Se
c’è un paese che si è proposto come modello di integrazione e ha adottato ormai
da molti anni la ‘filosofia’ del multiculturalismo – addirittura dal 1975 e con
un atto del Parlamento - questo paese è
proprio quello che ha subito l’ultimo attacco del terrorismo islamista, la
Svezia. Questo attentato, dunque, nella tragica ripetitività dei fatti rispetto
ai precedenti episodi di Nizza, Monaco e Londra, si presta ad alcune
considerazioni.
Vengono,
innanzitutto, nuovamente e palesemente smentiti i più diffusi luoghi comuni politically correct su immigrazione,
islam e terrorismo.
Il
fondamentalismo islamico – si sente dire in coro - sarebbe una ritorsione
contro i misfatti perpetrati dall’Occidente nei decenni o nei secoli passati ai
danni dei popoli mediorientali. E, di grazia, qualcuno saprebbe citare le
azioni militari o i bombardamenti di cui si sarebbe resa responsabile la
Svezia? O le colonie possedute da questo paese, i territori occupati e
“depredati”? Quanto alle crociate, regolarmente tirate in ballo in questi
deliri pseudo storici, al tempo in cui si svolsero, la Svezia non era neanche
del tutto cristianizzata o stava completando un lungo e complesso processo di
cristianizzazione. Non si ha notizia, comunque, della partecipazione
all’occupazione o alla liberazione della “Terrasanta”di re o nobili svedesi,
impegnati del resto nelle guerre e nelle rivalità della lontanissima
Scandinavia.
Secondo
luogo comune. L’emarginazione sociale e la povertà sarebbero l’humus su cui fiorirebbe la mala pianta
della radicalizzazione fra gli islamici residenti in Europa. Peccato che la
Svezia abbia il welfare più generoso nei confronti dei migranti, tanto da
essere la loro meta prediletta. Essi non solo godono di un sussidio giornaliero
di 33 euro, ma possono usufruire gratuitamente di una vastissima gamma di
servizi sociali. Se hanno figli a carico ricevono poi ulteriori assegni. Non vengono forniti dati
precisi sui costi, ma alcuni analisti nel 2015 stimavano una spesa annua pari a
14 miliari di dollari (in un paese che ha solo dieci milioni di abitanti). La
legge lievemente più restrittiva approvata l’estate scorsa è staata difesa dal
governo proprio con argomentazione che se non si limita l’afflusso di immigrati
sarà impossibile continuare a offrir loro determinati standard di vita
Terzo
luogo comune. L’islamofobia, gli atteggiamenti xenofobi o razzisti
alimenterebbero il fenomeno della radicalizzazione jihadista. Anche in questo
caso, la Svezia dovrebbe allora essere il paese meno esposto a questo rischio,
visto che la censura e l’autocensura politicamente corrette raggiungono da
quelle parti livelli paradossali. Le notizie sugli atti criminali, in
particolare gli stupri, commessi da immigrati, vengono regolarmente taciute o
manipolate. Emblematico – ma se ne potrebbero citare molti simili - il caso di
uno stupro di gruppo ai danni di una ragazza nei mesi scorsi. I giornali locali
titolarono sugli “otto svedesi” o – i meno spudorati – “otto uomini” responsabili
dell’azione. Se non che di questi otto svedesi, sette erano somali e uno
iracheno.
La
censura politicamente corretta, alla fine di febbraio, ha anche trasformato in
una fantomatica gaffe quella che era
una giustissima osservazione di Donald Trump, poi rivelatasi addirittura
profetica. Trump citava proprio la Svezia come caso emblematico dei pericoli a
cui si espongono le nostre società accogliendo indiscriminatamente masse di
immigrati e sperando di integrarli pacificamente, in nome dell’ideologia
multiculturalista. Questa osservazione fu manipolata dai mass media e
trasformata nell’ennesimo sberleffo ai danni del neopresidente USA: egli
avrebbe confuso Sehwan, la città pakistana oggetto dell’ultimo attentato con
Sweden, Svezia in inglese. In realtà, Trump non si riferiva all’attentato, ma a
un servizio di Fox News della sera precedente sulla situazione
dell’immigrazione nel paese scandinavo. Scherno, risolini, commenti sarcastici,
reazioni indignate – dello stesso governo svedese – dovettero però forzatamente
placarsi proprio la notte dopo, quando puntualmente Rinkeby, un sobborgo di
Stoccolma ad alta densità d'immigrati, fu devastato dalla furia cieca degli stessi
immigrati, con aggressioni alla polizia, negozi saccheggiati, auto in fiamme. Una
rivolta scaturita da alcuni arresti nel quartiere per spaccio di droga, un
quartiere soprannominato "Piccola
Mogadiscio" per la forte presenza di immigrati di origine somala,
dove non mancano "reclutatori" vicini a organizzazioni jihadiste come
Al-Shabaab. Non un caso isolato,
purtroppo, ma un fenomeno ormai abituale nel paradiso del “multiculti”.
la violenza nel «paradiso multiculti»
Rinkeby è,
infatti, solo una delle 55 "aree
vulnerabili" menzionate lo scorso anno in un rapporto della
polizia svedese, zone, si legge sul sito governativo, «sempre più colpite dal
crimine, dall'insicurezza e da sommosse sociali». Il governo rifiuta la
definizione di "no go zone",
ma ammette che «in alcune di queste aree la polizia ha incontrato difficoltà a
svolgere il proprio dovere». Spesso in queste zone ambulanze, postini,
portavalori, pompieri entrano solo sotto scorta. Sempre a Rinkeby, già nel 2010
centinaia di giovani assediarono per due notti la stazione di polizia. Nel
maggio 2013, in un altro quartiere di Stoccolma - Husby – anche questo a forte presenza di
immigrati, divampò per cinque giorni una violentissima rivolta, con centinaia
di automobili bruciate, esercizi commerciali saccheggiati e devastati, un ristorante
incendiato, con l’aggressione ai pompieri accorsi a spegnere l’incendio, e
furono presi di mira anche i treni della metro. Spesso queste violenze sono
opera di baby-gang.
Ancora
peggiore la situazione a Malmo, dove ormai gli svedesi sono in minoranza, e a
Goteborg dove sono stati presi di mira anche turisti occidentali.
Sono purtroppo
frequenti anche gli omicidi, anche se la stampa non riporta mai l’etnia dei
responsabili dei crimini.
Il tipo di
violenza più diffuso, anche questo – soprattutto questo – regolarmente occultato
dalla stampa è però lo stupro o l’aggressione sessuale ai danni delle donne (in
certi casi anche verso dei ragazzini).
Purtroppo
nell’86% dei casi – dati del 2015 – i responsabili non vengono individuati e
chi punta il dito contro gli immigrati viene accusato di razzismo, ma è la stessa
polizia
svedese a dichiarare, in un rapporto del giugno 2016, che «i protagonisti di
violenze sessuali sono principalmente i giovani che hanno presentato domanda o
che hanno recentemente ricevuto asilo in Svezia». Perfino Amnesty International
– e ho detto tutto! – ha riconosciuto il problema.
Come
dicevamo, nel 1975, in un contesto storico completamente diverso da quello
attuale, il Parlamento decise che la Svezia doveva diventare un paese
multiculturale. Ebbene, da allora i crimini violenti sono aumentati del 300%,
ma nel caso delle violenze sessuali l’incremento è ben superiore. Nel 1975 ci
furono 421 stupri denunciati alla polizia; nel 2014 sono stati 6.620, con un
incremento del 1.472%! Negli ultimi due anni la situazione sembra ulteriormente
peggiorata.
Anche
le statistiche dell’ONU confermano che la Svezia, in base al numero di
abitanti, è il secondo paese al mondo per incidenza di stupri (dopo il Lesotho…)
ed è largamente il primo in Europa. E’ vero che la legge svedese considera
stupro qualsiasi molestia a sfondo sessuale, ma è anche vero che a dire dello
stesso Ministero della Giustizia, l’80 % dei casi non entra nelle statistiche.
regole per gestire l'immigrazione
Nessuno
può quindi negare che la Svezia, dagli anni Settanta a oggi, abbia
completamente cambiato volto, a causa della immigrazione massiccia e della
ideologia multiculturale che ha ispirato una politica dell’accoglienza molto permissiva
e sostenuto fiduciosamente un certo modello di integrazione, rivelatosi ormai
fallimentare. Non pare, infatti, che questo cambiamento sia andato propriamente
nella direzione attesa dai tifosi del multiculti. Tuttavia, l’ideologia ha la
testa molto dura e i responsabili governativi continuano ostinatamente a negare
il fallimento e a perseverare nella stessa direzione (anche se è vero che nell’estate
del 2016, è stata approvata una legge sui richiedenti asilo con norme
leggermente meno permissive, subito accolta da un coro di proteste e di
indignazione da parte dei sostenitori dell’accoglienza senza se e senza ma e
delle porte non aperte, ma spalancate). Tra l’altro, ciò fa proprio il gioco
delle forze politiche bollate come xenofobe.
Lasciando
perdere gli irriducibili negazionisti, vale la pena di rispondere a coloro che
almeno riconoscono che qualche problema con l’immigrazione islamica c’è, ma solo
per poi ribattere con una di quelle tipiche battute che chiudono il discorso: «e
allora? Dobbiamo espellere tutti gli islamici? Dobbiamo innalzare muri sperando
vanamente di contrastare un fenomeno che è ‘inarrestabile’?». No, dobbiamo
darci regole adeguate alla situazione. Basta citare il caso dell'uzbeko
arrestato per l’ultimo attentato di Stoccolma: aveva chiesto asilo nel 2014, ma
per due anni, in attesa che la sua domanda venisse presa in esame
(evidentemente queste lungaggini burocratiche non sono una prerogativa italiana)
aveva potuto circolare liberamente in Svezia e godere comunque dei sussidi. Nel
2016, finalmente, la sua istanza viene esaminata e respinta. Ma non accade
nulla. Non viene espulso. Continua a vivere in Svezia, da «clandestino»
bisognerebbe dire, ma pare che l’uso del termine sia oggi vietato. Nel
frattempo erano diventate note le sue simpatie per lo Stato islamico, anche perché
non si impegnava più di tanto a celarle, giungendo anche a porre dei «like» sotto le immagini dell’attentato della
maratona di Boston. Un attentato, vale la pena di ricordarlo, che risale al
2013.
Se
tutto questo fosse causato da disfunzioni della macchina amministrativa o di
polizia, si dovrebbe comunque intervenire, ma la verità è che non di
disfunzioni si tratta, né di difficoltà oggettive insormontabili, ma del fatto
che è assente la volontà politica di affrontare il problema e che anzi è
imperante una volontà politica di segno opposto, condizionata dall’ideologia multiculturalista
e politicamente corretta dominante.
E’
significativo, ad esempio, che se uno di noi osa usare su Facebook il termine “frocio”
al posto del politicamente corretto “gay” si trova subito con l’account
bloccato per un mese. E’ quindi possibile individuare altrettanto facilmente e
istantaneamente le manifestazioni di apologia del terrorismo islamico e, quando
si tratta di immigrati che hanno richiesto il permesso di soggiorno, respingere
immediatamente la domanda e avviare altrettanto celermente le procedure di
espulsione verso i paesi di origine.
tolleranza zero con gli intolleranti: Voltaire e Popper
L’obiezione
che così si colpiscono le persone per le loro «opinioni» - sperando che non si
arrivi, come al solito, a tirare in ballo Voltaire! – è fuori luogo: non si
tratta qui di perseguire alcun reato di opinione, ma di precisare una buona
volta gli standard di sicurezza da adottare nella politica dell’immigrazione, non
solo di fronte al fenomeno terroristico, ma anche rispetto alla recrudescenza criminale
di cui sopra.
Problema
ancora più vasto e più importante sul lungo periodo – ne accennavo in un
precedente articolo – è quello di fissare anche gli standard e i requisiti di
cittadinanza. Problema culturale e non solo di intelligence e di ordine pubblico, evidentemente.
Più
che Voltaire è quindi il caso di ricordare l’affermazione di un maestro più
recente del pensiero liberale, Karl Popper: «la nostra tolleranza non si può
estendere agli intolleranti». C’è infatti il rischio che alcuni di quelli che
stiamo generosamente accogliendo prendano un po’ troppo alla lettera l’espressione
del filosofo dei Lumi e si offrano ben volentieri di assecondare il nostro nobile
principio di difendere fino alla morte la loro libertà di professare un’ idea
(di società islamica).
Tutta colpa dei fabbricanti di armi (e di tir)
Mentre
scrivevo questo intervento, giungeva purtroppo la notizia della strage in
Egitto, in due chiese copte. Al dolore e alla rabbia che ci investono di nuovo si associa purtroppo
pure l’indignazione per le ineffabili parole di Papa Ciccio. Mentre era in
corso l’Angelus, gli hanno portato la
notizia. Ha letto rapidamente il foglietto e che cosa ha detto? Nessuno si
aspettava, ovviamente, che, di fronte all’ennesimo attentato in Europa, di
qualche giorno fa, e al nuovo eccidio di cristiani mediorientali, egli rompesse
finalmente il tabù che vieta (a lui e a molti altri) di associare la parola «terrorismo»
alla parola «islam». Ma è riuscito comunque a sorprenderci, giungendo
addirittura a deviare il discorso sui
«trafficanti di armi», tanto che non
sapevi se era il papa a parlare o Di Battista, se era Bergoglio o Luca
Casarini o Gino Strada o un qualsiasi ragazzotto dei centri sociali.
Ma
dicevamo dell’indignazione che ci ha preso: è davvero scandaloso che neanche
lui dica nulla contro i veri responsabili delle stragi di Londra, Monaco,
Nizza, Stoccolma: gli abominevoli
fabbricanti di tir e di suv.
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