venerdì 20 novembre 2015

STATO ISLAMICO TOTALITARIO



Se si vuole veramente contrastare la tragica offensiva terroristica, occorre partire da una corretta analisi del fenomeno Isis: è una verità tanto elementare che fa specie doverla ricordare. Chi non è interessato ad analizzare un fenomeno, evidentemente non è neanche veramente interessato a combatterlo e, quando si tratta di una realtà così barbarica e criminale,  rischia anche, più o meno involontariamente, di rendersene complice o comunque di facilitarne il gioco. L’idea ad esempio, così diffusa in certi settori dell’opinione pubblica occidentale,  che l’offensiva terroristica sia in fondo una reazione a soprusi subiti in varia forma e in vari momenti dal mondo occidentale rafforza la convinzione delle reclute jihadiste di star conducendo una guerra santa difensiva, in quanto tale legittimata dal loro libro sacro. Il Corano, infatti, prescrive di attaccare solo se si viene attaccati. E’ così che tanti occidentali contribuiscono alla legittimazione dei terroristi, anche se amano definirsi pacifisti.
In questo abbozzo di analisi ci serviremo delle fonti finora più informate e attendibili. Non meraviglierà il fatto che si tratta essenzialmente di giornalisti che ancora si preoccupano, a loro rischio e pericolo, di osservare direttamente la realtà di cui scrivono e non si accontentano di attingere notizie in rete. Mi riferisco, innanzitutto, fra i libri facilmente accessibili, a quelli scritti negli ultimi mesi da Patrick Cockburn, Maurizio Molinari e Domenico Quirico.
Tanto per cominciare a impostare un’analisi corretta, occorre dire che l’Isis non va considerato un “sedicente stato”,  ma uno stato a pieno titolo. Semplificando al massimo il discorso, si può dire che il Califfato esercita tutte quelle funzioni e ha tutte quelle prerogative che definiscono lo Stato. Innanzitutto, nei territori che controlla, ha il monopolio dell’uso della forza, sia attraverso un vero e proprio esercito, ormai fornito anche di carri armati, artiglieria pesante e missili, sia attraverso una forza di polizia, la polizia religiosa detta Al-Hesbah . Questa prerogativa essenziale della statualità – il monopolio dell’uso della forza - appartiene, anzi, all’Isis molto più che ai regimi iracheno ed afghano, al governo siriano di Assad e a quelli libici di Tripoli e Tobruk.
L’Isis ha un’amministrazione, una struttura burocratica, a quanto pare più efficiente di quella dei regimi suddetti: non appena conquista un territorio – ad esempio l’importante città di Mosul – l’Isis ripristina i servizi essenziali – di solito devastati dalla guerra: l’elettricità, gli acquedotti, i servizi postali, la scuola, i servizi sanitari (vaccinazione obbligatoria dei bambini). In tal senso, è uno Stato, con elementi anche di Welfare State. Questa amministrazione tra l’altro emana bandi ed editti pubblici, emette documenti, lasciapassare e passaporti.
Lo Stato islamico batte moneta e riscuote le tasse. Tra queste ultime  la jizya, l’imposta a cui sono sottoposti coloro che vivono in regimi di dhimmi, ossia i cristiani che rifiutano di convertirsi, o almeno i sopravvissuti alle stragi.
Lo Stato islamico ha ovviamente una legge, la legge coranica o sharia, ha dei tribunali e un sistema penale. E su questo ci torneremo parlando tra poco del carattere totalitario di questa organizzazione statale.
Naturalmente, lo Stato islamico, attraverso questi strumenti, ha il pieno controllo di un territorio: non è come molti si ostinano a credere una entità evanescente che si concretizza solo nel web e nelle diverse cellule terroristiche sparse nel mondo. Lo Stato islamico non è Al-Qaeda, è profondamente diverso da Al Qaeda proprio perché non è una organizzazione terroristica clandestina, ma uno stato. Continuare ad ignorare questa differenza significa, come ha detto Quirico con la sua efficace battuta, scambiare il gatto con il serpente ed esporsi al morso velenoso di quest’ultimo.
Alcuni forse sono riluttanti ad attribuire all’Isis la piena valenza di stato a causa della discontinuità territoriale. Questa discontinuità è reale e si è persino accentuata ultimamente, proprio perché purtroppo lo Stato islamico si è diffuso. Oggi non si può parlare di un’entità che controlla solo una fascia di territorio, pur essa peraltro alquanto frammentata, a cavallo fra la Siria e l’Iraq, in quanto almeno altre due regioni sono cadute nelle mani dell’Isis: una parte della Libia, con la città di Sirte, e gran parte del Sinai. Poi ci sono le “filiali” dell’Isis nel mondo, tra cui la ben nota Boko Haram in Nigeria e ora anche l’organizzazione islamista del Mali. Ebbene, la discontinuità e la frammentazione del territorio non sono affatto elementi escludenti la piena statualità. Mi limito a citare due esempi di istituzioni politiche a cui nessuno negherebbe il pieno riconoscimento di stato: sono la maggiore potenza economica dell’età medioevale e la maggiore potenza economica moderna, Venezia e l’Impero Britannico. Nell’uno e nell’altro caso ci troviamo di fronte a un territorio non compatto. Nei documenti veneziani del tempo, la Repubblica di San Marco viene spessa chiamata stato da mar, in quanto l’elemento di continuità del suo territorio – formato da isole, porti, mercati, città costiere - era dato proprio dal mare, piuttosto che dalla terraferma. L’impero britannico giunse poi a controllare – direttamente o meno – circa un terzo delle terre emerse sull’intero pianeta, con una interruzione di continuità fra le sue singole parti e fra queste e la Madrepatria che, come tutti sappiamo, è un’isola. A veneziani e inglesi bastò il controllo dei mari per mantenere la coesione dei loro stati. Per lo Stato islamico e nei tempi attuali nemmeno questo è indispensabile: basta l’uso adeguato del web.
Riconoscere la dimensione statuale dell’Isis è essenziale, ma non basta ancora. Occorre capire la natura schiettamente totalitaria di questo stato. Le parole non andrebbero mai usate a caso e soprattutto quando ci si sforza di orientarsi in questioni così drammatiche, dovrebbe essere obbligatorio l’uso responsabile e quindi appropriato del linguaggio. E’ preoccupante che proprio coloro che sono pronti ad usare con tanta leggerezza, e in modo così volgarmente infondato ed eticamente indecente, termini tragicamente impegnativi come “genocidio” e “nazismo” (o “fascismo”), quando si tratta degli USA o di Israele, siano poi così riluttanti a usare i termini giusti, quando invece si tratta dell’islamismo. La definizione di Stato totalitario islamico appartiene, invece, a mio avviso, proprio ad un uso responsabile del linguaggio.
Nella vasta letteratura sul totalitarismo, spicca il saggio ormai classico di Adorno e Brzezinski, Totalitarian Dictatorship and Autocracy. Per i due studiosi punto chiave è la conquista del “consenso”  (elemento messo in evidenza già nell’altro studio classico sul tema, il volume di Hanna Arendt su Le origini del totalitarismo). I regimi totalitari contemporanei, infatti, si differenziano dai regimi autoritari tradizionali o dalle monarchie assolute di un tempo o da altre forme di dittature e dispotismi proprio perché si fondano sulla ricerca sistematica del consenso e sul suo mantenimento. Non si accontentano di imporre determinati comportamenti e di vietarne altri, di controllare e di reprimere la circolazione delle idee, ma vogliono l’attivo coinvolgimento delle masse, la loro mobilitazione: hanno un obiettivo molto più ambizioso di quello delle comuni dittature perché vogliono conquistare il cuore e le coscienze delle persone. Lo Stato islamico fa proprio questo: non bisogna credere che appena conquistato un territorio i miliziani dell’Isis facciano prima di tutto stragi e violenze, promulghino la sharia e terrorizzino la popolazione. Tutto questo accade, ma come ha scritto Molinari è in fondo la seconda cosa che accade. La prima è quella a cui già accennavamo: il ripristino dei servizi essenziali, di forme di assistenza per i bisognosi (tetto massimo per gli affitti, finanziamenti per le prime case), la vaccinazione dei bambini e la creazione di scuole di regime. Tutto ciò tende appunto a conquistare un consenso. Lo stesso terrore, come vedremo, prima ancora di essere uno strumento di guerra e di repressione violenta o di vendetta, è uno strumento di proselitismo e di consenso, per quanto ciò possa suonare strano e anche atroce alle nostre educate orecchie.
Ma lasciamo da parte per il momento il tema del consenso e andiamo a verificare se, in base alla tipologia delineata nello studio di Adorno e Brzezinski, lo Stato islamico si possa o meno definire uno stato “totalitario”. Secondo i due studiosi, sei sono le caratteristiche fondamentali di uno stato totalitario:
1)     Un’ideologia ufficiale che abbraccia tutti gli aspetti dell’esistenza, che fornisce risposte e soluzioni ad ogni questione, un’ideologia, appunto, totalizzante. L’ideologia si fonda sul pensiero di uno o più autori e si trova esposta in uno o più testi fondamentali di riferimento. Questa ideologia è inoltre orientata verso uno stadio finale e perfetto, ha quindi una portata escatologica e si propone tipicamente la costruzione di un “uomo nuovo”.
2)     Un partito unico di massa guidato tipicamente da un uomo solo, che esercita una leadership carismatica (anche carismatica). Questo partito è formato da una percentuale relativamente piccola della popolazione.
3)     Un sistema di terrore, sia fisico che psichico, esercitato sia attraverso la polizia che attraverso la pressione sociale e diretto verso i nemici del regime e dell’ideologia, non solo singolarmente, ma anche spesso come classi o gruppi di individui.
4)     Un monopolio dei mass-media
5)     Un monopolio delle armi e degli strumenti di offesa
6)     Un controllo centralizzato e pianificato dell’economia.
Ebbene, lo Stato islamico possiede pienamente tutte e sei queste caratteristiche. A quanto già detto, basterà aggiungere poche note delucidative.
1)     L’ideologia totalizzante è ovviamente l’islamismo, il libro di riferimento è il Corano, l’autore, almeno nelle pretese degli adepti, è un personaggio un po’ più importante di Marx, Lenin o Hitler, dato che si tratta di Allah in persona. Il progetto di costruzione dell’uomo nuovo, in questo caso del “musulmano nuovo”, contrapposto al musulmano corrotto dei regimi arabi cosiddetti moderati, è tipicamente presente nella cura dell’istruzione dei fanciulli che è molto spiccata nello Stato islamico. Istruzione scolastica, con una riorganizzazione e un rigido controllo dei programmi di studio, che ha portato all’eliminazione di materie “degenerate” come la filosofia, l’arte e la musica, alla riscrittura dei programmi di storia, ma anche alla cura per le discipline scientifiche e per lo studio dell’inglese. Istruzione militare e istruzione alla jihad, come documentano certi abominevoli filmati diffusi via web.
L’importanza di questo primo punto porta già alla corretta definizione dell’Isis: non solo stato, non solo stato totalitario, ma stato totalitario islamico.
2)     L’organizzazione jihadista segue i modello dei partiti di massa occidentali e, all’estero, delle organizzazioni politiche clandestine. Va notato che la lettura dello studio di Adorno e Brzezinski demolisce la stolta argomentazione di tanti, secondo cui il numero esiguo dei veri e propri jihadisti rispetto alla grande maggioranza dei musulmani che jihadisti non sono dimostrerebbe la scarsa consistenza del fenomeno e il carattere pacifico della religione islamica e della quasi totalità dei suoi fedeli. Ebbene, anche nella Germania nazista o nell’URSS di Stalin, i militanti e gli attivisti di partito erano in numero esiguo rispetto alla totalità degli abitanti, ma nessuno storico, anzi nessuna persona di buon senso, ne dedurrebbe l’irrilevanza del nazismo o dello stalinismo e l’estraneità o addirittura la refrattarietà della gran parte dei tedeschi e dei russi dell’epoca all’ideologia nazista o comunista. Il punto centrale è quindi quello del consenso all’organizzazione militante e non quello della sua consistenza numerica.
Il capo unico con funzione anche carismatica è il Califfo Al-Baghdadi – ritorneremo sulla straordinaria importanza nel mondo musulmano del ripristino di questa storica istituzione – ma può essere considerato anche il Profeta o Allah stesso, trattandosi di uno stato totalitario teocratico. Restando sulla figura del neo-proclamato califfo, va sottolineato come sia pericoloso ritenerlo un rozzo e fanatico esaltato. L’operazione di proclamazione del califfato è politicamente sapiente e rivela persino  un uso raffinato della simbologia. Il califfo, che sceglie di chiamarsi Ibrahim Abu Bakr Al-Baghdadi, usa innanzitutto il nome di Abramo, con un voluto e significativo riferimento alle origini e alle radici dell’Islam, in funzione di legittimazione del suo potere. In secondo luogo, il nome Abu Bakr, che è quello del successore di Maometto e infine Al-Baghdadi, che fa riferimento non solo al radicamento iracheno, ma anche alla capitale del califfato nel periodo più splendido della sua storia.
3)     Il sistema di terrore instaurato dallo Stato islamico dovrebbe essere noto a tutti. E’ però opportuno fornire qualche dettaglio. Esemplare è il caso degli hudud, le “punizioni coraniche”, che si trasformano in eventi pubblici, con la popolazione civile, bambini compresi, che assiste riunita in grandi cerchi all’umiliazione delle vittime e all’esecuzione delle condanne. Qualche norma penale: il reato di blasfemia è punito con la morte; l’adultera sposata è uccisa tramite lapidazione; l’omosessualità – cosa da segnalare a quegli omofili occidentali prontissimi a condannare l’imperialismo americano o israeliano e così timidi nella condanna dell’islamismo – è ugualmente punita con la morte. Ai ladri viene amputata la mano, mentre 60 frustrate sono comminate per il consumo di alcol. La corruzione è punita con il taglio di mano e piede sui lati opposti. Un fatto che non si è abbastanza sottolineato è la reintroduzione della schiavitù, per le donne delle popolazioni sottomesse (gli uomini vengono semplicemente soppressi).
Le categorie di popolazioni colpite e sistematicamente sterminate, come gli ebrei o i kulaki di un tempo, sono gli sciiti e gli yazidi, ritenuti “eretici” i primi, “idolatri” i secondi. Anche in questo risalta una differenza con Al Qaeda: Bin Laden, per motivi di strategia politica, evitò di autorizzare stragi di sciiti.
4)     5) e 6) Non mi sembrano necessarie ulteriori delucidazioni su questi punti, che sono più che evidenti. Vale la pena di sottolineare che il controllo dell’economia significa controllo  di quelle che al momento sembrano i tre fattori fondamentali della ricchezza dell’Isis: i giacimenti petroliferi, il mercato dei tesori artistici e archeologici, i finanziamenti provenienti da altri paesi arabi (soprattutto Arabia Saudita e Qatar). E’ chiaro che l’economia per l’Isis è un mezzo e non è assolutamente un fine, cosa che sembra invece non entrare mai nella testa di tanti occidentali che valutano con il metro di misura della società capitalistica occidentale qualunque altra società e qualunque regime. Del resto, anche nei totalitarismi europei, l’economia era assolutamente un mezzo.
Ecco, tanto si è detto per ricominciare a restituire il loro giusto nome alle cose e, parafrasando Quirico, per non chiamare “gatto”, la tigre.
So bene, peraltro, che queste note, se anche le leggessero, non convincerebbero quelli del partito “la religione non c’entra”. Sono convinto che molte persone persino di fronte a un jihadista che - Dio non voglia - si appresta a sgozzarle al grido di "Allah u' akbar" penserebbero fino all'ultimo istante che la religione non c'entra, che i veri motivi sono economici, che la colpa è delle politiche occidentali. Un po' come Don Ferrante che nei Promessi Sposi, nel suo delirio ideologico, nega la peste, nega il contagio, non prende nessuna precauzione e muore "eroicamente", prendendosela con le congiunture astrali sfavorevoli.
Altri, poi continueranno imperterriti a denunciare il “vero” pericolo, che a loro avviso non è tanto il jihadismo, ma l”islamofobia”. Ci si è messo pure il Corriere della Sera, che ha pubblicato un sondaggio davvero sorprendente: udite! Dopo l'attacco alle torri gemelle pare sia aumentato notevolmente il numero degli americani con un'opinione sfavorevole sui musulmani e, fatto ancor più sorprendente, pare che in Francia stia accadendom ora la stessa cosa! Questo strano fenomeno, così imprevedibile, il giornale più diffuso d'Italia lo definisce "islamofobia". È come se dopo la strage di Marzabotto qualcuno avesse registrato un aumento delle opinioni negative sui tedeschi parlando di un fenomeno di "germanofobia"!
Tant’è: il Signore acceca quelli che vuole perdere.

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