domenica 9 aprile 2017

IL FALLIMENTO DEL PARADISO MULTICULTURALE (con una postilla sul papa)

l'attentato di Stoccolma e i luoghi comuni su islam e terrorismo

Se c’è un paese che si è proposto come modello di integrazione e ha adottato ormai da molti anni la ‘filosofia’ del multiculturalismo – addirittura dal 1975 e con un atto del Parlamento -  questo paese è proprio quello che ha subito l’ultimo attacco del terrorismo islamista, la Svezia. Questo attentato, dunque, nella tragica ripetitività dei fatti rispetto ai precedenti episodi di Nizza, Monaco e Londra, si presta ad alcune considerazioni.
Vengono, innanzitutto, nuovamente e palesemente smentiti i più diffusi luoghi comuni politically correct su immigrazione, islam e terrorismo.
Il fondamentalismo islamico – si sente dire in coro - sarebbe una ritorsione contro i misfatti perpetrati dall’Occidente nei decenni o nei secoli passati ai danni dei popoli mediorientali. E, di grazia, qualcuno saprebbe citare le azioni militari o i bombardamenti di cui si sarebbe resa responsabile la Svezia? O le colonie possedute da questo paese, i territori occupati e “depredati”? Quanto alle crociate, regolarmente tirate in ballo in questi deliri pseudo storici, al tempo in cui si svolsero, la Svezia non era neanche del tutto cristianizzata o stava completando un lungo e complesso processo di cristianizzazione. Non si ha notizia, comunque, della partecipazione all’occupazione o alla liberazione della “Terrasanta”di re o nobili svedesi, impegnati del resto nelle guerre e nelle rivalità della lontanissima Scandinavia.

Secondo luogo comune. L’emarginazione sociale e la povertà sarebbero l’humus su cui fiorirebbe la mala pianta della radicalizzazione fra gli islamici residenti in Europa. Peccato che la Svezia abbia il welfare più generoso nei confronti dei migranti, tanto da essere la loro meta prediletta. Essi non solo godono di un sussidio giornaliero di 33 euro, ma possono usufruire gratuitamente di una vastissima gamma di servizi sociali. Se hanno figli a carico ricevono poi  ulteriori assegni. Non vengono forniti dati precisi sui costi, ma alcuni analisti nel 2015 stimavano una spesa annua pari a 14 miliari di dollari (in un paese che ha solo dieci milioni di abitanti). La legge lievemente più restrittiva approvata l’estate scorsa è staata difesa dal governo proprio con argomentazione che se non si limita l’afflusso di immigrati sarà impossibile continuare a offrir loro determinati standard di vita

Terzo luogo comune. L’islamofobia, gli atteggiamenti xenofobi o razzisti alimenterebbero il fenomeno della radicalizzazione jihadista. Anche in questo caso, la Svezia dovrebbe allora essere il paese meno esposto a questo rischio, visto che la censura e l’autocensura politicamente corrette raggiungono da quelle parti livelli paradossali. Le notizie sugli atti criminali, in particolare gli stupri, commessi da immigrati, vengono regolarmente taciute o manipolate. Emblematico – ma se ne potrebbero citare molti simili - il caso di uno stupro di gruppo ai danni di una ragazza nei mesi scorsi. I giornali locali titolarono sugli “otto svedesi” o – i meno spudorati – “otto uomini” responsabili dell’azione. Se non che di questi otto svedesi, sette erano somali e uno iracheno.
La censura politicamente corretta, alla fine di febbraio, ha anche trasformato in una fantomatica gaffe quella che era una giustissima osservazione di Donald Trump, poi rivelatasi addirittura profetica. Trump citava proprio la Svezia come caso emblematico dei pericoli a cui si espongono le nostre società accogliendo indiscriminatamente masse di immigrati e sperando di integrarli pacificamente, in nome dell’ideologia multiculturalista. Questa osservazione fu manipolata dai mass media e trasformata nell’ennesimo sberleffo ai danni del neopresidente USA: egli avrebbe confuso Sehwan, la città pakistana oggetto dell’ultimo attentato con Sweden, Svezia in inglese. In realtà, Trump non si riferiva all’attentato, ma a un servizio di Fox News della sera precedente sulla situazione dell’immigrazione nel paese scandinavo. Scherno, risolini, commenti sarcastici, reazioni indignate – dello stesso governo svedese – dovettero però forzatamente placarsi proprio la notte dopo, quando puntualmente Rinkeby, un sobborgo di Stoccolma ad alta densità d'immigrati, fu devastato dalla furia cieca degli stessi immigrati, con aggressioni alla polizia, negozi saccheggiati, auto in fiamme. Una rivolta scaturita da alcuni arresti nel quartiere per spaccio di droga, un quartiere soprannominato "Piccola Mogadiscio" per la forte presenza di immigrati di origine somala, dove non mancano "reclutatori" vicini a organizzazioni jihadiste come Al-Shabaab. Non un caso isolato, purtroppo, ma un fenomeno ormai abituale nel paradiso del “multiculti”.

la violenza nel «paradiso multiculti»
Rinkeby è, infatti, solo una delle 55 "aree vulnerabili" menzionate lo scorso anno in un rapporto della polizia svedese, zone, si legge sul sito governativo, «sempre più colpite dal crimine, dall'insicurezza e da sommosse sociali». Il governo rifiuta la definizione di "no go zone", ma ammette che «in alcune di queste aree la polizia ha incontrato difficoltà a svolgere il proprio dovere». Spesso in queste zone ambulanze, postini, portavalori, pompieri entrano solo sotto scorta. Sempre a Rinkeby, già nel 2010 centinaia di giovani assediarono per due notti la stazione di polizia. Nel maggio 2013, in un altro quartiere di Stoccolma -  Husby – anche questo a forte presenza di immigrati, divampò per cinque giorni una violentissima rivolta, con centinaia di automobili bruciate, esercizi commerciali saccheggiati e devastati, un ristorante incendiato, con l’aggressione ai pompieri accorsi a spegnere l’incendio, e furono presi di mira anche i treni della metro. Spesso queste violenze sono opera di baby-gang.
Ancora peggiore la situazione a Malmo, dove ormai gli svedesi sono in minoranza, e a Goteborg dove sono stati presi di mira anche turisti occidentali.
Sono purtroppo frequenti anche gli omicidi, anche se la stampa non riporta mai l’etnia dei responsabili dei crimini.
Il tipo di violenza più diffuso, anche questo – soprattutto questo – regolarmente occultato dalla stampa è però lo stupro o l’aggressione sessuale ai danni delle donne (in certi casi anche verso dei ragazzini).
Purtroppo nell’86% dei casi – dati del 2015 – i responsabili non vengono individuati e chi punta il dito contro gli immigrati viene accusato di razzismo, ma è la stessa polizia svedese a dichiarare, in un rapporto del giugno 2016, che «i protagonisti di violenze sessuali sono principalmente i giovani che hanno presentato domanda o che hanno recentemente ricevuto asilo in Svezia». Perfino Amnesty International – e ho detto tutto! – ha riconosciuto il problema.
Come dicevamo, nel 1975, in un contesto storico completamente diverso da quello attuale, il Parlamento decise che la Svezia doveva diventare un paese multiculturale. Ebbene, da allora i crimini violenti sono aumentati del 300%, ma nel caso delle violenze sessuali l’incremento è ben superiore. Nel 1975 ci furono 421 stupri denunciati alla polizia; nel 2014 sono stati 6.620, con un incremento del 1.472%! Negli ultimi due anni la situazione sembra ulteriormente peggiorata.
Anche le statistiche dell’ONU confermano che la Svezia, in base al numero di abitanti, è il secondo paese al mondo per incidenza di stupri (dopo il Lesotho…) ed è largamente il primo in Europa. E’ vero che la legge svedese considera stupro qualsiasi molestia a sfondo sessuale, ma è anche vero che a dire dello stesso Ministero della Giustizia, l’80 % dei casi non entra nelle statistiche.

regole per gestire l'immigrazione
Nessuno può quindi negare che la Svezia, dagli anni Settanta a oggi, abbia completamente cambiato volto, a causa della immigrazione massiccia e della ideologia multiculturale che ha ispirato una politica dell’accoglienza molto permissiva e sostenuto fiduciosamente un certo modello di integrazione, rivelatosi ormai fallimentare. Non pare, infatti, che questo cambiamento sia andato propriamente nella direzione attesa dai tifosi del multiculti. Tuttavia, l’ideologia ha la testa molto dura e i responsabili governativi continuano ostinatamente a negare il fallimento e a perseverare nella stessa direzione (anche se è vero che nell’estate del 2016, è stata approvata una legge sui richiedenti asilo con norme leggermente meno permissive, subito accolta da un coro di proteste e di indignazione da parte dei sostenitori dell’accoglienza senza se e senza ma e delle porte non aperte, ma spalancate). Tra l’altro, ciò fa proprio il gioco delle forze politiche bollate come xenofobe.
Lasciando perdere gli irriducibili negazionisti, vale la pena di rispondere a coloro che almeno riconoscono che qualche problema con l’immigrazione islamica c’è, ma solo per poi ribattere con una di quelle tipiche battute che chiudono il discorso: «e allora? Dobbiamo espellere tutti gli islamici? Dobbiamo innalzare muri sperando vanamente di contrastare un fenomeno che è ‘inarrestabile’?». No, dobbiamo darci regole adeguate alla situazione. Basta citare il caso dell'uzbeko arrestato per l’ultimo attentato di Stoccolma: aveva chiesto asilo nel 2014, ma per due anni, in attesa che la sua domanda venisse presa in esame (evidentemente queste lungaggini burocratiche non sono una prerogativa italiana) aveva potuto circolare liberamente in Svezia e godere comunque dei sussidi. Nel 2016, finalmente, la sua istanza viene esaminata e respinta. Ma non accade nulla. Non viene espulso. Continua a vivere in Svezia, da «clandestino» bisognerebbe dire, ma pare che l’uso del termine sia oggi vietato. Nel frattempo erano diventate note le sue simpatie per lo Stato islamico, anche perché non si impegnava più di tanto a celarle, giungendo anche a porre dei «like» sotto le immagini dell’attentato della maratona di Boston. Un attentato, vale la pena di ricordarlo, che risale al 2013.
Se tutto questo fosse causato da disfunzioni della macchina amministrativa o di polizia, si dovrebbe comunque intervenire, ma la verità è che non di disfunzioni si tratta, né di difficoltà oggettive insormontabili, ma del fatto che è assente la volontà politica di affrontare il problema e che anzi è imperante una volontà politica di segno opposto, condizionata dall’ideologia multiculturalista e politicamente corretta dominante.
E’ significativo, ad esempio, che se uno di noi osa usare su Facebook il termine “frocio” al posto del politicamente corretto “gay” si trova subito con l’account bloccato per un mese. E’ quindi possibile individuare altrettanto facilmente e istantaneamente le manifestazioni di apologia del terrorismo islamico e, quando si tratta di immigrati che hanno richiesto il permesso di soggiorno, respingere immediatamente la domanda e avviare altrettanto celermente le procedure di espulsione verso i paesi di origine. 
tolleranza zero con gli intolleranti: Voltaire e Popper
L’obiezione che così si colpiscono le persone per le loro «opinioni» - sperando che non si arrivi, come al solito, a tirare in ballo Voltaire! – è fuori luogo: non si tratta qui di perseguire alcun reato di opinione, ma di precisare una buona volta gli standard di sicurezza da adottare nella politica dell’immigrazione, non solo di fronte al fenomeno terroristico, ma anche rispetto alla recrudescenza criminale di cui sopra.
Problema ancora più vasto e più importante sul lungo periodo – ne accennavo in un precedente articolo – è quello di fissare anche gli standard e i requisiti di cittadinanza. Problema culturale e non solo di intelligence e di ordine pubblico, evidentemente.
Più che Voltaire è quindi il caso di ricordare l’affermazione di un maestro più recente del pensiero liberale, Karl Popper: «la nostra tolleranza non si può estendere agli intolleranti». C’è infatti il rischio che alcuni di quelli che stiamo generosamente accogliendo prendano un po’ troppo alla lettera l’espressione del filosofo dei Lumi e si offrano ben volentieri di assecondare il nostro nobile principio di difendere fino alla morte la loro libertà di professare un’ idea (di società islamica).
Tutta colpa dei fabbricanti di armi (e di tir)
Mentre scrivevo questo intervento, giungeva purtroppo la notizia della strage in Egitto, in due chiese copte. Al dolore e alla rabbia che ci investono di nuovo si associa purtroppo pure l’indignazione per le ineffabili parole di Papa Ciccio. Mentre era in corso l’Angelus, gli hanno portato la notizia. Ha letto rapidamente il foglietto e che cosa ha detto? Nessuno si aspettava, ovviamente, che, di fronte all’ennesimo attentato in Europa, di qualche giorno fa, e al nuovo eccidio di cristiani mediorientali, egli rompesse finalmente il tabù che vieta (a lui e a molti altri) di associare la parola «terrorismo» alla parola «islam». Ma è riuscito comunque a sorprenderci, giungendo addirittura a  deviare il discorso sui «trafficanti di armi», tanto che non  sapevi se era il papa a parlare o Di Battista, se era Bergoglio o Luca Casarini o Gino Strada o un qualsiasi ragazzotto dei centri sociali.
Ma dicevamo dell’indignazione che ci ha preso: è davvero scandaloso che neanche lui dica nulla contro i veri responsabili delle stragi di Londra, Monaco, Nizza, Stoccolma: gli abominevoli  fabbricanti di tir e di suv.

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