domenica 9 ottobre 2016

LE REALI RAGIONI DEL NO (CONTRO MOLTI SOSTENITORI DEL NO) - PARTE PRIMA



Cercherò di seguire il costume, ormai desueto, che sarebbe auspicabile tenere in una pubblica discussione, enunciando innanzitutto le tesi che poi provvederò ad argomentare.
Ritengo che al referendum del 4 dicembre si debba votare No per ragioni che riguardano esclusivamente il merito della legge di revisione costituzionale. Mi trovo – more solito – piuttosto isolato politicamente, in quanto non condivido le motivazioni che animano la larghissima maggioranza dei sostenitori del No, mentre mi capita di condividere alcune delle preoccupazioni che portano taluni a votare Si, e tra questi vi sono anche persone di cui ho grande stima, salvo il fatto che tali preoccupazioni mi sembrano o non pertinenti alla scelta referendaria o tali addirittura che proprio esse dovrebbero indurre a votare No.
Queste riflessioni sono rivolte esclusivamente a chi riesce ancora a sfuggire al clima di fanatismo politico che dilaga ormai nel paese, a chi – a prescindere dal fatto che sia orientato a votare in un senso o nell’altro – ha ancora voglia di ragionare. Mi onora e mi conforta il fatto di avere nel novero delle mie amicizie e relazioni umane non pochissime persone appartenenti a una specie ormai così poco diffusa. Di questi tempi è davvero una benedizione.

Incomincio da una sorta di sommario, con gli argomenti che poi cercherò di sviluppare e documentare.
A mio avviso, non si può votare No “contro Renzi”, come non si può votare Si “contro Grillo” o “contro il populismo”. Queste motivazioni non solo non sono pertinenti, ma non sono nemmeno efficaci, in quanto non atte a raggiungere il loro dichiarato obiettivo.
Il No, inoltre, non può essere motivato dal pericolo di derive autoritarie o di complotti di “poteri forti” più o meno individuati, perché tali minacce non esistono nella legge in questione.
Analogamente il Sì non può fondarsi sul’esigenza di contrastare il “populismo” o di evitare che l’Italia “esca dall’Europa”, perché è proprio la legge o almeno il modo in cui viene presentata che contiene un germe populista, mentre il pericolo che ci porti fuori dall’Europa e sia “peggio della Brexit” è risibile, sia perché – cosa che sfugge ai più – la Brexit ancora non c’è e dunque non se ne possono ancora valutare gli effetti, sia perché, ammesso che l’uscita dall’attuale UE sia un fatto negativo, non è certo questa riforma che può produrre una Italexit. Lasciamo ai comici il loro mestiere, quindi.
Nel merito della questione, la riforma non raggiunge gli obiettivi dichiarati – superamento del bicameralismo, rapidità ed efficienza nell’azione del governo e della maggioranza parlamentare – ma rischia di accentuare i difetti denunciati nell’attuale sistema istituzionale, segnando il passaggio da un (presunto) bicameralismo perfetto a un (reale) bicameralismo demenziale.
Quanto al tema del “contenimento dei costi della politica”, gli effetti sarebbero irrisori e comunque l’idea che i costi della politica siano legati al numero dei parlamentari è degna della versione più becera del populismo e può esser fatta propria solo da chi vive in un altro mondo e non si sia mai reso conto di dove stiano veramente in Italia gli sprechi e le rendite parassitarie legati alla politica.

Votare in un modo o nell’altro per indebolire e per far cadere o, viceversa, per rafforzare Renzi, per avversione politica a Grillo, Salvini e Brunetta o per simpatia politica nei loro confronti, non è solo non pertinente: è gravemente irresponsabile. Stiamo infatti parlando di una legge di revisione costituzionale che tocca quasi 50 articoli della Carta Costituzionale e che, soprattutto, ridisegna l’istituzione che è al centro della nostra forma di democrazia e di qualunque sistema liberale, ossia il Parlamento. Legare una simile, radicale modifica delle nostre istituzioni a simpatie o antipatie politiche, a fenomeni contingenti, se non proprio effimeri, della storia del paese, quali sempre sono leader e partiti politici è una decisione veramente scellerata. Immaginiamo che intorno al 1953 si fosse proposta e approvata una analoga, ampia revisione Costituzionale e che essa fosse stata poi sottoposta a referendum. Immaginiamo che il risultato fosse stato deciso non da una valutazione della riforma stessa, ma dalle simpatie e antipatie politiche nei confronti di De Gasperi, da un lato, di Togliatti o Nenni dall’altro. Oggi noi potremmo ancora scontare le conseguenze di una scelta che avrebbe alterato profondamente la Costituzione del 1948, o respinto tali modifiche, in nome di esponenti politici e partiti che non esistono più da lungo tempo. Gli elettori del 1953, gli elettori di questo ipotetico referendum, si sarebbero assunti una gravissima responsabilità nei nostri confronti. La stessa che si assume nei confronti delle nuove e future generazioni chi il 4 dicembre voterà per Renzi o contro Renzi, per Grillo o contro Grillo, e non per il merito della legge.
Se questo argomento non fosse sufficiente – qualcuno potrebbe addirittura ritenere la vittoria o la sconfitta di Renzi/Grillo più importante di una revisione costituzionale, in quanto magari si tratterebbe addirittura di assecondare o bloccare una svolta storica, portatrice di una palingenesi divina o demoniaca a seconda dei punti di vista e legata all’azione del governo Renzi o all’ascesa al potere di Grillo (e la cosa dato l’analfabetismo politico e storico imperante non mi sorprenderebbe)  - andrebbero fatte e ascoltate le seguenti ulteriori considerazioni.

Se vince il No, Renzi non si dimette e tantomeno si ritira dalla politica.
Perché dovrebbe dimettersi? E’ vero, che – come si dice – è stato lui stesso a “personalizzare” la questione, ma si può essere sicuri che in caso di sconfitta provvederà immediatamente a “spersonalizzarla”, cosa che peraltro ha già incominciato a fare. Piuttosto, l’argomento serio che sottende questa ipotesi di caduta del governo è un altro: in un sistema parlamentare e liberale sano una legge di revisione costituzionale è prerogativa esclusiva del Parlamento e il governo mantiene un atteggiamento rigorosamente neutrale. Il governo Renzi, invece, ha promosso la riforma, è intervenuto con la massima energia e con tutti gli strumenti consentiti dal regolamento, nell’iter di discussione e di approvazione della legge ed è ora schierato in prima linea nella campagna elettorale. Le voci a sostegno del Si distinte da quelle del governo stesso sono inesistenti o impalpabili nel dibattito politico. Si è così prodotto un vulnus alla costituzione materiale della nostra repubblica parlamentare ancora più grave di quello che la legge, se definitivamente approvata, produrrebbe nella costituzione formale. E questa sarebbe già una ragione più che sufficiente per votare No, almeno se si condivide un orientamento autenticamente liberale.
Sulla base di queste considerazioni, tuttavia, riconosco che non è del tutto peregrino ritenere che la vittoria del No dovrebbe portare alle dimissioni del governo: chi ha prodotto quel vulnus ne dovrebbe pagare le conseguenze in base alla stessa logica che lo ha animato. Questo, però, non accadrà mai, perché Renzi si aggrapperà alla costituzione formale, che ancora lo garantisce, e non agirà in coerenza con la modifica che ha realizzato nella costituzione materiale. La costituzione formale lo tutela, perché, ovviamente, non prevede affatto che un governo debba dimettersi in seguito al risultato di un referendum costituzionale. Il governo si dimette se non ha più la maggioranza in Parlamento. Ma chi dovrebbe sfiduciare Renzi? La “minoranza PD”? Vorrei continuare a parlare di cose serie…
Se poi qualcuno ritenesse seria la minoranza PD – come si vede cerco di prendere in considerazione anche le opinioni più stravaganti – quel qualcuno dovrebbe considerare che l’obiettivo dichiarato di costoro è di produrre un mutamento dei rapporti all’interno del partito: hanno detto e ripetuto che chiederanno le dimissioni di Renzi da segretario e non da premier.
Specularmente, chi invece è orientato a votare Si per salvare Renzi, può tranquillizzarsi: il governo sopravvivrebbe comunque alla vittoria del No e non c’è alcun motivo di correre in suo aiuto.

La vittoria del No non porterebbe in nessun modo il M5S al governo.
Intanto, la tesi è in continuità con la precedente: se Renzi non si dimette, non si forma un nuovo governo e tantomeno si sciolgono le Camere. Ma desidero aggiungere altre considerazioni a beneficio di chi, come me, riconosce ormai nel M5S una grave minaccia, per la irresponsabilità, incapacità e ignoranza politica di questo movimento e per il fanatismo politico che lo alimenta e lo sostiene. La tesi che sottopongo all’attenzione di questi miei amici ma anche di quegli altri amici che, in piena buona fede, continuano a simpatizzare per Grillo, è la seguente: l’unica, peraltro remota possibilità che ha il M5S di ascendere al governo è legata ad una vittoria del Si e non già a una affermazione del No.
Le uniche possibilità che ha, infatti, un partito politico che pregiudizialmente o programmaticamente, rifiuta coalizioni e alleanze sono le seguenti: a) conquistare la maggioranza assoluta dei voti; b) realizzare la rivoluzione o un colpo di stato; c) giovarsi di una legge elettorale demenziale come il cosiddetto Italicum.
Ora, la prima possibilità mi sembra alquanto implausibile, in quanto il M5S dovrebbe quasi raddoppiare i consensi ottenuti alle ultime politiche e quelli che gli vengono accreditati dai sondaggi. Riguardo alla seconda, distinguerei tra rivoluzione e colpo di stato. Per quest’ultimo non vedo molti generali o colonnelli disposti a porsi agli ordini di Grillo e della Casaleggio e associati. Quanto alle rivoluzioni, va ricordato che, come diceva Longanesi, in Italia falliscono regolarmente, perché “ci conosciamo tutti”, ma anche perché tutti “teniamo famiglia” e perché in ogni caso non appena comincia a piovere i rivoluzionari ritornano precipitosamente a casa e la rivoluzione viene rinviata a data da destinarsi
Resta l’Italicum, il grande regalo che Renzi ha fatto, senza rendersene conto, al M5S. L’attuale legge elettorale, con il combinato disposto del premio alla lista e non alla coalizione e del ballottaggio fra le due liste che ottengono i maggiori consensi, è l’unica che dà al M5S serie chances di vittoria.
Bene: se vince il No, l’Italicum è condannato e il M5S perde l’unica chance che ha di andare al governo– ammesso che lo desideri veramente il che è molto dubbio. L’Italicum, infatti, non prevede norme per l’elezione del Senato e dunque se restasse in vigore, dopo la bocciatura della riforma, ci si troverebbe nella surreale condizione di dover eleggere la Camera con l’Italicum e il Senato con il Porcellum (che però la Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittimo). Dunque, se vince il No, non si può in nessun caso andare subito ad elezioni politiche, ma bisogna prima approvare una nuova legge elettorale e questa, quale che sia, molto difficilmente offrirà più al M5S i vantaggi dell’Italicum. Invece, se vince il Si, non è affatto scontato che l’Italicum sia modificato e, in assenza di un accordo su una nuova legge elettorale, molto probabilmente si arriverebbe alle nuove elezioni con questa legge elettorale. A quel punto, il M5S, se non si sarà già suicidato, magari colpito da qualche “irraggiamento” mortale, avrà discrete chance di conquistare il governo.
Il paradosso è che Renzi ha voluto una legge elettorale che è l’unica che lo condanna a probabile sconfitta e continua a mostrarsi restio a cambiare questa legge, mentre il M5S è schierato contro il Si, alla cui affermazione sono legate le sue uniche possibilità di successo. Si possono fare varie ipotesi per interpretare questo paradosso, ma ai tantissimi complottisti in costante esercizio delle loro funzioni vorrei segnalare l’ipotesi di un complotto diverso da quelli che solitamente considerano: il complotto della stupidità. Talora, a spiegare certe vicende e certi comportamenti non ci sono interessi nascosti, ragioni non dichiarate, retroscena misteriosi, ma vi è solo il fattore S: la stupidità. Il movente più sottovalutato della politica e della storia.
Rivolgendomi invece ai miei amici, degli opposti schieramenti, che prima citavo, li inviterei a considerare seriamente il paradosso di cui sopra: quelli che votano animati fondamentalmente da simpatia politica per il M5S dovrebbero coerentemente votare Si. Renzi uscirebbe politicamente rafforzato, è vero, dalla vittoria referendaria, ma tuttavia potrebbe, proprio per questo, commettere il fatale errore di mantenere l’Italicum, offrendo a Grillo una seria chance di vittoria, l’unica che abbia.
Coloro che invece votano soprattutto per fermare Grillo e il “populismo” dovrebbero coerentemente votare No. Come si è visto, l’affermazione del No toglierebbe al populismo di Grillo l’unica carta vincente. Il No, inoltre, è un voto efficace non solo contro il populismo di Grillo, ma anche contro il populismo di Renzi e di questa sua riforma. Se infatti quando si usa il termine in questione si sa di che si parla, allora bisognerà convenire che una riforma che nelle dichiarazioni dei proponenti è volta – poi vedremo se questi sarebbero davvero gli effetti reali – a velocizzare l’azione di governo, contro gli “intralci” parlamentari, a ridurre i “costi della politica”, identificandoli con il numero dei senatori, a modernizzare l’Italia – se non addirittura a cogliere l’”ultima occasione” per riformarla e modernizzarla – a promuovere, non si sa bene come, la crescita economica, questa riforma è una riforma schiettamente populista.
Esauriti così gli argomenti non pertinenti, ma pure così centrali nel dibattito politico, passerò, nella seconda parte, al merito della questione. Ho, infatti, la singolare idea che ci si debba esprimere su una riforma costituzionale per i contenuti della stessa. Ho persino letto con attenzione tutte le modifiche che la legge apporta al testo costituzionale vigente. L’avevo già fatto nelle scorse settimane, ma ho ripetuto l’esercizio, l’altra sera, quando il residuo senso della dignità personale mi ha proibito di assistere a un dibattito televisivo fra Salvini e la Boschi. Pensate un po’ dove arriva, certe volte, l’eccentricità di certe persone…





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