sabato 21 febbraio 2015

LA "BATTAGLIA VINTA" DI TSIPRAS: COME QUELLA DI NAPOLEONE A WATERLOO



Dunque,  alla fine è accaduto quello che già si sapeva sarebbe accaduto: si è raggiunto un accordo fra Tsipras e l’Eurogruppo, è stata evitata, o almeno rinviata di quattro mesi, la bancarotta della Grecia (che a questo punto avrebbe danneggiato molto più i paesi creditori – tra cui l’Italia – che non una nazione dove ormai c’è ben poco che si possa ancora danneggiare). Analisti dei fatti economici, attenti e per nulla ostili a Tsipras, come Stefano Feltri de “Il Fatto quotidiano” parlano di una sostanziale resa di Tsipras e del suo folkloristico ministro dell’economia, in giubbotto di pelle e motocicletta. Non appare diverso il giudizio di altri. Tsipras, però, non appena lasciato l’eurogruppo e tornato in patria, si è affrettato a parlare di “battaglia vinta, anche se la guerra è ancora lunga”. Chi ha dunque ragione?
Per capirlo occorre un minimo di cronistoria. Dunque, Tsipras vince, stravince le elezioni con un programma di questo tenore: via la troika dalla Grecia; stracciamo il memorandum – ossia i “compiti a casa” che hanno imposto la severissima politica di austerità e che i precedenti governi hanno diligentemente seguito; variamo un ambizioso e amplissimo programma di spesa sociale: reintroduzione delle tredicesime, innalzamento di pensioni e salari minimi, riassunzione di dipendenti pubblici, bollette gratuite per gli indigenti, ecc. ecc.. Tutto questo senza uscire dall’euro. Grande esultanza delle varie sinistre europee: finalmente uno che le canta chiare, che dice che l’Europa e l’euro vanno benissimo, ma con la crescita e non con l’austerità, finalmente uno che andrà a Francoforte, a Bruxelles e a Berlino a “battere i pugni sul tavolo”! Esprimono soddisfazione anche quei premier – come Hollande e Renzi – che erano stati accolti da molti con favore perché avevano promesso l’euro senza l’austerità e avevano giurato che avrebbero “battuto i pugni sul tavolo” dinanzi alla Merkel. Non pochi “analisti” si spingevano a dire che ora tutti i paesi funestati dai sacrifici – Grecia, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda – avrebbero fatto finalmente fronte comune contro la Merkel e i suoi pochi alleati nordeuropei– quasi un fronte della rilassatezza, della gioia di vivere cattolica contro l’austerità e il rigore protestante, come arrivavano a scrivere alcuni con debolissime conoscenze storiche. Finalmente ci sarebbe stata la svolta!
In pochi eravamo in quei giorni ad avanzare qualche riserva: se non si erano proprio sentiti quei famosi “pugni sul tavolo” promessi dai primi ministri di paesi mediamente o largamente forzuti come Italia e Francia, come avrebbero dovuto spaventare la troika e la Merkel le deboli nocche di un peso piuma come il premier greco? Ma forse era per questo che Tsipras decideva subito di mandare in tour nelle varie capitali europee quella sorta di culturista in motocicletta, che dicono sia un professore di economia…
C’era poi il problema delle coperture finanziarie delle misure promesse in campagna elettorale: come faceva Tsipras a provare a realizzarle anche in minima parte, se le casse del Tesoro greco erano vuote e le banche sull’orlo del fallimento? Non avrebbe dovuto comunque ricorrere agli aiuti della famigerata troika, alle condizioni dettate dalla troika?
Bene, dopo un braccio di ferro, forse soltanto simulato, si arrivava ieri all’”accordo”. La parola in sé non implica che ci sia stata realmente una mediazione: un “accordo” fu raggiunto pure alla Conferenza di Monaco del 1938, nel senso che una delle due parti – Hitler – ottenne esattamente tutto quello che aveva chiesto…Ma  vediamo i dettagli.
Intanto, già da qualche giorno, Varoufakis (il culturista) aveva inviato a Bruxelles una richiesta ufficiale di prosecuzione del piano di aiuti A noi questa sembrava già una capitolazione, ma poi abbiamo pensato: va bene, chiedono di proseguire lo stesso piano di aiuti che era stato varato per i governi precedenti e che aveva insediato la troika ad Atene e imposto le misure di austerità, ma magari il postino sarà stato incaricato di sbattere la lettera sul tavolo, piuttosto che consegnarla garbatamente…
Sopraggiungeva, però, un altro segnale inquietante: non si formava quel fronte comune che avrebbe dovuto isolare la Germania e metterla con le spalle al muro, ma accadeva precisamente il contrario. Non solo, infatti, i paesi tradizionalmente allineati con Berlino – come l’Olanda, la Finlandia o l’Estonia – ma proprio quelli che avrebbero dovuto fare blocco con la Grecia  - Spagna, Irlanda, Portogallo - erano invece ancora più duri della Merkel nel sostenere che il piano di aiuti poteva essere rinnovato solo con rigorosissime garanzie che la Grecia avrebbe continuato a svolgere diligentemente i suoi “compiti a casa”. E il motivo di questa durezza è ben comprensibile: questi paesi i loro compiti li hanno già fatti, con lacrime e sangue! Renzi e Holland, intanto, si defilavano e Padoan si preoccupava solo di rilasciare dichiarazioni che auspicavano un accordo e non la rottura. Dichiarazioni che più che di solidarietà con Tsipras  sembravano di solidarietà con se stesso, come Ministro dell’Economia di un paese fortemente esposto nei suoi crediti alla Grecia e quindi legittimamente preoccupato di una rottura e della conseguente bancarotta.
Infine, ecco l’”accordo”. Il piano di aiuti viene rinnovato, anche se per quattro mesi soltanto e non per sei – come invece aveva chiesto Varoufakis. La Grecia, però, deve presentare lunedì all’Eurogruppo una lista precisa delle “riforme” che intende adottare.
Tsipras ora si “vende” questa lista come la lista greca, rispondente almeno in parte al suo programma elettorale. Però, si dà il caso che la prosecuzione del piano di aiuti è subordinata all’approvazione di queste proposte da parte della Commissione europea, del FMI e della BCE. E sarà poi necessario ancora un altro passaggio, perché il piano dovrà essere approvato anche dai parlamenti dei paesi più ostici, come la Germania stessa, la Finlandia, l’Olanda. Infine, una volta superati questi esami, la Grecia comunque non riceverà ancora nulla, perché i finanziamenti arriveranno solo alla fine dei quattro mesi e sempre che i soggetti prestatori di cui sopra si ritengano sufficientemente rassicurati dalle politiche del governo greco.
Quale persona dotata di un minimo di buon senso può credere che la lista di lunedì conterrà i provvedimenti promessi da Tsipras e non piuttosto quelli pretesi dalla troika? Certo, Tsipras qualche minimo risultato dovrà portarlo a casa e sbandierarlo ai suoi elettori e soprattutto all’ala sinistra di Syriza stesso, che cominciano già a scalpitare; le autorità europee questo lo sanno bene e si mostreranno relativamente comprensive. Ma si tratterà solo di facciata, perché gli obiettivi e i vincoli di bilancio dovranno essere rispettati, per cui se con una mano si darà qualcosa, con l’altra si continuerà a togliere.
Viene allora da chiedersi che cosa sia veramente cambiato rispetto ai governi precedenti. Ma sì, ecco che cosa è cambiato (a parte il fatto che evidentemente Varoufakis ha un fisico un po’ diverso da Venizelos e comprensibilmente piace di più alle donne): la troika ha accettato di non chiamarsi più troika e d’ora in poi o si dovranno usare i nomi per esteso dei tre soggetti componenti – Commissione europea, FMI e BCE – o si dovrà far riferimento alla ex-troika con il termine “politicamente corretto” di “Istituzioni”. Inoltre, pure il “memorandum” non si chiama più così: ora si dice “le riforme”.
Ecco, dunque che questa battaglia che Tsipras dichiara di aver vinto sembra proprio assomigliare a quella notoriamente vinta, stravinta da Napoleone a Waterloo. Anzi, è come se dopo Waterloo Napoleone avesse cantato vittoria, perché inglesi e prussiani accettavano di definire la disfatta francese una “ritirata strategica” e il duca di Wellington acconsentiva a farsi chiamare semplicemente “quel generale britannico”…
Di pazzi che si credono Napoleone e magari sono anche convinti di aver vinto a Waterloo sono pieni, se non i manicomi – giustamente aboliti – quantomeno le barzellette.

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