Un
dato oggettivo: quella di ieri è stata la
peggiore disfatta elettorale della storia dell’Italia repubblicana,
superando anche la sconfitta fanfaniana al referendum sul divorzio. Negli
ultimi giorni si percepiva, in effetti, un clima di grande mobilitazione popolare, che non aveva più nulla a che vedere
con la propaganda militante delle varie forze politiche dello schieramento del
No. Era una mobilitazione di cittadini e
cittadine comuni, indignati e decisi a farsi valere, guidati non da
valutazioni sui futuri “scenari politici” e nemmeno da giudizi articolati sul
merito della riforma ma da quel ben noto “buon
senso” popolare che, come ben sapeva un conservatore intelligentissimo come
Edmund Burke, nelle occasioni che contano si mostra molto più perspicace delle
analisi e dei giudizi degli “intelligenti” e dei “colti”. E’ stata un’onda
simile, in questo senso, a quella che ha prodotto la Brexit e il successo di
Trump. Qualificarla come “populismo” o “voto di pancia” significa perpetuare un
giudizio politicamente stolto che esporrà chi depreca e stigmatizza a future, immancabili sconfitte.
Volontà di cambiamento
Un
primo elemento di interpretazione nasce proprio da questa grande mobilitazione
popolare: essa esprime sempre una volontà di cambiamento e già i dati sull’affluenza
lasciavano quindi presagire la disfatta della riforma Renzi/Boschi. Renzi ha
cercato di cavalcare queste istanze, ma è stato un boomerang: un popolo che
vuole il cambiamento non si lascia prendere in giro da una riduzione del numero
dei senatori, dalla trasformazione di un po’ di consiglieri regionali e sindaci
in senatori o dall’abolizione del Cnel (alla cui presidenza ora Renzi si potrà
candidare!); un popolo che vuole il cambiamento
vota per cacciare chi governa. Renzi ha potuto cavalcare l’onda nelle prime
settimane della sua esperienza di governo – da qui il grande successo delle
europee – ma oggi, messo alla prova, già non è più credibile.
Indignazione
La
sua azione di governo non ha però suscitato solo delusione, ma, date anche le
sue “strategie comunicative”, ha provocato anche e soprattutto un’accesa
indignazione. Come si può raccontare agli insegnanti che hanno subito la “buona
scuola”, ai lavoratori che hanno subito il “jobs act” o gli effetti della
riforma Fornero non certo corretti da questo governo, alle imprese e ai piccoli
esercenti che chiudono, a tutto un ceto medio impoverito, che il problema dell’Italia
è il “bicameralismo perfetto” e impegnarsi per mesi in una battaglia sulla
Costituzione, invece di dedicarsi alle vere priorità? Un po’ di pseudointellettuali hanno potuto anche credere che il
mutamento costituzionale fosse la strada per rendere il paese più “moderno” e
più “efficiente”, ma il buon senso popolare non si è bevuto la frottola e pur
senza avere gli strumenti per entrare nel merito della questione ha fiutato l’inganno.
Come ha scritto una persona su FB la riforma “puzzava di marcio”. Come ho
sentito ripetere più volte da persone semplici – qualità preziosa in certe
circostanze – se si volevano ridurre i costi della politica e velocizzare l’iter
legislativo, bisognava abolire del tutto il Senato e ridurre numero e stipendi
dei deputati.
Chi
poi ha potuto e voluto studiare la questione, se non aveva altre motivazioni
per sostenere il Sì, non ha potuto non notare che quella legge di revisione costituzionale era un’offesa all’intelligenza.
Conservatori sì, ma della proprie capacità cognitive!
I
popoli a volte ci mettono un po’ di tempo, ma i bugiardi e i truffatori prima o
poi li smascherano sempre e quasi mai dopo averli sbugiardati li rimettono sul
piedistallo su cui li avevano collocati.
Virtù civili
La
grande mobilitazione ha poi espresso una incoraggiante volontà di partecipazione.
Le rassicurazioni del premier e dei suoi sostenitori sulle modalità di elezione
dei nuovi senatori non sono servite a nulla: gli italiani hanno capito che li si voleva espropriare dei propri
diritti politici o limitarli gravemente e hanno reagito recandosi in massa alle
urne. Anche in questo caso, Renzi che mostra il facsimile della nuova scheda
elettorale per il Senato - una scheda
fantasma evidentemente, visto che la legge elettorale non poteva ancora esserci,
e la promessa di qualcosa che non era nelle sue disponibilità, come è tipico
dei bugiardi, visto che comunque la legge elettorale l’avrebbe votata il
Parlamento – che fa una sceneggiata da piazzista (“non c’è trucco, non c’è
inganno” ha testualmente detto), ha persuaso qualche “intelligente” e qualche “colto”,
ma non ha ingannato i semplici.
Non solo la misura, poi,
ma anche la qualità di questa mobilitazione rinfranca davvero il cuore.
La riforma si presentava agli occhi dei più come un guazzabuglio, ma quel che risultava
chiaro a tutti è che toccava la Costituzione e metteva una parte del paese
contro l’altra parte. Nel dubbio e nella
confusione, una larga maggioranza degli italiani ha scelto di difendere la
Costituzione repubblicana e antifascista, confermando per l’ennesima volta
un dato storico: gli italiani nel tempo ordinario hanno gravi mancanze in fatto
di virtù civili, ma nei tempi critici danno prova di grande coraggio e
determinazione nel salvaguardare, difendere o riaffermare quelle stesse virtù
civili. Silenziosamente e fattivamente, senza retorica, senza inni e senza
bandiere. Il migliore spirito della
nostra Repubblica si è risvegliato il 4 dicembre: Non durerà, certo, ma è stato
di fondamentale importanza che abbia sbarrato la strada agli avventurieri.
Scenari
Inutile
nascondere che siamo effettivamente nell’incertezza totale, ma il fatto che gli
italiani non abbiano avuto alcuna paura del ricatto del “salto nel buio” dà la
misura della loro sacrosanta esasperazione. Alcuni dati più probabili o meno
improbabili si possono però individuare.
Renzi,
dopo essersi stoltamente incaponito nel condurre in prima linea la battaglia
referendaria, ha fatto l’unica cosa che poteva fare: rimettere il mandato nelle
mani di Mattarella e cercare di lasciare, come ha detto, “oneri e onori a
quelli che hanno vinto”. Si prepara probabilmente un futuro di silenzioso e
infido destabilizzatore, nello stile dei 101 franchi tiratori di Prodi. Nel
teatrino delle manovre politiche avrà ancora le sue carte da giocare, ma è estremamente difficile che possa
riconquistare la fiducia popolare che ne aveva accompagnato l’ascesa. Se
dovessi sbilanciarmi in una previsione direi che il suo naufragio è definitivo.
E questo perché alle tipiche dinamiche del sentimento popolare, a cui ho già
accennato e che lo condannano, si aggiunge il
discredito che si è conquistato presso i suoi referenti internazionali e veri burattinai.
Aveva avuto da questi una investitura con un preciso mandato, dopo che essi
avevano verificato l’impopolarità di Monti, l’improponibilità di nuovi governi
tecnici e l’inconsistenza di Letta. Occorreva qualcuno che continuasse sulla
strada delle “riforme” contenute nel diktat della famosa lettera di Draghi e
Trichet dell’estate del 2011, la strada del dissanguamento del popolo italiano
e della espropriazione di sovranità, qualcuno che però che godesse di un
consenso popolare e assicurasse stabilità di governo. Qualcuno che servisse gli interessi dell’establishment eurocrate, senza
darlo a vedere e anzi atteggiandosi a figura antiestablishment. Per un
breve periodo, Renzi ha saputo interpretare il ruolo assegnatogli con una certa
destrezza, ma è poi caduto, con un totale fallimento, non solo per i suoi
limiti soggettivi di millantatore, ma soprattutto per i limiti oggettivi della
situazione: gli 80 euro e gli altri bonus non alleviano i costi sociali delle “riforme”,
la stagnazione prosegue, inevitabilmente dati i vincoli imposti, e altrettanto
inevitabilmente aumenta anche il debito pubblico. Ormai Renzi è stato smascherato e non serve più ai suoi burattinai.
Come al solito, come era accaduto anche per Berlusconi, i giornali economici britannici
espressione della grande finanza internazionale avevano lanciato il segnale.
Poteva essere solo un avvertimento, ma data la disfatta elettorale, quel
segnale ora suona come una campana a morto.
Il paradosso è che
questa grande disfatta di Renzi non trova sull’altro versante un vero vincitore
politico. E’ un giudizio molto superficiale dire che hanno
vinto Grillo o Salvini o Brunetta o D’Alema. La verità è che ieri si percepiva,
accanto a questo clima di grande mobilitazione, uno scarto enorme fra questa mobilitazione popolare e le misere figure
o forze politiche che dovrebbero darle rappresentanza. C’è un grande vuoto
politico, adesso, e come sempre accade questo vuoto prima o poi dovrà essere
riempito, questo spazio sarà occupato. Ma da chi? Questo è il punto ancora
largamente oscuro.
Anche
in questo caso, però, le tenebre non sono così fitte che non si possa scorgere
nulla. La cosa che mi sento di dire è che a occupare questo spazio non sarà il
M5S. Grillo, anzi, con la vittoria del No e per i motivi che ho ripetuto fino
alla noia prima del referendum, ma che riassumerò ancora una volta, è, dopo
Renzi, il secondo perdente del 4
dicembre; sempre che davvero gli interessi andare al governo – cosa che è
assai dubbia. Se invece ai 5S interessa solo la più comoda posizione di
demagoghi da piazza allora certo che hanno vinto, perché quella posizione la
potranno tenere ancora per un po’ dopo il risultato referendario e le loro
trombe avranno più fiato. Contenti loro. Non
hanno alcun senso, comunque, le urla – di gioia o di angoscia a seconda dei
casi – di chi dice che “ha vinto Grillo”. E il primo ad accorgersene è
stato lui stesso, che certo è più intelligente dei suoi “ragazzi” e anche di
molti analisti politici. Mentre Renzi ancora parlava “alla nazione”, Grillo
scriveva nel suo blog che bisognerebbe ora votare con l'attuale legge
elettorale, ossia con l'Italicum alla Camera e con il cosiddetto Consultellum (ossia
il Porcellum modificato dalla Consulta) al Senato! È una cosa che ovviamente
non sta né in cielo, né in terra, perché nessun presidente della repubblica
potrebbe consentire una simile assurdità e perché sull'Italicum grava comunque
il giudizio della Consulta, che quasi certamente lo boccerà o lo emenderà. Emerge
così, dalle stesse parole di Grillo, il dato che quasi sempre inutilmente ho
sottolineato con tanti amici, alcuni dei quali si sono lasciati indurre a
votare Sì anche per lo “spauracchio” di un governo a 5S – un governo Di Maio! –
che si sarebbe profilato a loro avviso con la vittoria del No. Ho scritto e lo
ripeto che solo l’Italicum dà chance di
governo a una forza politica come il M5S che rifiuta programmaticamente e
pregiudizialmente alleanze e coalizioni (salvo che quella forza non riesca a
conquistare la maggioranza assoluta dei voti, cosa poco plausibile). Il Sì avrebbe mantenuto l’Italicum –
nel quale Renzi ha previsto stoltamente solo le norme per l’elezione della
Camera, ritenendo il Senato elettivo già abolito – per un tempo indeterminato e forse fino alle nuove elezioni, offrendo
ai 5S una concreta possibilità. Il No cancellerà molto presto l’Italicum e
con esso il fantasma, spaventoso o seducente ma pur sempre fantasma, di un
governo Di Maio o Di Battista.
Dunque primo sconfitto
Renzi, secondo sconfitto il M5S.
Gli
altri – D’Alema, Bersani, Salvini, Meloni, Brunetta - sono in qualche misura
vincitori, certo (Berlusconi ha manovrato in modo da essere vincitore con
qualunque risultato, confermandosi il più lucido dei leader attualmente sulla
scena, a dispetto di tutto). Ma è una
vittoria che potranno far valere solo all’interno della loro parte o del loro
schieramento politico. Ben altra cosa è la candidatura al governo del paese. In
questo momento, nessuno dei suddetti può aspirarvi e quindi è inevitabile che
si vada a una forma di governo “di scopo”, “del Presidente” – o magari “delle
festività natalizie”, come una volta c’erano i “governi balneari” – fino all’approvazione
della nuova legge elettorale. Dopo di che, i giochi per il governo si
riapriranno completamente – salvo che per il M5S. Se ci fosse un po’ di intelligenza politica da quelle parti, il più
serio candidato a occupare lo spazio vuoto sarebbe il centro-destra. Ma l’intelligenza
politica per ora nel centro-destra resta solo quella di Berlusconi, che difficilmente
può aspirare a una nuova discesa in campo – quando pure fosse superato il
problema della incandidabilità – e difatti sta giocando una partita diversa,
con l’occhio come al solito anche agli interessi aziendali, una partita che
però rischia di essere distruttiva per le possibilità del centro-destra o dei “moderati”
come si ama dire, con terminologia del tutto impropria (l’elettorato italiano è
tutt’altro che moderato e ieri lo ha confermato ancora una volta).
In
queste condizioni, tutto o quasi può
accadere, ma la lezione del 4 dicembre non sarà stata vana: il popolo
italiano – il blocco di fatto di classi lavoratrici e ceto medio colpito dalla
globalizzazione finanziaria – ha esaurito le sue capacità di sopportazione, non
accetterà a lungo altri impostori, non si farà espropriare tanto facilmente
della propria residua sovranità e delle sue istituzioni democratiche. Chi avrà
l’intelligenza e il coraggio di capire questo e di muoversi coerentemente si
prenderà l’Italia, alla fine di una fase caotica che potrà durare un periodo
ancora indeterminato, che causerà ulteriori sofferenze, ma che dovrà finire, in
un modo o nell’altro. Occorre vigilare,
ovviamente, ma senza paura, senza dar corpo a fantasmi insussistenti e senza
lasciarsi sedurre da nuovi imbonitori. Intanto, abbiamo mantenuto il sistema
istituzionale che, bene o male, ha garantito la democrazia in questo paese per 70
anni. E di ciò si può solo gioire.
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