Cercherò
di seguire il costume, ormai desueto, che sarebbe auspicabile tenere in una
pubblica discussione, enunciando innanzitutto le tesi che poi provvederò ad
argomentare.
Ritengo che al
referendum del 4 dicembre si debba votare No per ragioni che riguardano
esclusivamente il merito della legge di revisione costituzionale.
Mi trovo – more solito – piuttosto isolato
politicamente, in quanto non condivido le motivazioni che animano la
larghissima maggioranza dei sostenitori del No, mentre mi capita di condividere
alcune delle preoccupazioni che portano taluni a votare Si, e tra questi vi
sono anche persone di cui ho grande stima, salvo il fatto che tali
preoccupazioni mi sembrano o non pertinenti alla scelta referendaria o tali addirittura
che proprio esse dovrebbero indurre a votare No.
Queste
riflessioni sono rivolte esclusivamente
a chi riesce ancora a sfuggire al clima di fanatismo politico che dilaga ormai
nel paese, a chi – a prescindere dal fatto che sia orientato a votare in un senso
o nell’altro – ha ancora voglia di ragionare. Mi onora e mi conforta il
fatto di avere nel novero delle mie amicizie e relazioni umane non pochissime
persone appartenenti a una specie ormai così poco diffusa. Di questi tempi è
davvero una benedizione.
Incomincio
da una sorta di sommario, con gli
argomenti che poi cercherò di sviluppare e documentare.
A
mio avviso, non si può votare No “contro Renzi”, come non si può votare Si “contro
Grillo” o “contro il populismo”. Queste motivazioni non solo non sono
pertinenti, ma non sono nemmeno efficaci, in quanto non atte a raggiungere il
loro dichiarato obiettivo.
Il
No, inoltre, non può essere motivato dal pericolo di derive autoritarie o di
complotti di “poteri forti” più o meno individuati, perché tali minacce non
esistono nella legge in questione.
Analogamente
il Sì non può fondarsi sul’esigenza di contrastare il “populismo” o di evitare che
l’Italia “esca dall’Europa”, perché è proprio la legge o almeno il modo in cui
viene presentata che contiene un germe populista, mentre il pericolo che ci
porti fuori dall’Europa e sia “peggio della Brexit” è risibile, sia perché –
cosa che sfugge ai più – la Brexit ancora non c’è e dunque non se ne possono
ancora valutare gli effetti, sia perché, ammesso che l’uscita dall’attuale UE
sia un fatto negativo, non è certo questa riforma che può produrre una
Italexit. Lasciamo ai comici il loro mestiere, quindi.
Nel
merito della questione, la riforma non raggiunge gli obiettivi dichiarati –
superamento del bicameralismo, rapidità ed efficienza nell’azione del governo e
della maggioranza parlamentare – ma rischia di accentuare i difetti denunciati
nell’attuale sistema istituzionale, segnando il passaggio da un (presunto)
bicameralismo perfetto a un (reale) bicameralismo demenziale.
Quanto
al tema del “contenimento dei costi della politica”, gli effetti sarebbero
irrisori e comunque l’idea che i costi della politica siano legati al numero
dei parlamentari è degna della versione più becera del populismo e può esser
fatta propria solo da chi vive in un altro mondo e non si sia mai reso conto di
dove stiano veramente in Italia gli sprechi e le rendite parassitarie legati alla
politica.
Votare in un modo o
nell’altro per indebolire e per far cadere o, viceversa, per rafforzare Renzi,
per avversione politica a Grillo, Salvini e Brunetta o per simpatia politica
nei loro confronti, non è solo non pertinente: è gravemente irresponsabile.
Stiamo infatti parlando di una legge di revisione costituzionale che tocca
quasi 50 articoli della Carta Costituzionale e che, soprattutto, ridisegna l’istituzione
che è al centro della nostra forma di democrazia e di qualunque sistema
liberale, ossia il Parlamento. Legare una simile, radicale modifica delle nostre
istituzioni a simpatie o antipatie politiche, a fenomeni contingenti, se non
proprio effimeri, della storia del paese, quali sempre sono leader e partiti
politici è una decisione veramente scellerata. Immaginiamo che intorno al 1953
si fosse proposta e approvata una analoga, ampia revisione Costituzionale e che
essa fosse stata poi sottoposta a referendum. Immaginiamo che il risultato
fosse stato deciso non da una valutazione della riforma stessa, ma dalle
simpatie e antipatie politiche nei confronti di De Gasperi, da un lato, di
Togliatti o Nenni dall’altro. Oggi noi potremmo ancora scontare le conseguenze
di una scelta che avrebbe alterato profondamente la Costituzione del 1948, o
respinto tali modifiche, in nome di esponenti politici e partiti che non
esistono più da lungo tempo. Gli elettori del 1953, gli elettori di questo
ipotetico referendum, si sarebbero assunti una gravissima responsabilità nei
nostri confronti. La stessa che si assume nei confronti delle nuove e future
generazioni chi il 4 dicembre voterà per Renzi o contro Renzi, per Grillo o
contro Grillo, e non per il merito della legge.
Se
questo argomento non fosse sufficiente – qualcuno potrebbe addirittura ritenere
la vittoria o la sconfitta di Renzi/Grillo più importante di una revisione
costituzionale, in quanto magari si tratterebbe addirittura di assecondare o
bloccare una svolta storica, portatrice di una palingenesi divina o demoniaca a
seconda dei punti di vista e legata all’azione del governo Renzi o all’ascesa
al potere di Grillo (e la cosa dato l’analfabetismo politico e storico imperante
non mi sorprenderebbe) - andrebbero
fatte e ascoltate le seguenti ulteriori considerazioni.
Se vince il No, Renzi
non si dimette e tantomeno si ritira dalla politica.
Perché
dovrebbe dimettersi? E’ vero, che – come si dice – è stato lui stesso a “personalizzare”
la questione, ma si può essere sicuri che in caso di sconfitta provvederà
immediatamente a “spersonalizzarla”, cosa che peraltro ha già incominciato a
fare. Piuttosto, l’argomento serio che sottende questa ipotesi di caduta del
governo è un altro: in un sistema parlamentare e liberale sano una legge di revisione costituzionale è prerogativa esclusiva del Parlamento e il governo mantiene un
atteggiamento rigorosamente neutrale. Il governo Renzi, invece, ha promosso la
riforma, è intervenuto con la massima energia e con tutti gli strumenti
consentiti dal regolamento, nell’iter di discussione e di approvazione della
legge ed è ora schierato in prima linea nella campagna elettorale. Le voci a
sostegno del Si distinte da quelle del governo stesso sono inesistenti o impalpabili
nel dibattito politico. Si è così
prodotto un vulnus alla costituzione
materiale della nostra repubblica parlamentare ancora più grave di quello
che la legge, se definitivamente approvata, produrrebbe nella costituzione
formale. E questa sarebbe già una ragione più che sufficiente per votare No,
almeno se si condivide un orientamento autenticamente liberale.
Sulla
base di queste considerazioni, tuttavia, riconosco che non è del tutto peregrino
ritenere che la vittoria del No dovrebbe portare alle dimissioni del governo:
chi ha prodotto quel vulnus ne
dovrebbe pagare le conseguenze in base alla stessa logica che lo ha animato.
Questo, però, non accadrà mai, perché Renzi si aggrapperà alla costituzione
formale, che ancora lo garantisce, e non agirà in coerenza con la modifica che
ha realizzato nella costituzione materiale. La costituzione formale lo tutela, perché,
ovviamente, non prevede affatto che un governo debba dimettersi in seguito al
risultato di un referendum costituzionale. Il governo si dimette se non ha più
la maggioranza in Parlamento. Ma chi dovrebbe sfiduciare Renzi? La “minoranza
PD”? Vorrei continuare a parlare di cose serie…
Se
poi qualcuno ritenesse seria la minoranza PD – come si vede cerco di prendere
in considerazione anche le opinioni più stravaganti – quel qualcuno dovrebbe
considerare che l’obiettivo dichiarato di costoro è di produrre un mutamento
dei rapporti all’interno del partito: hanno detto e ripetuto che chiederanno le
dimissioni di Renzi da segretario e non da premier.
Specularmente,
chi invece è orientato a votare Si per salvare Renzi, può tranquillizzarsi: il
governo sopravvivrebbe comunque alla vittoria del No e non c’è alcun motivo di
correre in suo aiuto.
La vittoria del No non
porterebbe in nessun modo il M5S al governo.
Intanto,
la tesi è in continuità con la precedente: se Renzi non si dimette, non si
forma un nuovo governo e tantomeno si sciolgono le Camere. Ma desidero
aggiungere altre considerazioni a beneficio di chi, come me, riconosce ormai
nel M5S una grave minaccia, per la irresponsabilità, incapacità e ignoranza politica
di questo movimento e per il fanatismo politico che lo alimenta e lo sostiene.
La tesi che sottopongo all’attenzione di questi miei amici ma anche di quegli
altri amici che, in piena buona fede, continuano a simpatizzare per Grillo, è
la seguente: l’unica, peraltro remota
possibilità che ha il M5S di ascendere al governo è legata ad una vittoria del
Si e non già a una affermazione del No.
Le
uniche possibilità che ha, infatti, un partito politico che pregiudizialmente o
programmaticamente, rifiuta coalizioni e alleanze sono le seguenti: a)
conquistare la maggioranza assoluta dei voti; b) realizzare la rivoluzione o un
colpo di stato; c) giovarsi di una legge elettorale demenziale come il cosiddetto
Italicum.
Ora,
la prima possibilità mi sembra alquanto implausibile, in quanto il M5S dovrebbe
quasi raddoppiare i consensi ottenuti alle ultime politiche e quelli che gli
vengono accreditati dai sondaggi. Riguardo alla seconda, distinguerei tra
rivoluzione e colpo di stato. Per quest’ultimo non vedo molti generali o
colonnelli disposti a porsi agli ordini di Grillo e della Casaleggio e
associati. Quanto alle rivoluzioni, va ricordato che, come diceva Longanesi, in
Italia falliscono regolarmente, perché “ci conosciamo tutti”, ma anche perché tutti
“teniamo famiglia” e perché in ogni caso non appena comincia a piovere i
rivoluzionari ritornano precipitosamente a casa e la rivoluzione viene rinviata
a data da destinarsi
Resta
l’Italicum, il grande regalo che Renzi ha fatto, senza rendersene conto, al
M5S. L’attuale legge elettorale, con il
combinato disposto del premio alla lista e non alla coalizione e del
ballottaggio fra le due liste che ottengono i maggiori consensi, è l’unica che
dà al M5S serie chances di vittoria.
Bene:
se vince il No, l’Italicum è condannato e il M5S perde l’unica chance che ha
di andare al governo– ammesso che lo desideri veramente il che è molto dubbio.
L’Italicum, infatti, non prevede norme per l’elezione del Senato e dunque se
restasse in vigore, dopo la bocciatura della riforma, ci si troverebbe nella
surreale condizione di dover eleggere la Camera con l’Italicum e il Senato con
il Porcellum (che però la Corte Costituzionale ha già dichiarato illegittimo).
Dunque, se vince il No, non si può in nessun caso andare subito ad elezioni
politiche, ma bisogna prima approvare una nuova legge elettorale e questa,
quale che sia, molto difficilmente offrirà più al M5S i vantaggi dell’Italicum.
Invece, se vince il Si, non è affatto scontato che l’Italicum sia modificato e,
in assenza di un accordo su una nuova legge elettorale, molto probabilmente si
arriverebbe alle nuove elezioni con questa legge elettorale. A quel punto, il
M5S, se non si sarà già suicidato, magari colpito da qualche “irraggiamento”
mortale, avrà discrete chance di conquistare il governo.
Il
paradosso è che Renzi ha voluto una legge elettorale che è l’unica che lo
condanna a probabile sconfitta e continua a mostrarsi restio a cambiare questa
legge, mentre il M5S è schierato contro il Si, alla cui affermazione sono
legate le sue uniche possibilità di successo. Si possono fare varie ipotesi per
interpretare questo paradosso, ma ai tantissimi complottisti in costante esercizio
delle loro funzioni vorrei segnalare l’ipotesi di un complotto diverso da
quelli che solitamente considerano: il complotto della stupidità. Talora, a
spiegare certe vicende e certi comportamenti non ci sono interessi nascosti,
ragioni non dichiarate, retroscena misteriosi, ma vi è solo il fattore S: la
stupidità. Il movente più sottovalutato della politica e della storia.
Rivolgendomi
invece ai miei amici, degli opposti schieramenti, che prima citavo, li
inviterei a considerare seriamente il paradosso di cui sopra: quelli che votano
animati fondamentalmente da simpatia politica per il M5S dovrebbero
coerentemente votare Si. Renzi uscirebbe politicamente rafforzato, è vero,
dalla vittoria referendaria, ma tuttavia potrebbe, proprio per questo, commettere
il fatale errore di mantenere l’Italicum, offrendo a Grillo una seria chance di
vittoria, l’unica che abbia.
Coloro
che invece votano soprattutto per fermare Grillo e il “populismo” dovrebbero
coerentemente votare No. Come si è visto, l’affermazione del No toglierebbe al
populismo di Grillo l’unica carta vincente. Il No, inoltre, è un voto efficace
non solo contro il populismo di Grillo, ma anche contro il populismo di Renzi e
di questa sua riforma. Se infatti quando si usa il termine in questione si sa
di che si parla, allora bisognerà convenire che una riforma che nelle
dichiarazioni dei proponenti è volta – poi vedremo se questi sarebbero davvero
gli effetti reali – a velocizzare l’azione di governo, contro gli “intralci”
parlamentari, a ridurre i “costi della politica”, identificandoli con il numero
dei senatori, a modernizzare l’Italia – se non addirittura a cogliere l’”ultima
occasione” per riformarla e modernizzarla – a promuovere, non si sa bene come,
la crescita economica, questa riforma è una riforma schiettamente populista.
Esauriti
così gli argomenti non pertinenti, ma pure così centrali nel dibattito
politico, passerò, nella seconda parte, al merito della questione. Ho, infatti,
la singolare idea che ci si debba esprimere su una riforma costituzionale per i
contenuti della stessa. Ho persino letto con attenzione tutte le modifiche che
la legge apporta al testo costituzionale vigente. L’avevo già fatto nelle
scorse settimane, ma ho ripetuto l’esercizio, l’altra sera, quando il residuo
senso della dignità personale mi ha proibito di assistere a un dibattito
televisivo fra Salvini e la Boschi. Pensate un po’ dove arriva, certe volte, l’eccentricità
di certe persone…
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