lunedì 5 dicembre 2016

UNA GRANDE MOBILITAZIONE DI POPOLO



Un dato oggettivo: quella di ieri è stata la peggiore disfatta elettorale della storia dell’Italia repubblicana, superando anche la sconfitta fanfaniana al referendum sul divorzio. Negli ultimi giorni si percepiva, in effetti, un clima di grande mobilitazione popolare, che non aveva più nulla a che vedere con la propaganda militante delle varie forze politiche dello schieramento del No. Era una mobilitazione di cittadini e cittadine comuni, indignati e decisi a farsi valere, guidati non da valutazioni sui futuri “scenari politici” e nemmeno da giudizi articolati sul merito della riforma ma da quel ben noto “buon senso” popolare che, come ben sapeva un conservatore intelligentissimo come Edmund Burke, nelle occasioni che contano si mostra molto più perspicace delle analisi e dei giudizi degli “intelligenti” e dei “colti”. E’ stata un’onda simile, in questo senso, a quella che ha prodotto la Brexit e il successo di Trump. Qualificarla come “populismo” o “voto di pancia” significa perpetuare un giudizio politicamente stolto che esporrà chi depreca e stigmatizza a future,  immancabili sconfitte.

Volontà di cambiamento
Un primo elemento di interpretazione nasce proprio da questa grande mobilitazione popolare: essa esprime sempre una volontà di cambiamento e già i dati sull’affluenza lasciavano quindi presagire la disfatta della riforma Renzi/Boschi. Renzi ha cercato di cavalcare queste istanze, ma è stato un boomerang: un popolo che vuole il cambiamento non si lascia prendere in giro da una riduzione del numero dei senatori, dalla trasformazione di un po’ di consiglieri regionali e sindaci in senatori o dall’abolizione del Cnel (alla cui presidenza ora Renzi si potrà candidare!); un popolo che vuole il cambiamento vota per cacciare chi governa. Renzi ha potuto cavalcare l’onda nelle prime settimane della sua esperienza di governo – da qui il grande successo delle europee – ma oggi, messo alla prova, già non è più credibile.

Indignazione
La sua azione di governo non ha però suscitato solo delusione, ma, date anche le sue “strategie comunicative”, ha provocato anche e soprattutto un’accesa indignazione. Come si può raccontare agli insegnanti che hanno subito la “buona scuola”, ai lavoratori che hanno subito il “jobs act” o gli effetti della riforma Fornero non certo corretti da questo governo, alle imprese e ai piccoli esercenti che chiudono, a tutto un ceto medio impoverito, che il problema dell’Italia è il “bicameralismo perfetto” e impegnarsi per mesi in una battaglia sulla Costituzione, invece di dedicarsi alle vere priorità? Un po’ di pseudointellettuali hanno potuto anche credere che il mutamento costituzionale fosse la strada per rendere il paese più “moderno” e più “efficiente”, ma il buon senso popolare non si è bevuto la frottola e pur senza avere gli strumenti per entrare nel merito della questione ha fiutato l’inganno. Come ha scritto una persona su FB la riforma “puzzava di marcio”. Come ho sentito ripetere più volte da persone semplici – qualità preziosa in certe circostanze – se si volevano ridurre i costi della politica e velocizzare l’iter legislativo, bisognava abolire del tutto il Senato e ridurre numero e stipendi dei deputati.
Chi poi ha potuto e voluto studiare la questione, se non aveva altre motivazioni per sostenere il Sì, non ha potuto non notare che quella legge di revisione costituzionale era un’offesa all’intelligenza. Conservatori sì, ma della proprie capacità cognitive!
I popoli a volte ci mettono un po’ di tempo, ma i bugiardi e i truffatori prima o poi li smascherano sempre e quasi mai dopo averli sbugiardati li rimettono sul piedistallo su cui li avevano collocati.


Virtù civili
La grande mobilitazione ha poi espresso una incoraggiante volontà di partecipazione. Le rassicurazioni del premier e dei suoi sostenitori sulle modalità di elezione dei nuovi senatori non sono servite a nulla: gli italiani hanno capito che li si voleva espropriare dei propri diritti politici o limitarli gravemente e hanno reagito recandosi in massa alle urne. Anche in questo caso, Renzi che mostra il facsimile della nuova scheda elettorale per il Senato  - una scheda fantasma evidentemente, visto che la legge elettorale non poteva ancora esserci, e la promessa di qualcosa che non era nelle sue disponibilità, come è tipico dei bugiardi, visto che comunque la legge elettorale l’avrebbe votata il Parlamento – che fa una sceneggiata da piazzista (“non c’è trucco, non c’è inganno” ha testualmente detto), ha persuaso qualche “intelligente” e qualche “colto”, ma non ha ingannato i semplici.
Non solo la misura, poi, ma anche la qualità di questa mobilitazione rinfranca davvero il cuore. La riforma si presentava agli occhi dei più come un guazzabuglio, ma quel che risultava chiaro a tutti è che toccava la Costituzione e metteva una parte del paese contro l’altra parte. Nel dubbio e nella confusione, una larga maggioranza degli italiani ha scelto di difendere la Costituzione repubblicana e antifascista, confermando per l’ennesima volta un dato storico: gli italiani nel tempo ordinario hanno gravi mancanze in fatto di virtù civili, ma nei tempi critici danno prova di grande coraggio e determinazione nel salvaguardare, difendere o riaffermare quelle stesse virtù civili. Silenziosamente e fattivamente, senza retorica, senza inni e senza bandiere. Il migliore spirito della nostra Repubblica si è risvegliato il 4 dicembre: Non durerà, certo, ma è stato di fondamentale importanza che abbia sbarrato la strada agli avventurieri.

Scenari
Inutile nascondere che siamo effettivamente nell’incertezza totale, ma il fatto che gli italiani non abbiano avuto alcuna paura del ricatto del “salto nel buio” dà la misura della loro sacrosanta esasperazione. Alcuni dati più probabili o meno improbabili si possono però individuare.
Renzi, dopo essersi stoltamente incaponito nel condurre in prima linea la battaglia referendaria, ha fatto l’unica cosa che poteva fare: rimettere il mandato nelle mani di Mattarella e cercare di lasciare, come ha detto, “oneri e onori a quelli che hanno vinto”. Si prepara probabilmente un futuro di silenzioso e infido destabilizzatore, nello stile dei 101 franchi tiratori di Prodi. Nel teatrino delle manovre politiche avrà ancora le sue carte da giocare, ma è estremamente difficile che possa riconquistare la fiducia popolare che ne aveva accompagnato l’ascesa. Se dovessi sbilanciarmi in una previsione direi che il suo naufragio è definitivo. E questo perché alle tipiche dinamiche del sentimento popolare, a cui ho già accennato e che lo condannano, si aggiunge il discredito che si è conquistato presso i suoi referenti internazionali e veri burattinai. Aveva avuto da questi una investitura con un preciso mandato, dopo che essi avevano verificato l’impopolarità di Monti, l’improponibilità di nuovi governi tecnici e l’inconsistenza di Letta. Occorreva qualcuno che continuasse sulla strada delle “riforme” contenute nel diktat della famosa lettera di Draghi e Trichet dell’estate del 2011, la strada del dissanguamento del popolo italiano e della espropriazione di sovranità, qualcuno che però che godesse di un consenso popolare e assicurasse stabilità di governo. Qualcuno che servisse gli interessi dell’establishment eurocrate, senza darlo a vedere e anzi atteggiandosi a figura antiestablishment. Per un breve periodo, Renzi ha saputo interpretare il ruolo assegnatogli con una certa destrezza, ma è poi caduto, con un totale fallimento, non solo per i suoi limiti soggettivi di millantatore, ma soprattutto per i limiti oggettivi della situazione: gli 80 euro e gli altri bonus non alleviano i costi sociali delle “riforme”, la stagnazione prosegue, inevitabilmente dati i vincoli imposti, e altrettanto inevitabilmente aumenta anche il debito pubblico. Ormai Renzi è stato smascherato e non serve più ai suoi burattinai. Come al solito, come era accaduto anche per Berlusconi, i giornali economici britannici espressione della grande finanza internazionale avevano lanciato il segnale. Poteva essere solo un avvertimento, ma data la disfatta elettorale, quel segnale ora suona come una campana a morto.
Il paradosso è che questa grande disfatta di Renzi non trova sull’altro versante un vero vincitore politico. E’ un giudizio molto superficiale dire che hanno vinto Grillo o Salvini o Brunetta o D’Alema. La verità è che ieri si percepiva, accanto a questo clima di grande mobilitazione, uno scarto enorme fra questa mobilitazione popolare e le misere figure o forze politiche che dovrebbero darle rappresentanza. C’è un grande vuoto politico, adesso, e come sempre accade questo vuoto prima o poi dovrà essere riempito, questo spazio sarà occupato. Ma da chi? Questo è il punto ancora largamente oscuro.
Anche in questo caso, però, le tenebre non sono così fitte che non si possa scorgere nulla. La cosa che mi sento di dire è che a occupare questo spazio non sarà il M5S. Grillo, anzi, con la vittoria del No e per i motivi che ho ripetuto fino alla noia prima del referendum, ma che riassumerò ancora una volta, è, dopo Renzi, il secondo perdente del 4 dicembre; sempre che davvero gli interessi andare al governo – cosa che è assai dubbia. Se invece ai 5S interessa solo la più comoda posizione di demagoghi da piazza allora certo che hanno vinto, perché quella posizione la potranno tenere ancora per un po’ dopo il risultato referendario e le loro trombe avranno più fiato. Contenti loro. Non hanno alcun senso, comunque, le urla – di gioia o di angoscia a seconda dei casi – di chi dice che “ha vinto Grillo”. E il primo ad accorgersene è stato lui stesso, che certo è più intelligente dei suoi “ragazzi” e anche di molti analisti politici. Mentre Renzi ancora parlava “alla nazione”, Grillo scriveva nel suo blog che bisognerebbe ora votare con l'attuale legge elettorale, ossia con l'Italicum alla Camera e con il cosiddetto Consultellum (ossia il Porcellum modificato dalla Consulta) al Senato! È una cosa che ovviamente non sta né in cielo, né in terra, perché nessun presidente della repubblica potrebbe consentire una simile assurdità e perché sull'Italicum grava comunque il giudizio della Consulta, che quasi certamente lo boccerà o lo emenderà. Emerge così, dalle stesse parole di Grillo, il dato che quasi sempre inutilmente ho sottolineato con tanti amici, alcuni dei quali si sono lasciati indurre a votare Sì anche per lo “spauracchio” di un governo a 5S – un governo Di Maio! – che si sarebbe profilato a loro avviso con la vittoria del No. Ho scritto e lo ripeto che solo l’Italicum dà chance di governo a una forza politica come il M5S che rifiuta programmaticamente e pregiudizialmente alleanze e coalizioni (salvo che quella forza non riesca a conquistare la maggioranza assoluta dei voti, cosa poco plausibile). Il Sì avrebbe mantenuto l’Italicum – nel quale Renzi ha previsto stoltamente solo le norme per l’elezione della Camera, ritenendo il Senato elettivo già abolito – per un tempo indeterminato e forse fino alle nuove elezioni, offrendo ai 5S una concreta possibilità. Il No cancellerà molto presto l’Italicum e con esso il fantasma, spaventoso o seducente ma pur sempre fantasma, di un governo Di Maio o Di Battista.
Dunque primo sconfitto Renzi, secondo sconfitto il M5S.
Gli altri – D’Alema, Bersani, Salvini, Meloni, Brunetta - sono in qualche misura vincitori, certo (Berlusconi ha manovrato in modo da essere vincitore con qualunque risultato, confermandosi il più lucido dei leader attualmente sulla scena, a dispetto di tutto). Ma è una vittoria che potranno far valere solo all’interno della loro parte o del loro schieramento politico. Ben altra cosa è la candidatura al governo del paese. In questo momento, nessuno dei suddetti può aspirarvi e quindi è inevitabile che si vada a una forma di governo “di scopo”, “del Presidente” – o magari “delle festività natalizie”, come una volta c’erano i “governi balneari” – fino all’approvazione della nuova legge elettorale. Dopo di che, i giochi per il governo si riapriranno completamente – salvo che per il M5S. Se ci fosse un po’ di intelligenza politica da quelle parti, il più serio candidato a occupare lo spazio vuoto sarebbe il centro-destra. Ma l’intelligenza politica per ora nel centro-destra resta solo quella di Berlusconi, che difficilmente può aspirare a una nuova discesa in campo – quando pure fosse superato il problema della incandidabilità – e difatti sta giocando una partita diversa, con l’occhio come al solito anche agli interessi aziendali, una partita che però rischia di essere distruttiva per le possibilità del centro-destra o dei “moderati” come si ama dire, con terminologia del tutto impropria (l’elettorato italiano è tutt’altro che moderato e ieri lo ha confermato ancora una volta).
In queste condizioni, tutto o quasi può accadere, ma la lezione del 4 dicembre non sarà stata vana: il popolo italiano – il blocco di fatto di classi lavoratrici e ceto medio colpito dalla globalizzazione finanziaria – ha esaurito le sue capacità di sopportazione, non accetterà a lungo altri impostori, non si farà espropriare tanto facilmente della propria residua sovranità e delle sue istituzioni democratiche. Chi avrà l’intelligenza e il coraggio di capire questo e di muoversi coerentemente si prenderà l’Italia, alla fine di una fase caotica che potrà durare un periodo ancora indeterminato, che causerà ulteriori sofferenze, ma che dovrà finire, in un modo o nell’altro. Occorre vigilare, ovviamente, ma senza paura, senza dar corpo a fantasmi insussistenti e senza lasciarsi sedurre da nuovi imbonitori. Intanto, abbiamo mantenuto il sistema istituzionale che, bene o male, ha garantito la democrazia in questo paese per 70 anni. E di ciò si può solo gioire.

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