giovedì 10 dicembre 2015

RAV LARAS: UN PUNTO DI VISTA BIBLICO SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA



Il rabbino Giuseppe Laras - presidente dell’assemblea rabbinica italiana, per 25 anni a capo della comunità ebraica milanese e figura-chiave del dialogo ebraico-cristiano - è stato intervistato ieri dal giornale “La Stampa” sul giubileo cattolico appena apertosi. Al giornalista che gli chiedeva se la misericordia non fosse più importante del giudizio, citando le parole del papa – “anteporre la misericordia al giudizio” – rav Laras ha risposto che misericordia e giudizio devono essere “contestuali”. La giustizia “deve partire da una posizione di rispetto e di benevolenza”, per non rischiare di risolversi in “espressione di vendetta, violenza e odio”, D’altra parte, la misericordia “non può prescindere dalla giustizia, perché se non siamo giusti con noi e con gli altri, una società si può ammalare”. Rav Laras sottolinea anche come non abbia alcun fondamento l’idea di un ebraismo tutto incentrato sulla giustizia e poco sull’amore e ricorda che la massima “amerai il prossimo come te stesso” si trova nella Torah prima che nei Vangeli.
Non ci sono allora differenze fra ebraismo e cristianesimo – o forse sarebbe meglio dire fra la Torah, che poi è il Pentateuco delle Bibbie cristiane, e il Nuovo Testamento - riguardo al rapporto fra giustizia e misericordia? Karl Barth, in quella luminosissima opera che è “Introduzione alla teologia evangelica”, parlava di giustizia e misericordia - “Legge” ed “Evangelo”, secondo l’espressione cara ai Riformatori - come del “no” e del “si” di Dio agli uomini. E le paragonava alla “luce” e all’”ombra”. Sono quindi necessarie entrambe le cose, perché evidentemente se c’è luce, c’è anche l’ombra, ma la luce e l’ombra, il si e il no di Dio  non stanno in equilibrio, ma piuttosto “in un sommo squilibrio” e “la teologia non può vedere la luce all’interno dell’ombra invece che l’ombra all’interno della luce”.
Fra le frasi di Barth e quelle di Laras non mi pare che ci sia una differenza di sostanza, ma al massimo di accentuazione (e tali accentuazioni dipendono forse anche dai periodi storici ben diversi in cui sono state pensate ed espresse: i primi anni Sessanta e i giorni d’oggi). Anche e soprattutto la Bibbia ebraica conosce infatti questa somma sproporzione fra giustizia e misericordia. La conosce e la esprime nella Torah, a cominciare dalle tavole della Legge date a Mosè sul Sinai, le dieci parole di Dio, i dieci comandamenti dei catechismi cristiani: “Non avere altri dèi oltre a me. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra.  Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. Il giudizio di Dio è fino alla terza e quarta generazione, la sua misericordia fino alla millesima. I numeri, che nella Bibbia ebraica hanno spesso una forte valenza simbolica, vogliono qui esprimere proprio quel “sommo squilibrio” di cui parlava Barth.
La Bibbia ebraica conosce ed esprime la somma sproporzione fra giudizio e misericordia anche nei Profeti – come è ovvio visto che i profeti richiamano il popolo all’osservanza della Torah -  ove si mostra ripetutamente come il giudizio nei confronti di Israele, per quanto severissimo, sia sempre in funzione della salvezza e della benedizione e quindi della misericordia.
Analogamente, nel Nuovo Testamento, la parola d’amore di Dio presuppone sempre la parola di giudizio, sebbene la sopravanzi grandemente, e questo sia nella predicazione dello stesso Gesù, sia soprattutto nell’azione che Dio compie su, in e con Gesù stesso, a favore degli uomini, fino al momento culminante della croce e della resurrezione.
Le parole di rav Laras, devono quindi essere considerate, a mio modestissimo avviso, non solo un “punto di vista ebraico” sul giubileo della misericordia e sul rapporto giustizia/misericordia, ma un punto di vista semplicemente e autenticamente biblico, che interpella i cristiani non solo in quanto affratellati agli ebrei, ma anche in quanto cristiani. Le parole di rav Laras hanno forse il merito di ricordarci che la giusta accentuazione della misericordia e dell’amore di Dio non può portarci a reprimere ogni istanza critica, né a dimenticare o a rimuovere la realtà del peccato. Laras chiarisce, infatti, che per giustizia non si deve intendere solo “condanna”, ma anche capacità di dare un giudizio. Non è biblico, e dunque non è nemmeno cristiano, confondere giustizia come condanna e giustizia come capacità di dare un giudizio e attaccare, come spesso fanno  i santoni del politically correct purtroppo presenti anche nel mondo cristiano, chiunque formuli un giudizio critico su determinati temi, facendolo passare per uno che emette sentenze di condanna. Inoltre, rav Laras ci ricorda che “non si può, insomma, semplicemente amare con pietà senza dire all’altro se sbaglia o se ha peccato”, interpellandoci così su un altro grave rischio che corriamo, un’altra possibile e catastrofica infedeltà alla Bibbia: trasformare l’annuncio della giustificazione del peccatore in un annuncio di giustificazione del peccato.

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