Dunque, alla fine è accaduto quello che già si sapeva
sarebbe accaduto: si è raggiunto un accordo fra Tsipras e l’Eurogruppo, è stata
evitata, o almeno rinviata di quattro mesi, la bancarotta della Grecia (che a
questo punto avrebbe danneggiato molto più i paesi creditori – tra cui l’Italia
– che non una nazione dove ormai c’è ben poco che si possa ancora danneggiare).
Analisti dei fatti economici, attenti e per nulla ostili a Tsipras, come
Stefano Feltri de “Il Fatto quotidiano” parlano di una sostanziale resa di
Tsipras e del suo folkloristico ministro dell’economia, in giubbotto di pelle e
motocicletta. Non appare diverso il giudizio di altri. Tsipras, però, non
appena lasciato l’eurogruppo e tornato in patria, si è affrettato a parlare di “battaglia
vinta, anche se la guerra è ancora lunga”. Chi ha dunque ragione?
Per capirlo occorre un
minimo di cronistoria. Dunque, Tsipras vince, stravince le elezioni con un
programma di questo tenore: via la troika dalla Grecia; stracciamo il
memorandum – ossia i “compiti a casa” che hanno imposto la severissima politica
di austerità e che i precedenti governi hanno diligentemente seguito; variamo
un ambizioso e amplissimo programma di spesa sociale: reintroduzione delle
tredicesime, innalzamento di pensioni e salari minimi, riassunzione di
dipendenti pubblici, bollette gratuite per gli indigenti, ecc. ecc.. Tutto
questo senza uscire dall’euro. Grande esultanza delle varie sinistre europee:
finalmente uno che le canta chiare, che dice che l’Europa e l’euro vanno
benissimo, ma con la crescita e non con l’austerità, finalmente uno che andrà a
Francoforte, a Bruxelles e a Berlino a “battere i pugni sul tavolo”! Esprimono
soddisfazione anche quei premier – come Hollande e Renzi – che erano stati
accolti da molti con favore perché avevano promesso l’euro senza l’austerità e
avevano giurato che avrebbero “battuto i pugni sul tavolo” dinanzi alla Merkel.
Non pochi “analisti” si spingevano a dire che ora tutti i paesi funestati dai
sacrifici – Grecia, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda – avrebbero
fatto finalmente fronte comune contro la Merkel e i suoi pochi alleati
nordeuropei– quasi un fronte della rilassatezza, della gioia di vivere
cattolica contro l’austerità e il rigore protestante, come arrivavano a
scrivere alcuni con debolissime conoscenze storiche. Finalmente ci sarebbe stata
la svolta!
In pochi eravamo in quei
giorni ad avanzare qualche riserva: se non si erano proprio sentiti quei famosi
“pugni sul tavolo” promessi dai primi ministri di paesi mediamente o largamente
forzuti come Italia e Francia, come avrebbero dovuto spaventare la troika e la
Merkel le deboli nocche di un peso piuma come il premier greco? Ma forse era
per questo che Tsipras decideva subito di mandare in tour nelle varie capitali
europee quella sorta di culturista in motocicletta, che dicono sia un
professore di economia…
C’era poi il problema
delle coperture finanziarie delle misure promesse in campagna elettorale: come
faceva Tsipras a provare a realizzarle anche in minima parte, se le casse del
Tesoro greco erano vuote e le banche sull’orlo del fallimento? Non avrebbe
dovuto comunque ricorrere agli aiuti della famigerata troika, alle condizioni
dettate dalla troika?
Bene, dopo un braccio
di ferro, forse soltanto simulato, si arrivava ieri all’”accordo”. La parola in
sé non implica che ci sia stata realmente una mediazione: un “accordo” fu
raggiunto pure alla Conferenza di Monaco del 1938, nel senso che una delle due
parti – Hitler – ottenne esattamente tutto quello che aveva chiesto…Ma vediamo i dettagli.
Intanto, già da qualche
giorno, Varoufakis (il culturista) aveva inviato a Bruxelles una richiesta
ufficiale di prosecuzione del piano di aiuti A noi questa sembrava già una
capitolazione, ma poi abbiamo pensato: va bene, chiedono di proseguire lo
stesso piano di aiuti che era stato varato per i governi precedenti e che aveva
insediato la troika ad Atene e imposto le misure di austerità, ma magari il
postino sarà stato incaricato di sbattere la lettera sul tavolo, piuttosto che
consegnarla garbatamente…
Sopraggiungeva, però,
un altro segnale inquietante: non si formava quel fronte comune che avrebbe
dovuto isolare la Germania e metterla con le spalle al muro, ma accadeva
precisamente il contrario. Non solo, infatti, i paesi tradizionalmente
allineati con Berlino – come l’Olanda, la Finlandia o l’Estonia – ma proprio
quelli che avrebbero dovuto fare blocco con la Grecia - Spagna, Irlanda, Portogallo - erano invece
ancora più duri della Merkel nel sostenere che il piano di aiuti poteva essere
rinnovato solo con rigorosissime garanzie che la Grecia avrebbe continuato a
svolgere diligentemente i suoi “compiti a casa”. E il motivo di questa durezza
è ben comprensibile: questi paesi i loro compiti li hanno già fatti, con
lacrime e sangue! Renzi e Holland, intanto, si defilavano e Padoan si
preoccupava solo di rilasciare dichiarazioni che auspicavano un accordo e non
la rottura. Dichiarazioni che più che di solidarietà con Tsipras sembravano di solidarietà con se stesso, come
Ministro dell’Economia di un paese fortemente esposto nei suoi crediti alla
Grecia e quindi legittimamente preoccupato di una rottura e della conseguente
bancarotta.
Infine, ecco l’”accordo”.
Il piano di aiuti viene rinnovato, anche se per quattro mesi soltanto e non per
sei – come invece aveva chiesto Varoufakis. La Grecia, però, deve presentare
lunedì all’Eurogruppo una lista precisa delle “riforme” che intende adottare.
Tsipras ora si “vende”
questa lista come la lista greca, rispondente almeno in parte al suo programma
elettorale. Però, si dà il caso che la prosecuzione del piano di aiuti è
subordinata all’approvazione di queste proposte da parte della Commissione
europea, del FMI e della BCE. E sarà poi necessario ancora un altro passaggio, perché
il piano dovrà essere approvato anche dai parlamenti dei paesi più ostici, come
la Germania stessa, la Finlandia, l’Olanda. Infine, una volta superati questi
esami, la Grecia comunque non riceverà ancora nulla, perché i finanziamenti arriveranno
solo alla fine dei quattro mesi e sempre che i soggetti prestatori di cui sopra
si ritengano sufficientemente rassicurati dalle politiche del governo greco.
Quale persona dotata di
un minimo di buon senso può credere che la lista di lunedì conterrà i
provvedimenti promessi da Tsipras e non piuttosto quelli pretesi dalla troika?
Certo, Tsipras qualche minimo risultato dovrà portarlo a casa e sbandierarlo ai
suoi elettori e soprattutto all’ala sinistra di Syriza stesso, che cominciano
già a scalpitare; le autorità europee questo lo sanno bene e si mostreranno
relativamente comprensive. Ma si tratterà solo di facciata, perché gli
obiettivi e i vincoli di bilancio dovranno essere rispettati, per cui se con
una mano si darà qualcosa, con l’altra si continuerà a togliere.
Viene allora da
chiedersi che cosa sia veramente cambiato rispetto ai governi precedenti. Ma sì,
ecco che cosa è cambiato (a parte il fatto che evidentemente Varoufakis ha un
fisico un po’ diverso da Venizelos e comprensibilmente piace di più alle donne):
la troika ha accettato di non chiamarsi più troika e d’ora in poi o si dovranno
usare i nomi per esteso dei tre soggetti componenti – Commissione europea, FMI
e BCE – o si dovrà far riferimento alla ex-troika con il termine “politicamente
corretto” di “Istituzioni”. Inoltre, pure il “memorandum” non si chiama più
così: ora si dice “le riforme”.
Ecco, dunque che questa
battaglia che Tsipras dichiara di aver vinto sembra proprio assomigliare a
quella notoriamente vinta, stravinta da Napoleone a Waterloo. Anzi, è come se
dopo Waterloo Napoleone avesse cantato vittoria, perché inglesi e prussiani
accettavano di definire la disfatta francese una “ritirata strategica” e il
duca di Wellington acconsentiva a farsi chiamare semplicemente “quel generale
britannico”…
Di pazzi che si credono
Napoleone e magari sono anche convinti di aver vinto a Waterloo sono pieni, se
non i manicomi – giustamente aboliti – quantomeno le barzellette.
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