta di nazione, quella che proviene non già dalla Rivoluzione francese e da Mazzini, ma da Herder e dal romanticismo tedesco e che identifica la nazione con il Volk, comunità di sangue, radicata “naturalmente” su un certo territorio. Ed ecco che Israele viene accusato di aver occupato una “terra” che apparterrebbe da sempre ai palestinesi, con i ridicoli corollari del Gesù “palestinese” e la crassa ignoranza della stessa origine storica del termine “Palestina”, nonché della provenienza geografica delle popolazioni arabe ed evidentemente della storia tutta dell’antico Israele. Ciò che più sconcerta, però, non è neanche questa colossale ignoranza, ma l’adesione da parte di sedicenti progressisti, gruppi e uomini di “sinistra”a una idea reazionaria di nazione, fondata su “sangue e terra”, che ha fatto già danni immani nella storia recente. E su questa idea si pretenderebbe poi di fondare una soluzione pacifica!
Ma arriviamo al passaggio cruciale di questa storia: la guerra dei “Sei Giorni” nel 1967. Negli anni Sessanta, la questione palestinese, fomentata dai leader arabi e soprattutto da Nasser, era ormai decollata. Nasser e Assad (ma non Saddam) gravitavano, inoltre, nell’orbita sovietica, e ciò aveva finito, per reazione, per saldare il rapporto fra USA e Israele che in precedenza, come già ricordato, non era stato esclusivo e neanche privilegiato. In Medio Oriente si fronteggiavano, in sostanza, i due schieramenti della guerra fredda, come in tutto il resto del mondo. Dalla Cisgiordania e da Gerusalemme est partivano anche sempre più frequentemente azioni di guerriglia o di terrorismo da parte di organizzazioni palestinesi come Al-Fatah. Nasser, dal canto suo, un giorno sì e l’altro pure, assicurava alla nazione araba, di cui si riteneva leader indiscusso, che il nemico sionista sarebbe stato distrutto e buttato a mare, usando espressioni mutuate dall’armamentario linguistico e ideologico del più feroce antisemitismo.
In queste condizioni, il governo israeliano, sempre guidato dai laburisti, prese la grave iniziativa di una guerra preventiva contro l’Egitto di Nasser. Come accennato, Israele poteva avere le sue ragioni, ma si trattò comunque di un’aggressione militare. Però, attenzione, non è questa guerra all’Egitto che oggi viene imputata a Israele! Nel 1979, con gli accordi di Camp David, Israele ed Egitto hanno stipulato la pace e Israele ha restituito i territori occupati (il Sinai; l’Egitto ha rinunciato a Gaza, da cui peraltro Israele si è comunque ritirato in seguito). Israele ed Egitto sono oggi stretti partner, se non  proprio alleati. Quale sarebbe invece il peccato originale di Israele? Quello di aver occupato la Cisgiordania, Gerusalemme est e le alture del Golan. Territori che però 1) non erano “palestinesi”, perché appartenevano rispettivamente a Giordania e Siria e 2) furono occupati nella circostanza di una guerra difensiva e non offensiva. Ecco un elemento che viene regolarmente rimosso o manipolato: nel 1967 Israele attaccò per primo l’Egitto, ma non già la Giordania e la Siria, paesi da cui fu invece aggredito, in virtù della “solidarietà araba” che scattò fra i loro governi e quello di Nasser. Esattamente come era accaduto nel 1948-49 i regimi arabi pensavano di poter accerchiare e distruggere Israele, ma le cose andarono diversamente e la vittoria militare israeliana fu stavolta folgorante. Da quel momento in poi Israele è stato, però, ritenuto responsabile di una intollerabile violazione del diritto internazionale, almeno da una larga parte della opinione pubblica occidentale progressista e di sinistra (oltre che ovviamente nel mondo arabo). E’ anzi proprio in seguito alla guerra dei Sei Giorni che si è consumata la disastrosa lacerazione fra la sinistra e Israele, che ha significato, in molti paesi a cominciare dall’Italia, una rottura o almeno un grave distacco fra la sinistra e lo stesso mondo ebraico. In realtà ad Israele viene imputato ciò che mai a nessun paese è stato imputato nella storia degli uomini: di essersi difeso da una aggressione militare, di aver vinto la guerra e di aver occupato dei territori dei paesi aggressori – Giordania e Siria - a garanzia della propria sicurezza. In sostanza, è come se l’Italia fosse accusata di aver occupato illegittimamente l’Alto Adige!
E tuttavia il M5S – lo ha fatto innanzitutto Grillo sul suo blog e lo hanno poi ripetuto Di Maio e compagni – si unisce al coro di chi chiede il ritiro di Israele dai territori “occupati” (che andrebbero più onestamente e più correttamente definiti “contesi”) e cita, credendo che ciò mostri la sacrosanta verità e giustezza della propria posizione, la famosa o famigerata risoluzione 242 dell’ONU. Risoluzione citata sempre a sproposito e in modo, anche in questo caso, assolutamente “ignorante”.  Anzitutto, occorrerebbe sapere che la risoluzione in questione fu redatta in tre lingue – inglese, arabo ed ebraico – e che il testo presenta difformità non marginali nelle tre diverse redazioni. La risoluzione è comunque ambigua e deliberatamente generica nei punti chiave. Ciò non a caso: era l’unica possibilità per ottenerne l’approvazione nel Consiglio di Sicurezza, superando i veti incrociati delle due superpotenze. Pertanto, chi pensa che questa risoluzione contenga determinazioni stringenti e una chiara condanna di Israele mostra di non conoscere nulla dello scenario della guerra fredda e del funzionamento del Consiglio di sicurezza in quegli anni.
Che cosa è scritto, in particolare, nella 242? Si dice, certo, che per una “pace giusta e duratura” Israele deve ritirarsi da “territori”, ma non si specifica quali siano questi territori! Si può supporre che si intendesse parlare dei territori occupati nel corso del conflitto appena concluso, ma ciò non è specificato e non è neanche specificato se Israele debba liberare tutti questi territori o solo una parte. Ciò sul piano giuridico è tutt’altro che irrilevante. Ma soprattutto vi è un secondo punto, regolarmente dimenticato dai pro-pal: mentre Israele deve ritirarsi da “territori”, i suoi vicini devono garantire a Israele “pace e sicurezza”. Difatti, il testo della risoluzione viene spesso riassunto nella formula “pace in cambio di territori”. Si tratta dunque non di una determinazione unilaterale nei confronti di Israele, tantomeno di una condanna, ma di una determinazione bilaterale, nei riguardi tanto di Israele, quanto dei suoi nemici arabi e palestinesi.
Se si è intellettualmente onesti bisogna allora riconoscere che i paesi e i popoli arabi, a cominciare proprio dai palestinesi, hanno sistematicamente violato la risoluzione 242, dal 1967 ad oggi, in modo ben più palese e grave di quanto non l’abbia violata Israele. Israele, infatti, non si è ritirato da tutti i territori occupati, ma si è comunque ritirato da una loro parte (Sinai, Gaza, parte della Cisgiordania oggi amministrata dall’ANP). I palestinesi, invece, non hanno mai garantito a Israele pace e sicurezza, neanche per un giorno.
Infine, la realtà politica attuale: se oggi nascesse uno stato palestinese sarebbe certamente governato da Hamas, che domina Gaza (territorio geograficamente piccolo, ma molto popolato) e potrebbe vincere le elezioni anche in Cisgiordania. Hamas si propone, per statuto, la distruzione di Israele, o meglio dell’”entità sionista” . Nello stesso statuto sono citati versetti attribuiti a Maometto che incitano all’uccisione degli ebrei. Il regime integralista di Hamas nega notoriamente i diritti di ogni minoranza, è un regime fortemente misogeno ed omofobo. Eppure, i pro-pal progressisti scambiano Hamas per una forza di liberazione e i suoi leader per dei Che Guevara.  Poco importa, quando si tratta di comuni deficienti ossia di cittadini comuni che parlano come dei deficienti. Diversa è la questione quando identiche amenità sono ripetute dal responsabile esteri di una forza politica che si candida a governare l’Italia. Giorni fa, il numero 2 della delegazione cinque stelle in visita in Israele, Manlio De Stefano, ha infatti dichiarato in una intervista al quotidiano “La Stampa”, che Hamas non può essere considerata un’”organizzazione terroristica”, in quanto “nasce come partito” e “ha vinto libere elezioni”.  A scuola, durante le lezioni di storia, il signor De Stefano doveva essere distratto, altrimenti saprebbe che anche il nazismo nacque come partito e vinse elezioni certo più libere di quelle svoltesi, ormai parecchi anni fa, a Gaza. Secondo il “ragionamento” di De Stefano, le SS non potrebbero quindi considerarsi una “organizzazione terroristica”…
Va notato che De Stefano è, insieme a Di Battista, l’”esperto” di politica estera del M5S. E di Di Battista si ricordano ancora le dichiarazioni di qualche tempo fa, nelle quali sosteneva la necessità di dialogare con l’Isis e riteneva che, pur essendo preferibili i metodi di lotta non violenti, bisognava pur comprendere chi non avendo altri mezzi a sua disposizione per resistere a un dominio oppressivo si faceva saltare per aria in mezzo alla gente.
In definitiva, la visita dell’armata Di Maio andrebbe considerata solo ridicola se non ci fosse davvero la possibilità in futuro di avere un Ministro degli Esteri e un premier del M5S. Questa possibilità, alla luce delle posizioni espresse in questi giorni, fa davvero rabbrividire e per almeno tre ordini di motivi. Il primo è l’assoluta incompetenza e ignoranza in materia storica e geopolitica degli esponenti del suddetto movimento. Il secondo motivo è il loro radicato habitus anti israeliano, laddove, oggi più che mai, l’atteggiamento verso Israele è un attendibile indicatore dell’adesione di un soggetto, politico o privato, ai valori-cardine della civiltà occidentale. Il terzo motivo, e almeno questo dovrebbe essere universalmente condiviso, è l’inquietante concezione della democrazia che mostra chi ritiene che “vincere” le elezioni legittimi ogni tipo di comportamento, compresa la repressione e distruzione sistematica di ogni voce dissonante e l’instaurazione di un regime di terrore, come fecero i nazisti in Germania e ben presto in gran parte dell’Europa, come Hamas ha fatto a Gaza e come farebbe in tutta l’area palestinese e nello stesso territorio di Israele, se Israele non avesse la capacità di difendersi o se la sua difesa fosse affidata a certi aspiranti statisti nostrani.

Nessun commento:

Posta un commento