Il 10 giugno del 1974,
Pier Paolo Pasolini pubblicò un memorabile articolo sul “Corriere della Sera”
dal titolo Studio sulla rivoluzione
antropologica in Italia. Pasolini interveniva, a modo suo, sui due eventi,
entrambi di portata storica, ma di segno ben diverso, che erano accaduti nel
mese di maggio: la vittoria del “No” al referendum per l’abrogazione della
legge Fortuna sul divorzio e la strage di Piazza della Loggia a Brescia.
Lasciando da parte questo secondo tragico episodio, focalizziamo la nostra
attenzione – nel momento in cui si discute al senato la legge sulle unioni
civili che comprende anche la cosiddetta stepchild
adoption per le coppie gay – sulla valutazione folgorante e quanto mai “controcorrente”
che Pasolini dette del referendum sul divorzio.
Ovviamente, Pasolini
era assolutamente contrario all’abrogazione della legge proposta dal socialista
Fortuna qualche anno prima e che era invece ferocemente osteggiata dal
Vaticano, dalla DC di Fanfani e dalla destra neofascista. Non per questo,
tuttavia, ritenne di potersi associare al trionfalismo delle sinistre e dei
laici e, in particolare, a quello dell’Unità, che il 2 giugno aveva usato il
titolo delle grandi occasioni: “Viva la Repubblica antifascista!”, proprio in
riferimento alle due vicende occorse in maggio. Pasolini in quella circostanza ingaggiò
una nuova e aspra polemica con il giornale comunista e con alcuni intellettuali
organici al PCI (primo fra tutti Maurizio Ferrara, padre di Giuliano).
Anzitutto, smascherò l’ipocrisia
del principale partito della sinistra italiana, ricordando come in realtà
Berlinguer avesse fieramente osteggiato il “referendum”, temendo una “guerra di
religione” e una probabile sconfitta. Per cui, scriveva Pasolini, non era stato
solo il Vaticano ad aver sbagliato completamente l’analisi della situazione, ma
lo stesso PCI. D’altra parte – e questo lo aggiungo io – il PCI era il partito
che fino a pochissimi anni prima aveva affisso manifesti “in difesa della
famiglia”, quasi in concorrenza con la DC: il brillante disegnatore satirico
Krancic – una delle poche voci fuori dal coro del giorno d’oggi e forse l’unica
tra gli autori di satira – ha rispolverato uno di quei manifesti, in occasione
delle manifestazioni “arcobaleno”, popolate da tanti ex-comunisti ed eredi di
quella tradizione e animate talora da un bigottismo di segno diverso ma di
uguale sostanza. Il PCI era il partito che superava per moralismo ottuso la
stessa DC, era il partito che aveva “mormorato” sulla relazione fra il suo
osannato segretario Togliatti e Nilde Jotti. Un moralismo bigotto ben descritto
nell’affresco di Ermanno Rea, Mistero
napoletano, e che lo stesso Pasolini, espulso anni prima dal partito per l’accusa
di omosessualità, aveva sperimentato sulla sua pelle.
Ma il punto centrale
dell’analisi di Pasolini era un altro: il PCI, scriveva, esulta per il trionfo.
Ma è stato un vero trionfo? “La mia opinione”, scriveva, “è che il
cinquantanove per cento dei “no” non sta a dimostrare, miracolisticamente una
vittoria del laicismo, del progresso e della democrazia. Niente affatto” . Il
risultato del referendum stava invece a dimostrare due cose. La prima era il “mutamento
antropologico” dei ceti medi, passati da valori clericali e ‘sanfedisti’ “all’ideologia
edonistica del consumo e della conseguente tolleranza modernistica di tipo
americano”. Un’ideologia costruita dallo stesso Potere, come del resto tutte le
ideologie interpretate in chiave marxiana, che aveva prontamente gettato a mare i
vecchi valori non più funzionali ai propri interessi. La seconda cosa era il
crollo dell’Italia contadina e paleoindustriale che aveva lasciato un vuoto che
attendeva di essere colmato da una completa “borghesizzazione” del tipo appena
accennato ("modernizzante, falsamente tollerante, americaneggiante”).
Questa analisi, a
distanza di tanti anni, torna ancora utile, a mio avviso, a leggere correttamente
lo scontro sulle “unioni civili”. Con qualche differenza non irrilevante, che
proverò, brevemente, a evidenziare.
Come ai tempi del
divorzio – se posso consentirmi un inciso personale fu proprio in quella
campagna elettorale referendaria che cominciai ad aprire gli occhi sulla scena
pubblica e ad interessarmi di politica,
non nel senso della militanza attiva (avevo solo 12 anni!), ma nel senso di
seguire i discorsi dei “grandi”, i dibattiti televisivi, gli articoli di
giornale, stimolato anche da una famiglia unanimemente e molto
appassionatamente schierata per il “no” – come ai tempi del divorzio, è fuori
discussione la scelta a favore delle unioni civili e per determinate garanzie
alle coppie di fatto, siano etero o omosessuali. Ben altra cosa è la questione
delle adozioni per le coppie gay, ambiguamente profilata dalla norma sulla stepchild adoption. Non sappiamo se ci
sarà una vittoria, un trionfo o una inopinata sconfitta della legge Cirinnà.
Quel che a me pare certo, tuttavia, è che si è costituito un movimento di
opinione favorevole non solo alle unioni civili, ma specificamente al
matrimonio gay e anche alle adozioni (sebbene su quest’ultimo punto tale
movimento sia probabilmente minoritario nel paese) e che a questo movimento ben
si adatta il giudizio di Pasolini: esso è animato, in larga parte, non già dai
valori del laicismo e della autentica tolleranza, ma da una ideologia
edonistica, consumistica e di finta tolleranza.
Qui però risalta
qualche importante differenza rispetto ai primi anni Settanta, che erano
comunque un epoca “progressista”. Allora l’edonismo e la finta tolleranza reclamavano
separazioni e divorzi, sicché potevano più facilmente assumere la maschera della
scelta di libertà; oggi l’edonismo e la finta tolleranza rivendicano matrimoni e adozioni anche per i gay. Pasolini - che al fondatore del F.U.O.R.I. Angelo Pezzana il
quale lo invitava a unirsi alla battaglia per i “diritti” degli omosessuali
rispose un giorno che aveva cose più serie di cui occuparsi - ne resterebbe inorridito e vi vedrebbe il segno che quella
borghesizzazione modernizzante, americanizzante e ipocritamente tollerante da
lui profetizzata, che trasforma con grande leggerezza desideri e bisogni in
diritti, si è ormai tristemente compiuta.
"Un'ideologia costruita dallo stesso Potere" e accuratamente propinataci dai media. "Oggi i metodi sono cambiati: oggi non è più la minaccia della forza a garantire che i media presentino notizie e problemi entro un quadro che serve gli interessi dei gruppi dominanti. I meccanismi sono molto più raffinati e sottili. Nonostante ciò, esiste un complesso sistema di filtri, sia nei mezzi di informazione che nel sistema scolastico, che alla fine garantisce che i punti di vista non conformistici siano annullati o in qualche modo messi ai margini. Il risultato finale è molto simile: quelle che all'interno del sistema dei media vengono presentate come opinioni "di sinistra" o "di destra" offrono una visione parziale e limitata dei problemi, che riflette le esigenze del potere privato, e sostanzialmente non si trova nulla nei media che vada al di là di queste posizioni "accettabili". Perciò quello che i media fanno, in realtà, è prendere la serie di schemi precostituiti che rispecchiano le idee del sistema della propaganda - sulla guerra fredda o sul sistema economico o sugli "interessi nazionali" e così via - e presentare al pubblico un dibattito variegato, ma all'interno di quegli schemi. Per cui il dibattito non fa altro che confermare i propri presupposti, inculcandoli nella testa della gente fino a farle credere che in essi sia compresa tutta la gamma delle opinioni e dei giudizi possibili. Vedete, nel nostro sistema quella che potremmo chiamare "propaganda di stato" non si esprime come tale, così come avverrebbe in uno stato totalitario. Piuttosto è implicita, è presupposta, e costituisce la struttura del dibattito fra le persone che sono ammesse alla discussione entro i limiti di questo schema generale." (N. Chomski, Capire il potere)
RispondiEliminaPossiamo reputare un fatto positivo che si sia aperta una discussione diffusa su certi temi, ma sempre che questa venga condotta in maniera realmente laica, parlando - ad esempio - di quanto possa essere disfunzionale la famiglia tradizionale, alla quale, purtroppo, vogliono essere assimilati anche coloro che finora se ne sono tenuti alla larga. E invece purtroppo sembra che le tesi in campo siano quelle di un Potere - finto progressista ma ansioso di conquistarsi la grande platea della borghesia illuminata e tollerante (lontano da casa propria) - un Potere che fagocita gli spunti di progresso culturale e li vomita bene edulcorati, in contrapposizione alle tesi rozze, grossolane e conservatrici di stampo cattolico. Tertium non datur?
Condivido, Simonetta, ti ringrazio del contributo e continuo a sperare che tertium datur!
EliminaBuongiorno, professore.
RispondiEliminaHo letto il suo articolo e, ovviamente, non ho gli strumenti adatti a poter mettere in discussione la sua interpretazione. Mi chiedo, pertanto, quale sia la sua posizione in merito a dei diritti fondamentali che da sempre vengono negati. Combattere per garantire ad ognuno la possibilità di creare una famiglia, secondo lei, è soltanto una delle tante facciate del consumismo? Concludo nella speranza di non essere frainteso o di non aver franiteso il suo pensiero, letto nella pausa da uno studio debilitante. Un saluto!
Caro Vittorio, ti ringrazio innanzitutto per il tuo intervento. Registro il fatto che la "migliore gioventù" di oggi combatta per garantire a tutti il "diritto alla famiglia". La mia gioventù di ieri non aveva evidentemente considerato questo diritto e combatteva per altri diritti. Tolto questo, la discussione su che cosa sia famiglia sarebbe troppo lunga per svolgerla qui. Dico solo che bisognerebbe evitare di risolverla in modo troppo sbrigativo, sostenendo o che famiglia è solo quella "tradizionale" o, come mi pare tenda a fare tu in buona compagnia, che qualunque unione sia famiglia. La "mia tesi", come generosamente la definisci, è però molto più semplice: che oggi si tende sempre più a spacciare e a rivendicare desideri, più o meno legittimi, e bisogni, più o meno artifciosamente indotti, per diritti. Questa confusione nuoce alla stessa tutela dei diritti ed espone appunto alla manipolazione consumistica, all'asservimento anche inconsapevole all'ideologia dominante nella società dei consumi. Nei tuoi studi certamente brillanti e proficui - e sta tranquillo che lo studio non è mai debilitante - magari cerca di trovare il tempo per leggere qualche autore della Scuola di Francoforte, su cui cercai di darvi a suo tempo delle indicazioni. Un abbraccio e auguri per tutto.
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