martedì 26 luglio 2016

IL TRANSCULTURALISMO, IL FATTORE-RELIGIONE, I LONGOBARDI E KARL MARX ...



Rispondo senza indugio al prezioso intervento di Carlo Crescitelli, ospitato ieri su questo blog. Il dialogo può essere proficuo – e rinnovo l’invito ad altri amici a dare il loro contributo – proprio perché io e Carlo abbiamo competenze professionali differenti. Carlo Crescitelli ha una formazione politologica, io ho una formazione storica. Carlo adotta quindi modelli generalizzanti – il trans culturalismo in tal caso. I modelli generalizzanti sono peraltro imprescindibili anche per lo storico, come ha mostrato un autore che non mi stancherò mai di citare e che è Max Weber, risolvendo positivamente il dibattito tardo ottocentesco che contrapponeva scienze naturali e scienze dello spirito, o meglio “storico-sociali”. Allo storico, tuttavia, tocca poi sottolineare la peculiarità e la specificità dei fenomeni indagati. In questo caso si tratta, oltre che naturalmente della specificità e peculiarità della situazione odierna, soprattutto della specificità e della peculiarità dell’islam. Perché sarebbe ipocrita negare che il problema di dialogo, di convivenza e di incontro/scontro l’Occidente non ce l’ha con i cinesi – che pure sono numerosi ormai nelle nostre città – e nemmeno con gli africani di religione cristiana, ma con gli immigrati islamici, innanzitutto arabi o maghrebini, ma anche di altra etnia.
Si può richiamare la imprescindibile individualità della situazione storica anche restando al richiamo molto suggestivo che Carlo Crescitelli ha fatto a quella grandiosa operazione “transculturale”, l’incontro fra la civiltà romana e quella dei popoli germanici, da cui nacquero un medioevo tutt’altro che barbarico e la stessa identità europea. Che cosa, però, consentì quell’incontro e quella sintesi? Il maestro insuperato di ogni medievista, Gioacchino Volpe, usava una formula lapidaria ed efficace, superando la sterile controversia fra “romanisti” e “germanisti”: il Medio Evo, diceva (e quindi l’Europa stessa), nasce da una grande sintesi romano-germanico-cristiana. Mi permetterei di precisare ancor meglio la definizione del maestro, dicendo che il Medio Evo e l’Europa sono il risultato di una sintesi romano-germanica su base cristiana. Ed oggi, superando il retaggio antigiudaico che purtroppo imperversò anche nell’ambito di questa operazione transculturale, dovremmo tutti riconoscere che il cristianesimo è a sua volta, almeno sul piano storico, una corrente giudaica, una corrente giudaica di successo potremmo dire. Per cui la formula più adeguata a definire l’operazione transculturale che porta alla formazione dell’identità europea mi pare in definitiva la seguente: una grande sintesi romano-germanica su base ebraico-cristiana.
Fu quindi il cristianesimo l’elemento che rese possibile l’incontro, la sintesi, l’operazione transculturale. Questo lascia già emergere la drammaticità della situazione odierna, visto che la religione è oggi non già fattore di incontro, ma, all’opposto, di lacerante divisione.
Restando al riferimento storico adottato, si può osservare che esiste però un importante caso di una popolazione germanica che ebbe, almeno inizialmente, nei confronti della civiltà romana e della popolazione autoctona, un atteggiamento molto simile a quello che hanno oggi il jihadismo e il fondamentalismo islamico nei confronti dell’Occidente: questa popolazione non pensava affatto ad integrare o ad integrarsi, ma solo a conquistare, dominare e sottomettere. Sto parlando dei Longobardi, evidentemente. A differenza di altre popolazioni germaniche, i Longobardi, prima della loro discesa in Italia, avevano avuto solo sporadici contatti con l’Impero e con la civiltà romana: non avevano dato soldati e tantomeno generali all’Impero, non avevano contribuito ad eleggere e a deporre imperatori, non si erano insediati all’interno dei suoi confini, non ne avevano avuto terre. Erano entrati in contatto con i Romani, probabilmente fin dai tempi di Tiberio e poi durante le spedizioni di Marco Aurelio, solo per combatterli ed esserne combattuti. Una condizione diametralmente opposta, quindi, a quella, ad esempio, degli Ostrogoti, che fu invece la base del grande progetto politico di Teodorico. Inoltre – ma è l’elemento decisivo – a differenza di tutte le altre popolazioni germaniche, quando scendono in Italia i Longobardi, o almeno la gran parte di loro, non hanno sposato il cristianesimo, nemmeno nella variante ariana, e seguono ancora un culto pagano.
Per molto tempo, è stata diffusa una “leggenda storiografica”, secondo cui, nei primi decenni di dominazione longobarda, l’intera popolazione della penisola – o almeno di quella parte di essa che fu oggetto della conquista longobarda - sarebbe stata ridotta addirittura in condizione di schiavitù. Nessuno oggi sostiene più questa tesi, non fosse altro per la difficoltà da parte di un popolo invasore di centomila individui o poco più di tenere assoggettata in regime di schiavitù una popolazione indigena molto più numerosa. E’ però certo che per alcuni decenni la condizione di vita della popolazione romana fu durissima e non vi fu alcun incontro, né multi, né trans-culturale con i dominatori germanici. Poi la scena cambia radicalmente. Quando e perché? A partire dal 598, circa 30 anni dopo la conquista, quando inizia la conversione dei Longobardi al cristianesimo niceno, per iniziativa di papa Gregorio Magno e con il sostegno della regina Teodolinda, sposa di Agilulfo. Il processo certamente non fu istantaneo, né rapido, ma portò progressivamente all’avvicinamento tra le due popolazioni, grazie anche al fattore decisivo di ogni operazione transculturale, che è dato dai matrimoni misti, ora divenuti possibili.
Va notato un interessante aspetto specifico di questa grande operazione transculturale: a facilitare la conversione di un popolo che aveva costitutivamente costumi guerrieri fu il culto dell’Arcangelo Michele. Una figura, quella dell’Arcangelo con la spada, capo delle schiere celesti, che evidentemente poteva colpire favorevolmente l’immaginazione religiosa dei Longobardi, come testimoniano del resto i tanti siti – grotte e chiese romaniche – legati a tale culto e risalenti all’epoca longobarda, che troviamo nel Mezzogiorno interno e nell’area appenninica.
La situazione storica suggerita da Carlo e, in essa, la vicenda specifica che mi sono permesso di segnalare mostrano ciò che risulterebbe chiaro da qualsiasi altro esempio storico: la religione è fattore primario e decisivo nei rapporti di incontro/scontro fra civiltà diverse ed è alla base delle civiltà stesse. Tutte le maggiori civiltà sono fondate su una grande religione. Purtroppo, questo dato è disconosciuto e mistificato da molti occidentali. Certamente, questo disconoscimento del ruolo della religione è un effetto collaterale della secolarizzazione, un elemento costitutivo dell’identità occidentale moderna. Si tratta, però, di un colossale equivoco: la secolarizzazione stessa ha origine dalla storia della religione e nasce nell’ambito del cristianesimo. Più specificamente è frutto della Riforma protestante. Negare, quindi, l’importanza decisiva della religione nelle dinamiche attuali dell’occidente, dell’islam e dei loro rapporti sarebbe come negare l’importanza del latino nella genesi della lingua italiana e affermare che con l’italiano “il latino non c’entra nulla”! Dato che ho l’abitudine di dire le cose in modo diretto, aggiungerò che questa idea della irrilevanza o rilevanza marginale del fattore religioso è frutto solo di grande ignoranza.
E’ proprio questo, allora, che rende così problematica la questione del rapporto fra Occidente e Islam: da un lato, il fondamentale fattore all’origine dell’incontro e della sintesi fra culture diverse agisce oggi come elemento drammaticamente divisivo; dall’altro, questo fattore viene disconosciuto da molti, il che non aiuta affatto, evidentemente, a operare una corretta analisi della situazione.
Potremmo chiederci: è comunque possibile un processo transculturale senza una fusione religiosa, senza conversioni di massa, nel rispetto delle reciproche fedi? Temo che proprio questa domanda sia tutta interna alla civiltà occidentale e sia invece largamente estranea – la domanda stessa, non la risposta!  - a quella islamica. Una operazione del genere comporterebbe l’acquisizione di una visione laica del mondo o, quantomeno, dei rapporti fra sfera religiosa e sfera civile, legge morale o religiosa e legislazione civile, luoghi pubblici e luoghi della fede, stato e istituzioni religiose (che siano la chiesa, la sinagoga o la moschea).
Ma è proprio questo il cuore del “problema-islam”, come cerco di dire fin dalle prime pagine di questo blog, da oltre due anni e dai tempi di Charlie Hebdo: l’inesistenza o l’assoluta marginalità di una cultura laica nel mondo islamico. Agli islamici “moderati” o “pacifici” bisognerebbe chiedere non già la formale dissociazione dal “terrorismo” – un rituale ormai stucchevole ed ipocrita – ma una autentica professione di laicità, da mostrare nei comportamenti e nelle pratiche. Anzi, questa professione di laicità bisognerebbe non chiederla, ma pretenderla, come requisito essenziale di cittadinanza. Ma prima ancora di arrivare a questo, bisognerebbe fare i conti con il deficit di laicità che esiste nella stessa opinione pubblica italiana e anche nella scuola pubblica, che poi dovrebbe educare alla laicità italiani e immigrati. Molti connazionali scambiano, infatti, l’essere laico con il non aderire a nessuna confessione religiosa: quale fatale equivoco! Come si diceva, il concetto stesso di laicità nasce nell’ambito di una confessione religiosa. Essere laico presuppone non già una presa di distanza dalla religione, ma una presa di distanza dalle ideologie, religiose o civili che siano, da una visione rigidamente prefabbricata e integralista della realtà. Non conosco personalmente nessun integralista islamico ma conosco, e ho conosciuto, migliaia di integralisti occidentali, specie tra le fila della cosiddetta “sinistra”! Spesso si tratta di rozzi manipolatori del marxismo, marxisti all’insaputa di Marx! E non mi meraviglia quindi la sotterranea corrente di simpatia di costoro nei confronti del fondamentalismo islamico.
E a proposito di Marx, la conclusione del tutto provvisoria, fortunatamente, di questo ragionamento -  che Carlo e altri spero vorranno proseguire ed eventualmente integrare o contestare – è che se non si riesce a trovare un terreno di incontro fra Occidente e Islam, a prescindere dalla religione – visto che sulla religione mi pare che sia impossibile allo stato attuale costruire un positivo dialogo inter-trans o multi-culturale – a latere della religione e quindi nell’ambito di una concezione laica della società, allora sarà il caso di adattare allo scontro di civiltà l’idea che il vecchio di Treviri aveva sulla dinamica della lotta di classe: quando due forze si fronteggiano e sono irriducibili, l’una dominante e l’altra emergente, allora si potrà avere solo o una “trasformazione rivoluzionaria” della società ad opera della forza emergente (nel nostro caso si tratterebbe dell’Islam e di una “rivoluzione retrograda”) o la comune rovina delle classi/civiltà in lotta. Che il Signore ci aiuti! Detto laicamente.

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