martedì 17 novembre 2015

LO STATO ISLAMICO: "I SERPENTI NON SONO GATTI"



Prima di passare al tema centrale di questa serie di interventi - che è quello delle reali responsabilità dell’Occidente di fronte alla barbarie islamista, ossia dell’assenza di una seria analisi del fenomeno e, conseguentemente, di una efficace risposta culturale, politica e militare - restiamo ancora un momento sul motivo delle presunte e immaginarie colpe dell’Occidente, motivo che già è stato in parte affrontato nel precedente articolo. 
Uno dei luoghi comuni più diffusi vede nel jihadismo la reazione – addirittura comprensibile, se non giustificabile per alcuni! – alle guerre e alle occupazioni militari degli USA e dei loro alleati. "Le guerre chiamano altre guerre", urlano i Giulietto Chiesa e i Gino Strada, con uno slogan certamente di facile presa, ma di discutibile fondatezza storica. Abbiamo già sottolineato la debolezza logico-epistemologica di questo argomento, ma occorre insistere ancora sulla grande ignoranza storica che manifesta chi lo fa proprio. La serie delle guerre a cui si fa riferimento sono di solito quelle di Bush figlio, all’indomani dell’attacco alle Torri gemelle nel 2001. I meglio informati retrocedono fino alla prima guerra del Golfo, voluta da Bush padre nel 1991, che sarebbe poi la causa dello stesso attentato dell’11 settembre. L’esplosione del fondamentalismo islamista sarebbe quindi un fenomeno relativamente recente, se esso fosse una risposta a queste guerre. Ciò è totalmente falso. L’evento cardine, nell’ascesa del fondamentalismo islamico, è la rivoluzione khomeinista in Iran ed è del 1979. Evidentemente, non può essere una risposta a guerre che erano ancora molto di là da venire. Nel 1979 gli USA subivano ancora il trauma storico della guerra del Vietnam, che ancora per lungo tempo li avrebbe indotti a rinunciare a spedizioni militari nel mondo, e, dal 1976, erano sotto l’amministrazione Carter, protagonista di quello che è forse l’unico vero accordo di pace nell’area mediorientale, in tempi recenti: gli accordi di Camp David fra Israele e l’Egitto. 
Due anni dopo, nel 1981, il jihadismo lancia ancora, stavolta nel campo religioso sunnita, il suo lugubre squillo di tromba, uccidendo proprio il presidente egiziano Sadat (l’attentato fu realizzato dalla Jihad islamica egiziana). Alla prima guerra del Golfo mancano però ancora dieci anni: è molto strana una reazione che precede di un decennio l’azione! 
Passa un altro anno ancora ed ecco che nel 1982 viene fondato un altro movimento di punta del fronte jihadista: il “partito di Dio” libanese, ossia Hezbollah, organizzato proprio dalle Guardie della rivoluzione islamica del regime khomeinista. Anche l’altro notissimo movimento fondamentalista, il palestinese Hamas, viene fondato prima della guerra di Bush padre, nel 1987. Esso, tra l’altro, è una filiazione dei Fratelli musulmani, l’organizzazione che è all’origine del fondamentalismo islamico contemporaneo, la quale fu fondata in Egitto addirittura nel 1928! L’ascesa e l’offensiva jihadista precedono quindi gli interventi occidentali in Medio Oriente. 
Ma va aggiunta un’altra considerazione che davvero ridicolizza l’argomentazione di cui sopra: l’unico regime arabo che è fondamentalista dalle sue origini è la monarchia dei Saud in Arabia, che si è costituita sull’ideologia religiosa del wahabismo, la più importante corrente del fondamentalismo islamico in epoca moderna. Ebbene, si tratta di un paese che torti dall’Occidente proprio non ne ha subiti e che anzi, fin dall’epoca dell’amministrazione Roosevelt, ha fondato la sua sicurezza e la sua grande ricchezza proprio sulla strettissima alleanza con gli USA. Ciò non toglie che l’Arabia Saudita, come pure il Qatar – altro paese arabo che deve tutto all’Occidente (e al petrolio, ovviamente, ma il petrolio non servirebbe a nulla se l’Occidente non lo comprasse!) – hanno sempre finanziato i movimenti jihadisti sunniti, e continuano a farlo.

Se proprio si vuole individuare un fattore storico responsabile dell’ascesa del fondamentalismo jihadista bisogna guardare, non certo alla politica occidentale e alle guerre degli USA in Medio Oriente, ma piuttosto, nel rispetto di una elementare cronologia, al fallimento dei progetti di modernizzazione del nazionalismo arabo e persiano. La grande stagione di questo nazionalismo incomincia all’inizio degli anni Cinquanta con il colpo di stato che abbatte la monarchia egiziana e porta al potere un gruppo di militari fra cui si imporrà la figura di Nasser. Altra espressione di punta di questo nazionalismo è il partito Baath, che ha una filiale irachena e una siriana, e che avrà come principali esponenti, rispettivamente, Saddam Hussein e Assad padre. Il progetto di questo nazionalismo è una modernizzazione a tappe forzate della nazione araba, attraverso una pianificazione economica ispirata al modello sovietico – molto attraente in quegli anni per i paesi in via di sviluppo. I regimi in questione non hanno nulla di democratico, ma sono rigorosamente laici: i gruppi religiosi vengono anzi perseguitati. Un caso in parte analogo è il regime dello scià di Persia. Nella grande partita a scacchi della guerra fredda, questi regimi sono alleati ora dell’una ora dell’altra superpotenza: la Siria e ben presto anche l’Egitto di Nasser sono sostenuti dall’URSS; l’Iraq di Saddam e la Persia  dagli USA. Dal momento che URSS e USA armano e finanziano i loro alleati mediorientali e che, oltretutto, la parabola del nazionalismo arabo e persiano si consuma quasi interamente all’interno della fase di grande espansione economica del dopoguerra (i “cosiddetti trent’anni gloriosi”) il totale fallimento di questo progetto di modernizzazione non è ascrivibile a responsabilità dell’Occidente, o comunque delle grandi potenze, né è un riflesso della crisi del modello occidentale o di quella del capitalismo. Questo fallimento, che ha soprattutto cause endogene, avrà la sua “apocalisse” (rivelazione) nella drammatica sconfitta di Nasser e dei suoi alleati arabi nella guerra dei Sei Giorni. Nasser non sopravviverà alla disfatta né politicamente, né fisicamente (morirà un paio di anni dopo). La frustrazione generata dal fallimento della modernizzazione laica può essere, essa sì, un fattore di ascesa dell’islamismo.

Un’ascesa che condurrà alla fine all’Isis o Is o Daesh. Già, come dobbiamo chiamarlo? La questione non è affatto secondaria, ma ci introduce già nel tema centrale: le carenze di analisi, il deficit culturale dell’Occidente di fronte al fenomeno del Califfato di Al-Baghdadi. Come ha scritto ultimamente uno degli osservatori più lucidi del fenomeno – Domenico Quirico – una delle maggiori mistificazioni rispetto a questa terribile e nuova realtà è 


“l’incapacità di cogliere il passaggio dalla fase terroristica alla fase militare e politica. Io sono rimasto fermo ad Eraclito e al logos: le cose sono le parole con cui le definisci. Se tu un serpente lo chiami gatto e poi cerchi di accarezzarlo come fai col gatto, quello ti morde e muori. Noi continuiamo a chiamare questo fenomeno nuovo con le parole che usavamo per Al Qaida 15 anni fa: è lì il problema”


Le sostanziali differenze fra Al Qaeda e il Califfato le esamineremo meglio nella prossima puntata. Questione ancor più a monte, per non rischiare di scambiare il serpente con il gatto, è stabilire come bisogna chiamare questa nuova “entità”. In questi giorni, caldeggiata anche da Obama, vi è la proposta di usare l’acronimo arabo Daesh, perché esso suonerebbe come una parola che in arabo significa più o meno “colui che semina discordia”. Sarebbe invece sconveniente, inopportuno, politicamente “scorretto” usare gli acronimi inglesi di Isis o di Is, perché sottolineerebbero un carattere statuale che non si vorrebbe attribuire al Califfato e soprattutto perché ne rivelerebbero la natura islamica. Ebbene, proprio per gli stessi motivi, ritengo che vadano usati proprio gli acronimi inglesi, meglio ancora la dizione per esteso: “Stato islamico”. E’ questo l’unico modo per cominciare a chiamare il serpente col suo nome e non scambiarlo col gatto e per incominciare una necessaria, salutare operazione di demistificazione. Il Califfato è uno Stato, e non è una mera organizzazione terroristica. C’è di più: è uno Stato totalitario, che come vedremo più diffusamente, risponde a tutte le caratteristiche essenziali dei regimi totalitari che abbiamo tristemente conosciuto nel Novecento. Tra queste caratteristiche vi è il fatto di fondarsi su una ideologia totalizzante, l’islamismo. Stato islamico, dunque. Meglio ancora: Stato islamico totalitario. I serpenti non sono gatti.

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