A quelli della mia
generazione, che si sono formati anche su “Processo per stupro” – o almeno a
quelli che non se ne sono dimenticati – fa una certa impressione registrare
certe reazioni agli episodi di cronaca che vedono extracomunitari, solitamente
di origine araba e nordafricana, nelle vesti di violentatori (certo, presunti,
fino a condanna) e donne italiane nelle vesti di vittime. “Processo per stupro”
lo ricordo ai più giovani o ai più smemorati, fu il titolo di un epocale
documentario, mandato in onda dalla Rai, nel 1979. La parte lesa, una giovane
di 18 anni, era difesa dall’avvocato (una femminista storica che però non mi
risulta abbia mai preteso di essere appellata “avvocatessa”) Tina Lagostena
Bassi. Gli imputati sostenevano che la ragazza fosse consenziente e di aver
pattuito con lei un compenso in denaro che poi non le avrebbero dato, perché non
erano rimasti soddisfatti dalle sue prestazioni. Ciò fu dimostrato come falso,
ma gli imputati furono condannati comunque a pene lievi e beneficiarono della
condizionale. Ciò che impressionò gli spettatori fu soprattutto il modo in cui
gli avvocati difensori infierivano sulla vittima, con domande morbose (“c’è
stata fellatio cum eiaculatio in ore”?)
e con allusioni alla sua condotta di vita ”leggera” e alla sua disponibilità
sessuale. La parte lesa si trasformava così in accusata e gli imputati quasi in
vittime! Il film-documentario, con l’eco che produsse, simboleggiò un grande
mutamento del costume, una vera rivoluzione culturale, oltre che una profonda
revisione dei costumi giudiziari.
Lascia sgomenti
rilevare come oggi tutto ciò che era stato faticosamente conquistato – dalle donne
- e acquisito – da noi maschi, o almeno da molti di noi – sia letteralmente
azzerato, quando gli episodi di cronaca riguardano maschi extracomunitari,
generalmente arabi o neri e di religione islamica, e donne italiane. Non parlo
del singolo caso e dei suoi risvolti giudiziari: potrebbe anche darsi che nell’ultimo
episodio, quello avvenuto a Roma l’altro giorno, la denunciante si sia
inventata tutto, magari per coprire la sua fuga da casa. Questa possibilità, la
possibilità che la violenza non fosse davvero avvenuta, esisteva ovviamente
anche al tempo di “Processo per stupro”. Ciò che però è radicalmente mutato, ed
è di questo che intendo parlare, sono le reazioni dell’opinione pubblica, nei
due distinti settori che per comodità definiamo “progressista” e “conservatore”.
Le parti si sono ormai rovesciate. Oggi sono i ”progressisti”, comprese le
post-femministe, a mostrare reticenza e imbarazzo di fronte a queste notizie:
non se ne parla affatto, si minimizzano, si avverte che non bisogna “soffiare
sul fuoco”, che bisogna fare attenzione a non alimentare razzismo e xenofobia,
che gli italiani violentano le donne come e più degli arabi o africani, che
anzi il sessismo sarebbe addirittura una prerogativa delle società occidentali
(!). Quando arriva eventualmente la notizia che le perizie non hanno
riscontrato segni evidenti di violenza essa viene accolta quasi con sollievo.
Ma come? Ma non avevamo faticosamente imparato (parlo di noi maschi), proprio
attraverso il caso emblematico di “Processo per stupro”, che se una donna non
si difende a urla e a calci, e quindi non viene picchiata, non è detto che sia
consenziente, ma può essere semplicemente atterrita? E che certi rapporti
sessuali non è detto che lascino segni oggettivi e riscontrabili attraverso una
perizia medica? Ora pare che tutto questo non conti più se i presunti violentatori
sono immigrati. E non conta neanche la differenza di età, 16 anni la vittima,
28 e 30 anni gli imputati, nell’ultimo caso. E’ paradossale che la difesa delle
donne, della loro libertà e del loro corpo, sia lasciata – ecco il sorprendente
rovesciamento – a quegli ambienti conservatori che una volta si trinceravano
dietro il “quella ci stava”, “quella se l’è cercata”. Difesa spesso
strumentale, certo, ma meglio che niente.
E’ un caso di quello
che io definisco post-razzismo (un razzismo alla rovescia).
Un altro caso, sempre
tratto dalla cronaca di questi giorni, è quello delle tensioni americane fra
polizia e neri. La “narrazione” dominante, sempre nei settori “progressisti” è,
più o meno questa: una polizia bianca fa una sorta di tiro a bersaglio su
poveri neri, che magari sono anche piccoli criminali ma per povertà,
emarginazione sociale, ecc. ecc. Poi, certo, capita che uno squilibrato si
diverta a sua volta a fare il tiro a bersaglio sui poliziotti, ma è una
reazione prevedibile, se non comprensibile. E comunque i morti sono uguali, vittime
sono i neri e i vittime sono i poliziotti di Dallas e ora della Louisiana, così
come assassini sono i poliziotti e assassino è il cecchino.
Posso dire che trovo
non solo mistificante, ma orripilante questa “narrazione”? Anzitutto, qualche
cifra per smascherare la mistificazione. La polizia americana non è affatto “bianca”:
la percentuale di poliziotti neri è esattamente pari alla percentuale di neri
nella popolazione complessiva. In secondo luogo, non è affatto vero che la
polizia colpisca solo e neanche principalmente i neri: il 30% circa delle
persone uccise dopo essere state fermate da qualche agente sono nere, ma il 70%
non lo sono. E questa percentuale è esattamente uguale a quella del tasso di
criminalità: il 30% circa dei reati vengono commessi da neri. Dato che le “vittime
della polizia” sono quasi sempre pregiudicati, se ne può dedurre che il
razzismo non c’entra un bel nulla: un nero ha esattamente le stesse probabilità
di un bianco di incappare in un incidente del genere. Per giunta, questi
episodi sono in calo rispetto al passato, anche se oggi hanno una maggiore
risonanza mediatica.
Ciò che rende, però,
non solo mistificante, ma francamente disgustosa la narrazione è il pareggiamento
fra le vittime e soprattutto fra gli assassini, operato non solo dai
rappresentanti di gruppi come “Black lives matter”, ma anche dai commentatori “progressisti”.
Come è possibile rendere simili un poliziotto, che certamente ha sbagliato
gravemente e va punito in termini di legge, ma che ha fermato un pregiudicato e
a cui sono saltati, colpevolmente, i nervi perché questo non ha alzato le mani
o ha cominciato a muovere le mani in modo da far temere che cercasse una
pistola, e un cecchino che appostato sui tetti ha fatto il tiro a segno contro
poliziotti, che oltretutto stavano scortando proprio un corteo di protesta
contro questi episodi? Come è possibile attaccare ferocemente il presidente
degli USA (chi mi tocca difendere!) perché ha partecipato ai funerali degli
agenti di Dallas, uccisi proditoriamente mentre compivano il loro dovere di
servitori dello stato, e non è intervenuto a ogni funerale di un pregiudicato nero
rimasto ucciso in uno degli episodi suddetti? Sono uguali questi morti? Io ho
rispetto e pietà degli uni e degli altri, ma non li considero affatto uguali e non certo per il colore della pelle!
Certamente non sono uguali i responsabili di omicidio: è persino indecente
sostenere che siano uguali i poliziotti coinvolti negli episodi in questione e
il cecchino di Dallas.
Rincuoriamoci, però,
con il grandioso e liberatorio intervento di un lucidissimo e caustico
novantaduenne.
Intervistatore: “immigrazione,
Islam, Europa. Professore su queste parole si gioca il nostro futuro”. Il
politologo Giovanni Sartori: “Su queste parole si dicono molte sciocchezze”.
Anche lei parla come la
destra? «Non mi importa nulla di destra e sinistra, a me importa il buonsenso.
Io parlo per esperienza delle cose, perché studio questi argomenti da tanti
anni, perché provo a capire i meccanismi politici, etici e economici che
regolano i rapporti tra Islam e Europa, per proporre soluzioni al disastro in
cui ci siamo cacciati»
Quale disastro? «Illudersi
che si possa integrare pacificamente un'ampia comunità musulmana, fedele a un
monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da
quello religioso, con la società occidentale democratica. Su questo equivoco si
è scatenata la guerra in cui siamo».
Sta dicendo che
l'integrazione per l'islamico è impossibile?«Sto dicendo che dal 630 d.C. in
avanti la Storia non ricorda casi in cui l'integrazione di islamici all'interno
di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all'India o all'Indonesia».
«Quindi se nei loro
Paesi i musulmani vivono sotto la sovranità di Allah va tutto bene, se invece
l'immigrato arriva da noi e continua ad accettare tale principio e a rifiutare
i nostri valori etico-politici significa che non potrà mai integrarsi. Infatti
in Inghilterra e Francia ci ritroviamo una terza generazione di giovani
islamici più fanatici e incattiviti che mai».
Ma il
multiculturalismo… «Cos'è il multiculturalismo? Cosa significa? Il
multiculturalismo non esiste. La sinistra che brandisce la parola
multiculturalismo non sa cosa sia l'Islam, fa discorsi da ignoranti. Ci pensi.
I cinesi continuano a essere cinesi anche dopo duemila anni, e convivono
tranquillamente con le loro tradizioni e usanze nelle nostre città. Così gli
ebrei. Ma i musulmani no. Nel privato possono e devono continuare a professare
la propria religione, ma politicamente devono accettare la nostra regola della
sovranità popolare, altrimenti devono andarsene».
Se la sente un
benpensante di sinistra le dà dello xenofobo. «La sinistra è vergognosa. Non ha
il coraggio di affrontare il problema. Ha perso la sua ideologia e per fare la
sua bella figura progressista si aggrappa alla causa deleteria delle porte
aperte a tutti. La solidarietà va bene. Ma non basta».
Cosa serve? «Regole.
L'immigrazione verso l'Europa ha numeri insostenibili. Chi entra, chiunque sia,
deve avere un visto, documenti regolari, un'identità certa. I clandestini, come
persone che vivono in un Paese illegalmente, devono essere espulsi. E chi
rimane non può avere diritto di voto, altrimenti i musulmani fondano un partito
politico e con i loro tassi di natalità micidiali fra 30 anni hanno la
maggioranza assoluta. E noi ci troviamo a vivere sotto la legge di Allah. Ho
vissuto trent'anni negli Usa. Avevo tutti i diritti, non quello di voto. E
stavo benissimo».
E gli sbarchi massicci
di immigrati sulle nostre coste? «Ogni emergenza ha diversi stadi di crisi. Ora
siamo all'ultimo, lo stadio della guerra - noi siamo gli aggrediti, sia chiaro
- e in guerra ci si difende con tutte le armi a disposizione, dai droni ai
siluramenti».
Cosa sta dicendo? «Sto
dicendo che nello stadio di guerra non si rispettano le acque territoriali. Si
mandano gli aerei verso le coste libiche e si affondano i barconi prima che
partano. Ovviamente senza la gente sopra. È l'unico deterrente all'assalto
all'Europa. Due-tre affondamenti e rinunceranno. Così se vogliono entrare in
Europa saranno costretti a cercare altre vie ordinarie, più controllabili».
Se la sente uno di quegli
intellettuali per i quali la colpa è sempre dell'Occidente… «Intellettuali
stupidi e autolesionisti. Lo so anch'io che l'Inquisizione è stata un orrore.
Ma quella fase di fanatismo l'Occidente l'ha superata da secoli. L'Islam no.
L'Islam non ha capacità di evoluzione. È, e sarà sempre, ciò che era dieci
secoli fa. È un mondo immobile, che non è mai entrato nella società
industriale. Neppure i Paesi più ricchi, come l'Arabia Saudita. Hanno il
petrolio e tantissimi soldi, ma non fabbricano nulla, acquistano da fuori
qualsiasi prodotto finito. Il simbolo della loro civiltà, infatti, non è
l'industria, ma il mercato, il suq».
Si dice che il contatto
tra civiltà diverse sia un arricchimento per entrambe. «Se c'è rispetto
reciproco e la volontà di convivere sì. Altrimenti non è un arricchimento, è
una guerra. Guerra dove l'arma più potente è quella demografica, tutta a loro
favore».
E l'Europa cosa fa? «L'Europa
non esiste. Non si è mai visto un edificio politico più stupido di questa
Europa. È un mostro. Non è neppure in grado di fermare l'immigrazione di
persone che lavorano al 10 per cento del costo della manodopera europea,
devastando l'economia continentale. Non
è questa la mia Europa».
Sto applaudendo da ieri
sera, quando ho letto l’intervista. E non ho intenzione di smettere.
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