martedì 2 febbraio 2016

"NON ESPORCI ALLA TENTAZIONE" PARTE SECONDA



Nell’ora – spesso terribile – della prova/tentazione il cristiano deve saper riconoscere da chi provengono le tentazioni che lo assalgono. La coscienza moderna, anche quella cristiana, tende ad incolpare se stessi, il mondo (gli altri uomini) o Dio stesso. Ciò espone, però, a catastrofici equivoci, quando si scambi, nei casi concreti, un autore della tentazione con l’altro e quando si occulti il vero responsabile. Seguiamo, allora, Bonhoeffer che, a sua volta, segue la Bibbia. E la Bibbia menziona tre diversi autori delle tentazioni: il diavolo, la concupiscenza dell’uomo e Dio stesso.

1)     La tentazione che proviene dal diavolo
Il primo soggetto della tentazione (il diavolo), come si è già accennato, resta disconosciuto o frainteso dalla coscienza moderna. E’ invece essenziale chiamarlo in causa – lo si definisca e lo si interpreti, poi, come si vuole - per comprendere correttamente i numerosi casi in cui la tentazione non viene né da noi stessi, né, tantomeno, da Dio, ma è opposta a Dio e alla sua volontà. Il tentatore è qui il nemico di Dio e si mostra capace di fare ciò che non è nella volontà di Dio e, nello stesso tempo, ciò che nessuna creatura sarebbe in grado di fare. La tentazione, scrive Bonhoeffer, “è un potere più forte di qualsiasi creatura: è l’irruzione della potenza di Satana nel mondo della creazione”.
L’estrema malvagità e l’orrore di certe vicende della storia o della cronaca e la devastazione prodotta da certe patologie, fisiche o mentali, possono rientrare, a mio avviso, in questa categoria di prova/tentazione, che non può essere in nessun modo attribuita al volere di Dio, ma che neanche si spiega soltanto con i fattori umani e nella quale gli uomini appaiono agenti o vittime di una potenza incombente, alla quale non possono opporsi. Va però anche precisato che gli uomini, talora, non solo non possono, ma neanche vogliono opporsi a questa potenza, in quanto essa li soggioga con la menzogna. La tentazione che viene dal diavolo, nella Bibbia, sta infatti anche e soprattutto sotto la specie della seduzione e dell’inganno.
Per comprendere bene questa prima categoria di tentazione, infine, non bisogna tralasciare quello che è l’obiettivo finale del tentatore: distogliere l’uomo dalla Parola di Dio, fino a portarlo all’apostasia e fino a provocare l’inevitabile giudizio di Dio sull’uomo stesso. Il paradigma biblico di questa tentazione è, perciò, nel libro di Giobbe:

Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi davanti al SIGNORE, e Satana venne anch'egli in mezzo a loro. Il SIGNORE disse a Satana: «Da dove vieni?» Satana rispose al SIGNORE: «Dal percorrere la terra e dal passeggiare per essa». Il SIGNORE disse a Satana: «Hai notato il mio servo Giobbe? Non ce n'è un altro sulla terra che come lui sia integro, retto, tema Dio e fugga il male». Satana rispose al SIGNORE: «È forse per nulla che Giobbe teme Dio? Non l'hai forse circondato di un riparo, lui, la sua casa, e tutto quel che possiede? Tu hai benedetto l'opera delle sue mani e il suo bestiame ricopre tutto il paese. Ma stendi un po' la tua mano, tocca quanto egli possiede, e vedrai se non ti rinnega in faccia».

Più avanti, Giobbe verrà colpito anche nella sua stessa persona e perderà tutto, eccetto la vita.
Il senso della tentazione è qui chiarissimo: l’uomo viene privato di tutto ciò che ha, viene reso completamente inerme. “Povertà, malattia, dileggio e condanna da parte delle persone pie lo fanno piombare nella notte più profonda. Satana, il principe di questo mondo, gli porta via tutto quello che si può portare via a un uomo. Lo getta in uno stato di abbandono, in cui al tentato non rimane altro che Dio”.
E qui sta l’astuzia del tentatore: in questo abisso, in questo abbandono, l’uomo, il presunto giusto, l’innocente, deve essere smascherato e riconoscere che non temeva Dio in modo disinteressato, ma soltanto per i beni di cui Dio lo aveva circondato. Dovrà svelarsi che “egli non ama Dio per amore di Dio, bensì per amore dei beni di questo mondo”.
Questo scopo, questo disegno del tentatore va assolutamente riconosciuto dall’uomo che ne è vittima, dall’uomo che sta attraversando questo genere di prova. Egli è chiamato a mostrare il suo timore disinteressato, la sua obbedienza gratuita a Dio. Giobbe lo fa, a mio avviso, indirettamente, respingendo con fastidio profondo i discorsi “devoti” dei suoi tre amici. Costoro, che si tengono legati a un concetto di giustizia retributiva, in fin dei conti non mostrano di amare e temere disinteressatamente Dio, in quanto per loro Dio è l’inevitabile benefattore dei giusti e il giudice dei reprobi. In tal modo, però, sorge il dubbio che il timor di Dio e la rettitudine di vita siano legati alla certezza del premio. Giobbe, invece, nella sua “protesta” contro Dio, non rinnega la sua rettitudine ed anzi la rivendica (ed ha ragione a rivendicarla dinanzi agli uomini, mentre sbaglia a rivendicarla al cospetto di Dio, come alla fine riconoscerà), persino quando questa rettitudine si mostra incapace di salvarlo dalla completa rovina e sembra non ottenere alcun riconoscimento dal Signore. Aggiungo, infine, che neanche per un attimo Giobbe è tentato dall’apostasia: è proprio la sua protesta, che pure si rivelerà infondata, che lo mantiene comunque in relazione con Dio. In tal modo, la prova è superata e il disegno di Satana fallisce.

2)     La tentazione che ha origine dalla propria concupiscenza
In altri casi, la Scrittura individua chiaramente nella concupiscenza dell’uomo l’origine della tentazione:

Nessuno, quand'è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno; invece ognuno è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce. Poi la concupiscenza, quando ha concepito, partorisce il peccato; e il peccato, quando è compiuto, produce la morte. (Giacomo, 1, 13-15)

Anche qui, premetto alcune brevi note lessicali, che mi sembrano indispensabili ad evitare i fraintendimenti della coscienza moderna.
Anzitutto, il verbo che viene qui tradotto con “tentare” è anche in questo caso peir£zw, che significa soprattutto provare, mettere alla prova ed è la trasposizione nel NT del nisah ebraico (il verbo della “prova” di Abramo). Quanto alla “concupiscenza”, il sostantivo greco è ™piqum…a che indica, nel greco neotestamentario, non un qualsiasi desiderio e un semplice desiderio, ma un desiderio ardente, una brama che soggioga e crea dipendenza (e qui è efficace la traduzione latina con il verbo concupio) e, specificamente, il desiderio di ciò che è stato proibito da Dio ed è dunque peccato. E’ il desiderio che condanna il primo uomo e la prima donna, in definitiva.
Tornando al discorso di Bonhoeffer, egli sottolinea come riconoscere nella propria concupiscenza l’origine di questo tipo di tentazione è di vitale importanza per non gettare la colpa sugli altri uomini e per non addossarla, peggio ancora, a Dio. E’ altrettanto importante distinguere questa tentazione da quella di cui abbiamo parlato prima, dalla tentazione “diabolica”: in quel caso doveva diventare chiara l’oggettività della tentazione, qui invece deve emergere inequivocabilmente la sua soggettività.
Infine, va chiarito che neanche la concupiscenza rende di per sé peccatori: essa, come dice Giacomo, deve “concepire” per poter partorire il peccato. E la concupiscenza, specifica Bonhoeffer, concepisce e partorisce il peccato, quando si congiunge al mio io, ossia quando io abbandono la Parola di Dio per unirmi soltanto alla concupiscenza. Proprio per questo l’origine del peccato, in questa forma di tentazione, è solo in me stesso.

3)     La tentazione di cui Dio stesso è autore.
Questo è sicuramente il caso più difficile. Giacomo, come si è visto, dice che Dio non tenta nessuno, ma, d’altra parte, la Scrittura conosce numerosi casi di personaggi tentati da Dio e lo stesso Israele è oggetto di simili tentazioni. Anche nel NT la tentazione è talora vista come un giudizio di Dio. Qui Bonhoeffer cita 1 Pt 4,11.17, ma a me pare che, proprio alla luce di questo passo, si possa attribuire a Dio anche la “prova” della fede di cui si parla nel bellissimo brano che troviamo all’inizio della medesima lettera:

Perciò voi esultate anche se ora, per breve tempo, è necessario che siate afflitti da svariate prove, affinché la vostra fede, che viene messa alla prova, che è ben più preziosa dell'oro che perisce, e tuttavia è provato con il fuoco, sia motivo di lode, di gloria e di onore al momento della manifestazione di Gesù Cristo. (1 Pt, 1, 6-7)

Perché è necessario riconoscere Dio come autore della tentazione? La Scrittura, dice Bonhoeffer, vuol farci capire che “sulla terra nulla accade senza la volontà e il permesso di Dio”. Anche Satana è nelle mani di Dio e, credendo di perseguire i suoi scopi, è in realtà costretto a servirlo. Egli ha potere solo lì dove Dio glielo concede: per tentare Giobbe, Satana è costretto a chiedere il permesso di Dio!
Bonhoeffer non sfugge a quella che egli definisce “la domanda dei bambini”: “Perché Dio semplicemente non annienta Satana?”. E’ un po’ strano, in verità, che qui Bonhoeffer definisca così una domanda che in fin dei conti è ascrivibile alla grande questione della teodicea. La sua risposta, comunque, è che Dio dà spazio a Satana, a motivo del peccato degli uomini. Satana deve eseguire la condanna a morte del peccatore, perché solo se il peccatore muore, il giusto può vivere, solo se l’uomo vecchio si dissolve, può sorgere l’uomo nuovo. Così Satana è involontariamente costretto ad assecondare il piano redentore di Dio.
Prima di continuare a seguire il ragionamento di Bonhoeffer desidero chiarire che la sua risposta, a mio avviso, non esaurisce certo la questione della teodicea – sul problema del male ritengo che la più profonda e convincente riflessione sia quella di Barth, in un capitolo della sua Kirchliche Dogmatik, (KD, III, 3, 50), che è stato estrapolato e pubblicato da Morcelliana, con il titolo Dio e il Niente) – ma è senz’altro pertinente al discorso sulla tentazione che si sta svolgendo.
Nella Bibbia si afferma esplicitamente che Dio abbandona l’uomo per tentarlo, mettendone alla prova il cuore (2 Cr 32,31). Nella tentazione, si rivela il cuore dell’uomo ed egli riconosce il peccato che, senza la tentazione, non avrebbe potuto riconoscere. Ma proprio il peccato divenuto manifesto può essere ora confessato e perdonato. La manifestazione del peccato fa dunque parte del disegno salvifico.
Qui mi pare che Bonhoeffer tocchi un punto cruciale e di estrema attualità nella vita dei cristiani e delle chiese: se non si riconosce e non si manifesta il peccato, non si può neanche annunciare la grazia e il perdono di Dio. L’annuncio della grazia, senza il riconoscimento del peccato, è proclamazione di quella che Bonhoeffer altrove definisce come una “grazia a buon mercato” ed è un travisamento del Vangelo, esattamente come potrebbe esserlo il giudizio sul peccato che dimenticasse di precisare subito che il peccato è sconfitto ed è perdonato in Cristo. La chiesa, questo, deve sempre lasciarselo ricordare di nuovo.
In sostanza, Dio è autore della tentazione, non direttamente, ma attraverso lo spazio che concede a Satana e questa concessione è funzionale, in realtà, al suo piano salvifico. Come si è visto, Dio lascia che Satana manifesti il peccato dell’uomo, non per condannarlo, ma per salvarlo.
Dio, inoltre, lascia che Satana colpisca l’uomo nella carne, lo privi di ogni cosa, non per perderlo, ma perché l’uomo si consegni nudo e inerme nelle mani del suo Creatore e si affidi soltanto a lui. In tal senso, aggiungo, la tentazione è una “prova” della fede, come abbiamo letto nella prima lettera di Pietro: quando l’uomo non ha più lo schermo dei beni mondani tra se stesso e Dio non può che allontanarsi definitivamente da Lui, mostrando che ciò che chiamava fede in Dio era in realtà attaccamento ai beni del mondo, o può, invece, affidarsi completamente al Signore. “Dove l’uomo perde tutto”, scrive Bonhoeffer, “dove l’inferno manifesta apertamente i suoi orrori, per il credente comincia la vita”. Queste frasi suonano profetiche: il teologo, come è noto, sarebbe stato costretto a saggiare su se stesso questa verità, resistendo all’ultima tentazione diabolica e lasciandoci, secondo una testimonianza, queste ultime parole, prima di salire sul patibolo: “E’ la fine. Per me è l’inizio della vita”.

Nella tentazione concreta del cristiano si tratta sempre di distinguere la mano di Satana dalla mano di Dio e di usare al posto e nel momento giusto la resistenza e la sottomissione: la resistenza contro il diavolo, la totale sottomissione alla mano di Dio.
Questo dato ulteriore va specificato, ricordando che tutte le tentazioni dei credenti sono tentazioni di Cristo che è in loro, e dunque vanno comprese in analogia alla tentazione di Cristo.
Di ciò parleremo nella terza e ultima parte.

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