sabato 1 agosto 2015

L'amore forse vince tutto, ma non giustifica tutto



Quando entrai per la prima volta in una chiesa valdese, e precisamente in quella che sarebbe diventata la mia chiesa, sapevo già con una certa precisione quello che avrei trovato all’interno dell’edificio,  anzi quello che non vi avrei trovato. Non avrei trovato immagini – statue o dipinti – di santi, della madonna, di Gesù; non avrei trovato il crocefisso; non avrei trovato marmi pregiati e ricchi mosaici. Sarei entrato in un ambiente spoglio, nudo: il pulpito al posto dell’altare delle chiese cattoliche, il tavolo con la Bibbia e la candela, le panche e nulla più. Questo lo sapevo già, per averlo letto, studiato e anche insegnato per lunghi anni, prima ancora di essere cristiano e protestante. Non ebbi quindi alcuna sorpresa. Ciò che invece mi colpì e mi impressionò favorevolmente fu la grande scritta sulla parete di fondo: “Dio è amore”. Approfondendo gli studi teologici, compresi che quella scritta era perfetta, in quanto, per dirla con Gesù, l’amore racchiude tutta la legge e i profeti e condensa il suo stesso Vangelo. L’amore di Dio, però, non l’amore degli uomini! La scritta, quindi, non andrebbe equivocata e – come leggeremo fra poco anche in Bonhoeffer - andrebbe letta correttamente ponendo l’accento sulla parola “Dio” e non sul termine “amore”: Dio è amore, non Dio è amore.

Questo equivoco, invece, dilaga oggi nelle chiese e tra i cristiani. Le chiese e i cristiani tendono, infatti, a usare indiscriminatamente, acriticamente e talora anche un po’ strumentalmente il concetto di “amore” per giustificare, approvare, sostenere ciò che piace agli uomini – o almeno ad alcuni uomini - ma che non è affatto certo che piaccia anche a Dio.

Il primo problema sta nella definizione estremamente generica, approssimativa, finanche confusa dell’amore, parola che può quindi essere piegata in qualunque direzione e funzionare come uno scudo per mettere al riparo preventivamente da qualunque possibile obiezione critica. Mi dichiaro per l’accoglienza senza condizioni per qualunque migrante e di fronte al minimo accenno critico controbatto che ciò è imposto dall’”amore cristiano”. Mi si avanzano delle perplessità sulle unioni omosessuali, o almeno su alcuni aspetti, tipo il diritto di adozione, o sulle manifestazioni cosiddette del “gay pride” e rispondo, troncando ogni dibattito, che se una coppia si ama, tutto è lecito, anzi che addirittura tutto è benedetto da Dio.

Il punto debole, non ancora sul piano biblico, ma semplicemente su quello logico, di questo concetto onnicomprensivo e di questo uso indiscriminato del concetto di amore è che non si capisce perché l’amore per migranti o omosessuali debba valere di più rispetto all’amore per altre categorie umane, perché le chiese protestanti in Italia si mobilitino su questi due temi, mentre restano in silenzio su tanti altri. Perché, per fare un solo esempio fra i mille che si potrebbero fare, non si dedichi neanche un millesimo del tempo e delle energie che vengono legittimamente dedicati a gay o migranti alla condizione di quei cittadini gravemente ammalati che non possono più curarsi adeguatamente a causa dei tagli alla sanità pubblica. Nella mia città esiste un reparto di oncologia che, come si dice, è un’”eccellenza a livello nazionale” ed è anche guidato da una celebrità internazionale, il professor Ghidelli. Ebbene, questo reparto, che potrebbe consentire a tanti ammalati campani di evitare i tristissimi “viaggi della speranza”, sconta croniche e sempre più gravi carenze di personale e  nel mese di agosto sarà anche costretto a chiudere le degenze, con il risultato che malati di cancro in gravissime condizioni resteranno senza cure adeguate, se non potranno permettersi la sanità privata. Questi malati sono forse meno degni di amore, e quindi di interesse e mobilitazione, delle coppie gay? Non esiste forse una parola di Gesù, inequivocabile e impegnativa, che riguarda proprio l’assistenza ai malati?

Ovviamente, non si tratta affatto di mettere in concorrenza malati e gay, poveri italiani e poveri stranieri! Si tratta di capire che quest’uso indiscriminato dell’idea di amore è esposto a gravi rischi.

Il rischio più grave, per un uomo qualunque animato da nobili sentimenti, è che ben presto non si sappia neanche più che cosa significhi amore e ci si lasci trascinare semplicemente dalla corrente dominante, dalla moda del momento.

Il rischio più grave, per un cristiano, è che l’amore di cui si parla, l’amore in base a cui si sceglie di fare o di non fare qualcosa, l’amore che guida il proprio impegno, le proprie lotte e soprattutto il proprio annuncio, ammesso pure che conservi una sua valenza secondo la misura umana, abbia però poco o nulla a che vedere con l’amore biblico. E’ il rischio, antico e terribile, che si finisca per predicare “un altro Vangelo”, piuttosto che il Vangelo di Cristo.

E qui, cedo volentieri e doverosamente la parola a Bonhoeffer, citando da uno dei manoscritti di quella straordinaria opera – l’Etica - che il suo arresto lasciò purtroppo incompiuta. Questo manoscritto si intitola L’amore di Dio e la dissoluzione del mondo.

Scrive Bonhoeffer, tra l’altro:



“cadono qui tutte quelle definizioni che fanno consistere l’essenza dell’amore in un comportamento umano, in un atteggiamento, nella dedizione, nel sacrificio, nella volontà di comunione, nel sentimento, nella passione, nel servizio, nell’azione. Tutto questo, senza eccezione, può, come abbiamo appena udito esistere senza ‘amore’. Tutto ciò che siamo abituati a chiamare amore, quanto vive negli abissi dell’anima e nell’azione visibile, anzi pure quello che scaturisce dal cuore pio sotto forma di servizio fraterno verso il prossimo - può essere senza amore”



Nulla di nuovo, direte: lo sappiamo già che esistono gesti formalmente fraterni, opere esteriormente caritatevoli, che si fanno per pura ostentazione o per un malinteso senso del dovere o sperando in un tornaconto – qui o nell’altro mondo – e che quindi possono essere “senza amore”.

Bonhoeffer, tuttavia, sta esprimendo un’idea molto meno comune e scontata. Ciò accade, continua,



“non perché in ogni comportamento umano sia ancora sempre presente un ‘residuo’ di egocentrismo che oscura completamente l’amore, ma perché l’amore è qualcosa di totalmente diverso da quanto con quel nome si intende qui”.



Bonhoeffer vuol dire, semplificando, che si scambia l’amore secondo il metro umano con l’amore secondo la misura di Dio e che il primo – l’amore secondo gli uomini - è completamente, radicalmente diverso dal secondo – l’amore secondo la Bibbia.

Ma allora,



“Se dunque non esiste alcun immaginabile comportamento umano che in quanto tale possa essere detto senza ambiguità ‘amore’, se l’’amore’ si colloca al di là di ogni divisione in cui l’uomo vive, se d’altra parte tutto ciò che gli uomini intendono per amore e sono in grado di praticare è concepibile solo e sempre come comportamento umano in seno alla divisione data, rimane qui un enigma, una questione aperta che cosa possa mai essere per la bibbia l’’amore’.

La Bibbia non ci fa mancare la sua risposta. Questa risposta ci è anche abbastanza nota, solo che la fraintendiamo sempre di nuovo”.



Essa suona (e qui torniamo alla scritta che campeggia nella mia chiesa): Dio è amore (1 Gv 4,16). Tale proposizione, precisa Bonhoeffer, per amore di chiarezza,

“va anzitutto letta facendo cadere l’accento sulla parola Dio, mentre noi siamo abituati a farlo cadere sulla parola amore. Dio è amore, cioè non un comportamento umano, un atteggiamento, un’azione, bensì Dio stesso è amore”.



L’amore si può quindi conoscere solo come rivelazione di Dio, anzi nell’autorivelazione di Dio. Ma la rivelazione di Dio è Gesù Cristo. Pertanto:



“Non in noi, ma in Dio l’amore ha la sua origine: non un comportamento dell’uomo, ma un comportamento di Dio è l’amore. ‘In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio per perdonare i nostri peccati’ (1 Gv 4,10).

“L’amore è indissolubilmente legato al nome di Gesù Cristo quale rivelazione di Dio”.

“Alla domanda che cosa sia l’amore il Nuovo Testamento risponde molto chiaramente rinviando esclusivamente a Gesù Cristo. Lui è l’unica definizione dell’amore”.



Non mi pare che servano chiose o commenti. Mi limito a sottolineare ulteriormente che se quindi siamo capaci di amore autentico, nella debole misura in cui lo siamo, non è in virtù di una nostra capacità, ma solo grazie a “Cristo che vive in noi”;

Ne deriva una semplice conseguenza: non tutto l’amore, non qualunque cosa gli uomini chiamino amore o percepiscano come amore è santificato da Dio, dato che in tanto è possibile ed è degno della benedizione di Dio l’amore degli uomini in quanto esso risponde al suo amore nei loro confronti.

Ovviamente, i cristiani sono anche cittadini e le chiese sono comunità di cittadini e come tali – come cittadini e come comunità di cittadini – possono bene impegnarsi – anzi devono farlo -  per il riconoscimento e la regolamentazione di diritti, si tratti di migranti, di coppie omosessuali o di altri. Ma perché confondere i piani e cercare giustificazioni teologiche stravaganti (letteralmente extra vaganti rispetto alla Bibbia), perché voler aggiungere una benedizione di Dio, della quale comunque non disponiamo, a situazioni ed istituti a cui basta e avanza la semplice “benedizione” delle leggi civili? Perché mettere questi temi al primissimo posto della propria attività pubblica, diciamo così extracultuale, riducendola ad attività mono o bi-tematica e rischiando di generare incresciosi fraintendimenti ed evitabili malcontenti e proteste da parte di chi pensa, certo equivocando, che al Vangelo di Cristo si vada sostituendo il Vangelo dei migranti e dei gay?



L’amore forse vince tutto, ma certo non giustifica tutto.

Piuttosto che ridurre Bonhoeffer a un santino, da celebrare a ogni anniversario della tragica morte, dimenticando, rimuovendo o travisando per gli altri 364 giorni dell’anno il suo pensiero folgorante, le chiese e i cristiani farebbero bene a lasciarsi interpellare, e anche positivamente inquietare, da queste – come da altre – sue riflessioni.

Non un concetto indiscriminato, generico e onnicomprensivo dell’amore, non ciò che gli uomini – siano essi migranti o autoctoni, omo oppure eterosessuali - pensano, sentono e vivono come amore, che può avere pure la sua grande bellezza e certamente la sua legittimità morale e civile, ma che resta interamente sotto l’egida del peccato, ma l’amore come ci viene presentato nella Bibbia, l’amore che è Dio e che ci è stato rivelato e donato in Gesù Cristo, il quale è allora l’unica definizione dell’amore, questo amore dovrebbe essere il punto di partenza, il fondamento, il metro di misura dei cristiani e delle chiese, quando pensano, quando parlano, quando fanno le loro scelte di campo, quando si mobilitano, quando cercano di essere “luce del mondo”.

3 commenti:

  1. Caro Angelo non si può non essere d'accordo. Credo però che bisogna distinguere la posizione dei diritti dei gay da quelli dei migranti. Come dici è proprio partendo da Gesù che il credente è tenuto a dare aiuto e ospitalità, credo che non ti sfugga ciò (Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste). Penso che il "peccato" sia quello di pensare che ad aver bisogno sia solo colui che viene da lontano e non ci preoccupiamo più del fratello che siede accanto a noi in chiesa. Guardiamo così lontano che non riusciamo a vedere chi è più prossimo, scambiando il prossimo con il migrante. Ovviamente questa costatazione ci deve mettere nella condizione di guardare lontano e vicino e non di non guardare lontano. Sui diritti degli omosessuali ci vorrebbe credo molta più cautela, sono d'accordo.

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    1. Caro Giovanni, pienamente d'accordo, sia sulla necessita' di distinguere tra le due questio.i, sia sul dovere evangelico dell'accoglienza. Cio' che mi lascia perplesso, come hai ben detto tu, e' una certa tendenza a identificare il prossimo soprattutto o soltanto con il migrante dimenticandosi del prossimo piu' vicino a noi. Forse perche' e' piu' scomodo, piu' difficile, piu' impegnativo occuparsi del prossimo piu' vixino, sia che si tratti di un membro di chiesa sia che si tratti di un qualsiasi altro cittadino sofferente come ce ne sono tanti specie in una regione come la nostra, afflitta da cosi' gravi problemi sociali, di criminalita e di inquinamento ambientale. Grazie davvero per il tuo intervento.

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    2. Aggiungo che sulla questione gay una chiesa non può limitarsi a motivazioni giuridiche o di etica pubblica ma deve confrontarsi col testo biblico senza forzare il significato di certi passi nella direzione auspicata e senza liquidare sbrigativamente tutti quelli che vanno invece in direzione contraria. Non si tratta di stabilire cosa è giusto per noi è secondo la corrente dominante al momento ma che cosa è giusto agli occhi del Signore sulla base della testimonianza biblica interpretata certamente secondo i canoni della critica storica ma non certo violentata con il pretesto della critica storica.

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