lunedì 1 agosto 2016

ALLE RADICI DEL PROBLEMA: L'ISLAM, IL TEMPO E LA STORIA



Ieri si è svolta l’iniziativa lanciata da alcune sigle del mondo islamico in Francia e in Italia (non le più rappresentative, per la verità). Non poteva trattarsi in un nessun caso di quell’”evento epocale” annunciato a suono di grancassa dai media e di quel “fatto enorme” di cui ha parlato la CEI. Tuttavia, sarebbe interessante sapere quanti musulmani siano entrati nelle chiese. Se non che era più facile ottenere una notizia attendibile durante il regime fascista che non nell’attuale regime del Multiculti.Min.Cul.Pop.  I tre maggiori quotidiani italiani, nelle loro edizioni online, hanno sparato tutti, inizialmente, la stessa cifra: 15.000. Non molti, ma neanche pochissimi.  Peccato che  la fonte come si desumeva dagli stessi articoli fosse un certo Foad Aodi, presidente del Comai (Comunità del mondo arabo in Italia). A parte che si vorrebbe anche sapere chi e quanti rappresenta il Comai,  il problema è: da dove ha preso a sua volta questa cifra il suddetto Aodi? E come l'hanno verificata i due quotidiani? Basarsi acriticamente su una tale fonte sarebbe come chiedere a me quanti juventini ci sono in Italia! Ma è l'Huffington Post di Lucia Annunziata che ha raggiunto il grottesco: nel titolo di copertina, parlava di "migliaia" di musulmani, nella finestra in basso che rimandava all'articolo le migliaia diventavano "centinaia" e i pochi che hanno avuto la pazienza di cliccare e andarsi a leggere l'articolo hanno potuto scoprire che le centinaia si erano ridotte a "decine"!!! È questa davvero l'apoteosi della disonestà intellettuale e professionale e del rincretinimento collettivo. Di questi tempi  è quasi meglio andare a caccia di pokemon che leggere giornali.
Ma, preso atto dell’incertezza dei numeri (qualche ora dopo il solito Faoud Aodi, visto il successo ottenuto, ha pensato bene di giocare al rilancio e l’ha sparata più grossa: 23.000 e non più 15.000! Intanto, andavano in onda i telegiornali della sera che, senza nemmeno citare la fonte, rilanciavano la cosa: 23000 islamici nelle chiese…credere, obbedire, combattere), un paio di considerazioni vanno pur svolte, prima di passare a cose più serie. La prima: che cosa si voleva dimostrare con questa iniziativa? Che esistono tantissimi musulmani pacifici e che sono inorriditi di fronte allo sgozzamento del prete o all’attentato di Nizza? E chi può ragionevolmente metterlo in discussione! Se si trattava di fare questo tipo di censimento, Faoud Aodi avrebbe dovuto alzare di molto il tiro: i musulmani pacifici in Italia sono certamente molti più di 15 o 23000. Ma questo cosa risolve? La constatazione che durante il nazismo esistevano tantissimi tedeschi miti e pacifici o che nel periodo del terrorismo rosso o delle purghe staliniane esistevano milioni di comunisti che erano bravissime persone, per caso aggiungeva o toglieva qualcosa al problema del nazismo o del terrorismo rosso o dello stalinismo?
Se poi l’iniziativa serviva a rimarcare, come mi pare abbiano detto tutti gli imam coinvolti, che l’islam non c’entra nulla con il terrorismo, che i terroristi fraintendono completamente l’islam, allora questa manifestazione non solo non è stata utile, ma ha contribuito a rafforzare la rimozione del problema. "Maometto ci invita ad amare", è arrivato a dire un imam. Avessi detto una cosa del genere all'esame di storia medioevale, persino un professore così signorile come Del Treppo mi avrebbe forse lanciato il libretto universitario in faccia. Giustamente. Pare che la taqyya, la dissimulazione e l'inganno che si possono o si devono usare quando si vive tra gli infedeli, appartenga soprattutto alla tradizione sciita. E tuttavia, qui sembrerebbe proprio di avere a che fare con qualcosa del genere. Del resto, la taqyya ha almeno un importante precedente nel mondo sunnita: quello dei moriscos in Spagna dopo la Reconquista.
Il problema terrorismo jihadista va letto all’interno del problema islam, come non mi stancherò mai di ripetere, perché i terroristi escono dall’”album di famiglia” dell’islam, si nutrono della cultura dell’islam. A parte la risposta che occorre dare al fenomeno sul piano dell’intelligence, delle misure di polizia, della legislazione, delle iniziative militari contro l’Isis, è fondamentale la risposta culturale e quindi la corretta lettura del fenomeno. Dato che questa risposta culturale e questa lettura coinvolgono la storia, la filosofia e la teologia e dato che cerco di parlare preferibilmente delle cose che conosco, che studio da una vita e che devo anche sapere per mestiere, e non di quelle che ignoro o di cui ho conoscenze sommarie, mi concentro solo su questo aspetto del problema, senza con ciò escludere che anche gli altri aspetti siano rilevanti e magari anche più urgenti nella risposta immediata da dare.
Riprendo una considerazione già da me svolta, perché ad essa si può agganciare una acuta analisi di Niram Ferretti, che a mio avviso ha il merito inestimabile di andare sempre al cuore del problema. La considerazione che devo ribadire riguarda la radicale diversità fra la Bibbia e il Corano, ossia fra le due fonti di rivelazione delle religioni monoteistiche (a dispetto di quanto affermato pochi mesi fa dall’ignorantissimo attuale pontefice romano). La rivelazione biblica è storica, si svolge nella storia ed è mediata dagli uomini. La rivelazione del Corano è astorica e atemporale. I testi biblici, per il credente, sono “ispirati”; il Corano  si presume “dettato” letteralmente da Allah a Maometto attraverso l’arcangelo Gabriele. La Bibbia quindi esige l’interpretazione e la critica storica ed il “letteralismo fondamentalista”, pur dominante per secoli, pur assai diffuso ancor oggi, tradisce il carattere stesso della rivelazione biblica. Usando il termine in senso rigorosamente tecnico il fondamentalismo è un’eresia (il che evidentemente non autorizza a servirsi della critica storica per manipolare la testimonianza biblica, sovrapponendo ad essa concezioni e tradizioni umane o ideologie attuali). Nell'ebraismo esiste poi il Talmud, opera interminata di interpretazione della Torah. Con il Corano, ci troviamo, invece, nella situazione esattamente opposta: esso è immodificabile e infallibile (“inerrante”) in quanto non contiene (per il fedele, si intende) la “testimonianza” della parola divina, umanamente e storicamente mediata, ma la parola divina stessa: il Corano è Allah incarnato, o meglio incartato. Il letteralismo fondamentalista quindi non è una deviazione o un’eresia, e neanche una possibilità alternativa ad un’altra, ma è l’essenza della religione islamica.
Per questo, gli oltre 400 versetti individuati dall'islamologo Laurent Lagartempe (Il Corano contro la Repubblica. I versetti incompatibili), che, come ha ricordato Niram Ferretti, “istigano a commettere crimini e delitti contro la persona, in particolare nei confronti delle donne, degli ebrei, dei cristiani, degli apostati, degli adulteri e degli omosessuali”, sono un serio problema, perché non possono essere “trattati” criticamente allo stesso modo in cui si possono trattare, ad esempio, certi versetti del Levitico sull’omosessualità o l’adulterio. Né è possibile distinguere, nell’islam, la sfera giuridica da quella etica, la religione dalla politica, la giurisdizione religiosa da quella civile, il reato dal peccato.
Da qui la conseguenzialità di domande sulla compatibilità tra l’islam e le leggi della Repubblica francese (ma discorso analogo si può fare per la compatibilità dell’islam con la Costituzione e la legislazione italiane). Chi chiede di “mettere al bando l’islam” – cosa che fa inorridire legioni di benpensanti – certamente pretende di risolvere troppo sbrigativamente un serissimo problema, con esiti che potrebbero avere un effetto boomerang, ma quantomeno parte da un’analisi corretta e si pone domande sensate.
Quest’analisi non può prescindere, come si diceva, da una valutazione del tipo di rivelazione e di libro sacro che sono propri dell’islam. Gli stessi contenuti di tale rivelazione e di questo libro vanno letti alla luce di quella valutazione. In questa direzione, Niram Ferretti mi offre uno spunto critico che reputo estremamente importante. Anche Niram, rileva come, in quanto testo increato, per i suoi adepti, il Corano sia fuori dal tempo e dalla storia. Ma, procedendo con rigore nel ragionamento, se questo è vero per il testo che è a fondamento della vita privata e civile nelle comunità islamiche, allora è l’islam stesso che si concepisce e si vive al di fuori del tempo e della storia. “Per i musulmani di stretta osservanza”, scrive Niram “il trascorrere dei secoli o la manciata di secondi che è appena trascorsa nello scrivere questa frase, sono la stessa cosa. Quella che noi occidentali, formati sul concetto di tempo rettilineo e rivolto al futuro, un portato ebraico e poi cristiano, consideriamo storia, è solo il contenitore in cui si deve rovesciare ciò che è eterno”. “La storia per l'Islam non esiste”, scrive ancora Niram Ferretti, “o meglio esiste solo la storia dell'Islam, l'unica e vera religione dell'umanità, quella originaria ed eterna. L'anacronismo deliberato è una caratteristica fondamentale della teologia islamica. La collocazione storico temporale dell'Islam, il suo sorgere, è irrilevante rispetto a ciò che questo avvenimento manifesta, la rivelazione della fede primigenia e definitiva di cui tutte le religioni anteriori non sono che forme imperfette o tentativi di falsificazione. La pretesa totalizzante dell'Islam nasce da questo, innanzitutto, da una perentorietà teologica e religiosa impositiva”.
Da parte mia, osservo come, a partire almeno dalla capitale opera di Karl Löwith – Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia – che ha peraltro come suo retroterra le grandi intuizioni di Nietzsche – la cultura occidentale sia ben consapevole di come la modernità – non solo nelle sue espressioni filosofiche, ma in ogni sua espressione, a cominciare dall’idea di progresso scientifico e tecnologico -  sia largamente figlia di una concezione della storia e del tempo che secolarizza la visione teologica ebraico-cristiana. Löwith, forse ancora irretito da pregiudizi antigiudaici, ascriveva questa teologia della storia essenzialmente ad Agostino e la contrapponeva, sull’onda appunto di Nietzsche, all’idea circolare e ciclica del tempo propria dell’antichità e della cultura pagana (e che ovviamente si ritrova ancora nell’ebraismo o nel cristianesimo, quando si ha a che fare con il tempo delle feste, dei cicli agricoli e della liturgia). La sorgente della riflessione di Agostino era però la Bibbia ebraica, sia pure da lui conosciuta solo in latino, mentre la seconda fondamentale fonte di questa filosofia della storia che ha plasmato l’Occidente è il messianismo ebraico, corrente estremamente complessa e sfaccettata, su cui oggi esiste per fortuna una sterminata letteratura. L’influenza di questa corrente e di questo paradigma della storia e del tempo sulla cultura occidentale si esercita non solo attraverso la mediazione e la rielaborazione cristiana, ma anche in parte direttamente.
La cultura occidentale ha però anche peccato di presunzione – questo mi pare di poter dire sulla base dell’indicazione che mi suggerisce ciò che scrive Niram Ferretti. Sentendosi vincente nel clash of civilization, non ha prestato attenzione a quanto accadeva, o meglio non accadeva nel mondo islamico. Questo mondo rigettava largamente sia la concezione ciclica che quella lineare del tempo e viveva il tempo storico, sulla base del suo testo sacro, come l’apparenza ingannevole, e anche blasfema, a fronte della immobile verità dell’eterno senza tempo. Ai suoi livelli alti - che mi sembrano estinti da tempo, ma posso sbagliarmi per ignoranza della cosa – la medioevale frequentazione araba della filosofia greca ha forse rafforzato questa concezione
L’Occidente ha liquidato tutto ciò sotto le categorie di “ignoranza” e di “arretratezza”. Il problema dell’ignoranza nel mondo islamico certamente esiste ed è colossale. Secondo uno studio del 2007 di Pervez Hoodbhoy, professore di Fisica all’università di Islamabad (Science and the Islamic world – the quest for reapprochment), l’intero mondo arabo traduce in un anno da altre lingue solo 330 libri, un quinto dei libri tradotti in greco moderno, a fronte di una popolazione enormemente maggiore. Negli ultimi mille anni si sono tradotti in arabo lo stesso numero di libri che si traducono oggi in un solo anno in spagnolo.
E tuttavia, quando Maurizio Molinari – allora ancora prezioso corrispondente dal Medio Oriente – ci avvertiva che il progetto dello Stato islamico era né più né meno che quello di riportare le lancette dell’orologio della storia ai primi secoli della diffusione e della conquista islamica, al tempo del Profeta e dei suoi immediati successori, e di imporre quel modo di essere e di vivere, con tutto il suo terrificante armamentario giuridico di decapitazioni, lapidazioni, crocifissioni, schiavitù e dhimmitudine, alla “Casa dell’Islam” e poi progressivamente e attraverso il jihad alla “Casa della Guerra”, ossia anche a noi e ai nostri paesi, lo abbiamo letto e ascoltato in pochi e anche quei pochi hanno forse sbrigativamente liquidato la cosa come fanatismo, ignoranza e arretratezza. Seguendo, invece, questa pista di ricerca, dovremmo renderci conto di avere a che fare con un male ben più grave, con una concezione alternativa della storia, alternativa alla modernità. Del resto, già la lettura delle opere del più importante studioso dell’islam e del Medio Oriente, Bernard Lewis (cito solo La costruzione del Medio Oriente, Il linguaggio politico dell’islam, pubblicati negli anni Novanta e poi il “profetico” What went wrong – Western impact and Middle Eastern Response, scritto all’indomani dell’11 settembre e La crisi dell’islam, di qualche anno posteriore) doveva avvertirci che, come recita una formula efficacemente sintetica, il problema degli islamisti e di larga parte del mondo islamico, che è fatto di individui che certamente non vanno a sgozzare preti e magari deplorano anche sinceramente queste cose, ma condividono un comune terreno culturale con i jihadisti, non è quello di “modernizzare l’islam”, ma piuttosto di “islamizzare la modernità”.
Ecco perché, prendendo ancora a prestito le lucide osservazioni di Niram, non può essere derubricata come follia, ignoranza o fanatismo l’affermazione del mufti palestinese Ahmed Hussein il quale ha dichiarato che la moschea di Al Aqsa – la moschea che sorge a Gerusalemme sul Monte del Tempio, oggi anche detto “spianata delle Moschee” – “esisteva 3000 anni fa, anzi "30000" anzi, "dalla creazione del mondo".
Si tratta di una affermazione che si colloca nel contesto di una cultura antistorica e antimoderna e che è però tutt’altro che innocua, visto che l'anteriorità della moschea di Al Aqsa rispetto a quella del Tempio di Salomone serve a sostenere una violenta sopraffazione ideologica, secondo cui gli ebrei non hanno alcun diritto a salire al Monte del Tempio, non essendo infatti il Tempio mai esistito per buona parte dei musulmani e degli arabi, così come Israele tutto non ha alcun diritto ad esistere, perché, con buona pace di ogni elementare evidenza storica, il popolo originario della Palestina sarebbe quello che oggi rivendica di essere stato derubato della propria terra.
Nessun europeo può più illudersi che ciò che viene pensato e si cerca di fare nei confronti di Israele riguardi solo Israele, in quanto corrisponde ormai a ciò che viene pensato e che si cerca di fare nei confronti di tutto il mondo occidentale.
Ecco perché serve ben altro che qualche imam che si reca in chiesa e che offende la nostra intelligenza sostenendo che il messaggio di Maometto è un messaggio di amore. Servirebbe un vero evento epocale, un fatto davvero enorme: una grande riforma dell’islam che mettesse in discussione l’idea stessa di rivelazione e la concezione del tempo e della storia che essa sottende e nel contempo nutre.
Si può dire, ed è vero, che al mondo ebraico-cristiano sono stati necessari tanti secoli per molto meno e cioè per accorgersi, grazie a Spinoza, che il Pentateuco non era stato scritto da Mosè, senza peraltro che questo compromettesse minimamente la fede biblica. Il problema è che nessuno Spinoza si intravede nel mondo islamico e che comunque non abbiamo tutto questo tempo a disposizione.






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