Quando
entrai per la prima volta in una chiesa valdese, e precisamente in quella che
sarebbe diventata la mia chiesa, sapevo già con una certa precisione quello che
avrei trovato all’interno dell’edificio, anzi quello che non vi avrei trovato. Non avrei trovato immagini – statue o dipinti
– di santi, della madonna, di Gesù; non avrei trovato il crocefisso; non avrei
trovato marmi pregiati e ricchi mosaici. Sarei entrato in un ambiente spoglio,
nudo: il pulpito al posto dell’altare delle chiese cattoliche, il tavolo con la
Bibbia e la candela, le panche e nulla più. Questo lo sapevo già, per averlo
letto, studiato e anche insegnato per lunghi anni, prima ancora di essere
cristiano e protestante. Non ebbi quindi alcuna sorpresa. Ciò che invece mi
colpì e mi impressionò favorevolmente fu la grande scritta sulla parete di
fondo: “Dio è amore”. Approfondendo gli studi teologici, compresi che quella scritta
era perfetta, in quanto, per dirla con Gesù, l’amore racchiude tutta la legge e
i profeti e condensa il suo stesso Vangelo. L’amore di Dio, però, non l’amore
degli uomini! La scritta, quindi, non andrebbe equivocata e – come leggeremo
fra poco anche in Bonhoeffer - andrebbe letta correttamente ponendo l’accento
sulla parola “Dio” e non sul termine “amore”: Dio è amore, non Dio è amore.
Questo
equivoco, invece, dilaga oggi nelle chiese e tra i cristiani. Le chiese e i cristiani
tendono, infatti, a usare indiscriminatamente, acriticamente e talora anche un
po’ strumentalmente il concetto di “amore” per giustificare, approvare, sostenere
ciò che piace agli uomini – o almeno ad alcuni uomini - ma che non è affatto
certo che piaccia anche a Dio.
Il
primo problema sta nella definizione estremamente generica, approssimativa,
finanche confusa dell’amore, parola che può quindi essere piegata in qualunque
direzione e funzionare come uno scudo per mettere al riparo preventivamente da
qualunque possibile obiezione critica. Mi dichiaro per l’accoglienza senza
condizioni per qualunque migrante e di fronte al minimo accenno critico
controbatto che ciò è imposto dall’”amore cristiano”. Mi si avanzano delle
perplessità sulle unioni omosessuali, o almeno su alcuni aspetti, tipo il
diritto di adozione, o sulle manifestazioni cosiddette del “gay pride” e
rispondo, troncando ogni dibattito, che se una coppia si ama, tutto è lecito,
anzi che addirittura tutto è benedetto da Dio.
Il
punto debole, non ancora sul piano biblico, ma semplicemente su quello logico,
di questo concetto onnicomprensivo e di questo uso indiscriminato del concetto
di amore è che non si capisce perché l’amore per migranti o omosessuali debba
valere di più rispetto all’amore per altre categorie umane, perché le chiese protestanti
in Italia si mobilitino su questi due temi, mentre restano in silenzio su tanti
altri. Perché, per fare un solo esempio fra i mille che si potrebbero fare, non
si dedichi neanche un millesimo del tempo e delle energie che vengono
legittimamente dedicati a gay o migranti alla condizione di quei cittadini
gravemente ammalati che non possono più curarsi adeguatamente a causa dei tagli
alla sanità pubblica. Nella mia città esiste un reparto di oncologia che, come
si dice, è un’”eccellenza a livello nazionale” ed è anche guidato da una
celebrità internazionale, il professor Ghidelli. Ebbene, questo reparto, che
potrebbe consentire a tanti ammalati campani di evitare i tristissimi “viaggi
della speranza”, sconta croniche e sempre più gravi carenze di personale e nel mese di agosto sarà anche costretto a
chiudere le degenze, con il risultato che malati di cancro in gravissime condizioni
resteranno senza cure adeguate, se non potranno permettersi la sanità privata.
Questi malati sono forse meno degni di amore, e quindi di interesse e
mobilitazione, delle coppie gay? Non esiste forse una parola di Gesù,
inequivocabile e impegnativa, che riguarda proprio l’assistenza ai malati?
Ovviamente,
non si tratta affatto di mettere in concorrenza malati e gay, poveri italiani e
poveri stranieri! Si tratta di capire che quest’uso indiscriminato dell’idea di
amore è esposto a gravi rischi.
Il
rischio più grave, per un uomo qualunque animato da nobili sentimenti, è che
ben presto non si sappia neanche più che cosa significhi amore e ci si lasci
trascinare semplicemente dalla corrente dominante, dalla moda del momento.
Il
rischio più grave, per un cristiano, è che l’amore di cui si parla, l’amore in
base a cui si sceglie di fare o di non fare qualcosa, l’amore che guida il
proprio impegno, le proprie lotte e soprattutto il proprio annuncio, ammesso
pure che conservi una sua valenza secondo la misura umana, abbia però poco o
nulla a che vedere con l’amore biblico. E’ il rischio, antico e terribile, che
si finisca per predicare “un altro Vangelo”, piuttosto che il Vangelo di
Cristo.
E
qui, cedo volentieri e doverosamente la parola a Bonhoeffer, citando da uno dei
manoscritti di quella straordinaria opera – l’Etica - che il suo arresto lasciò purtroppo incompiuta. Questo
manoscritto si intitola L’amore di Dio e
la dissoluzione del mondo.
Scrive
Bonhoeffer, tra l’altro:
“cadono qui tutte quelle definizioni che
fanno consistere l’essenza dell’amore in un comportamento umano, in un
atteggiamento, nella dedizione, nel sacrificio, nella volontà di comunione, nel
sentimento, nella passione, nel servizio, nell’azione. Tutto questo, senza
eccezione, può, come abbiamo appena udito esistere senza ‘amore’. Tutto ciò che
siamo abituati a chiamare amore, quanto vive negli abissi dell’anima e
nell’azione visibile, anzi pure quello che scaturisce dal cuore pio sotto forma
di servizio fraterno verso il prossimo - può essere senza amore”
Nulla
di nuovo, direte: lo sappiamo già che esistono gesti formalmente fraterni,
opere esteriormente caritatevoli, che si fanno per pura ostentazione o per un
malinteso senso del dovere o sperando in un tornaconto – qui o nell’altro mondo
– e che quindi possono essere “senza amore”.
Bonhoeffer,
tuttavia, sta esprimendo un’idea molto meno comune e scontata. Ciò accade,
continua,
“non perché in ogni
comportamento umano sia ancora sempre presente un ‘residuo’ di egocentrismo che
oscura completamente l’amore, ma perché l’amore è qualcosa di totalmente
diverso da quanto con quel nome si intende qui”.
Bonhoeffer
vuol dire, semplificando, che si scambia l’amore secondo il metro umano con l’amore
secondo la misura di Dio e che il primo – l’amore secondo gli uomini - è
completamente, radicalmente diverso dal secondo – l’amore secondo la Bibbia.
Ma
allora,
“Se dunque non esiste
alcun immaginabile comportamento umano che in quanto tale possa essere detto
senza ambiguità ‘amore’, se l’’amore’ si colloca al di là di ogni divisione in
cui l’uomo vive, se d’altra parte tutto ciò che gli uomini intendono per amore
e sono in grado di praticare è concepibile solo e sempre come comportamento
umano in seno alla divisione data, rimane qui un enigma, una questione aperta
che cosa possa mai essere per la bibbia l’’amore’.
La Bibbia non ci fa
mancare la sua risposta. Questa risposta ci è anche abbastanza nota, solo che
la fraintendiamo sempre di nuovo”.
Essa
suona (e qui torniamo alla scritta che campeggia nella mia chiesa): Dio è amore (1 Gv 4,16). Tale proposizione, precisa Bonhoeffer, per amore di
chiarezza,
“va anzitutto letta
facendo cadere l’accento sulla parola Dio,
mentre noi siamo abituati a farlo cadere sulla parola amore. Dio è amore, cioè non un comportamento
umano, un atteggiamento, un’azione, bensì Dio stesso è amore”.
L’amore
si può quindi conoscere solo come rivelazione di Dio, anzi nell’autorivelazione
di Dio. Ma la rivelazione di Dio è Gesù Cristo. Pertanto:
“Non in noi, ma in Dio
l’amore ha la sua origine: non un comportamento dell’uomo, ma un comportamento
di Dio è l’amore. ‘In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma
è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio per perdonare i nostri
peccati’ (1 Gv 4,10).
“L’amore è
indissolubilmente legato al nome di Gesù Cristo quale rivelazione di Dio”.
“Alla domanda che cosa
sia l’amore il Nuovo Testamento risponde molto chiaramente rinviando
esclusivamente a Gesù Cristo. Lui è
l’unica definizione dell’amore”.
Non
mi pare che servano chiose o commenti. Mi limito a sottolineare ulteriormente
che se quindi siamo capaci di amore autentico, nella debole misura in cui lo
siamo, non è in virtù di una nostra capacità, ma solo grazie a “Cristo che vive
in noi”;
Ne
deriva una semplice conseguenza: non tutto l’amore, non qualunque cosa gli
uomini chiamino amore o percepiscano come amore è santificato da Dio, dato che in
tanto è possibile ed è degno della benedizione di Dio l’amore degli uomini in
quanto esso risponde al suo amore nei loro confronti.
Ovviamente,
i cristiani sono anche cittadini e le chiese sono comunità di cittadini e come
tali – come cittadini e come comunità di cittadini – possono bene impegnarsi – anzi
devono farlo - per il riconoscimento e
la regolamentazione di diritti, si tratti di migranti, di coppie omosessuali o
di altri. Ma perché confondere i piani e cercare giustificazioni teologiche
stravaganti (letteralmente extra vaganti rispetto
alla Bibbia), perché voler aggiungere una benedizione di Dio, della quale
comunque non disponiamo, a situazioni ed istituti a cui basta e avanza la
semplice “benedizione” delle leggi civili? Perché mettere questi temi al
primissimo posto della propria attività pubblica, diciamo così extracultuale,
riducendola ad attività mono o bi-tematica e rischiando di generare incresciosi
fraintendimenti ed evitabili malcontenti e proteste da parte di chi pensa, certo
equivocando, che al Vangelo di Cristo si vada sostituendo il Vangelo dei
migranti e dei gay?
L’amore
forse vince tutto, ma certo non giustifica tutto.
Piuttosto
che ridurre Bonhoeffer a un santino, da celebrare a ogni anniversario della
tragica morte, dimenticando, rimuovendo o travisando per gli altri 364 giorni
dell’anno il suo pensiero folgorante, le chiese e i cristiani farebbero bene a
lasciarsi interpellare, e anche positivamente inquietare, da queste – come da
altre – sue riflessioni.
Non
un concetto indiscriminato, generico e onnicomprensivo dell’amore, non ciò che
gli uomini – siano essi migranti o autoctoni, omo oppure eterosessuali -
pensano, sentono e vivono come amore, che può avere pure la sua grande bellezza
e certamente la sua legittimità morale e civile, ma che resta interamente sotto
l’egida del peccato, ma l’amore come ci viene presentato nella Bibbia, l’amore
che è Dio e che ci è stato rivelato e
donato in Gesù Cristo, il quale è allora l’unica definizione dell’amore, questo
amore dovrebbe essere il punto di partenza, il fondamento, il metro di misura
dei cristiani e delle chiese, quando pensano, quando parlano, quando fanno le
loro scelte di campo, quando si mobilitano, quando cercano di essere “luce del
mondo”.
Caro Angelo non si può non essere d'accordo. Credo però che bisogna distinguere la posizione dei diritti dei gay da quelli dei migranti. Come dici è proprio partendo da Gesù che il credente è tenuto a dare aiuto e ospitalità, credo che non ti sfugga ciò (Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste). Penso che il "peccato" sia quello di pensare che ad aver bisogno sia solo colui che viene da lontano e non ci preoccupiamo più del fratello che siede accanto a noi in chiesa. Guardiamo così lontano che non riusciamo a vedere chi è più prossimo, scambiando il prossimo con il migrante. Ovviamente questa costatazione ci deve mettere nella condizione di guardare lontano e vicino e non di non guardare lontano. Sui diritti degli omosessuali ci vorrebbe credo molta più cautela, sono d'accordo.
RispondiEliminaCaro Giovanni, pienamente d'accordo, sia sulla necessita' di distinguere tra le due questio.i, sia sul dovere evangelico dell'accoglienza. Cio' che mi lascia perplesso, come hai ben detto tu, e' una certa tendenza a identificare il prossimo soprattutto o soltanto con il migrante dimenticandosi del prossimo piu' vicino a noi. Forse perche' e' piu' scomodo, piu' difficile, piu' impegnativo occuparsi del prossimo piu' vixino, sia che si tratti di un membro di chiesa sia che si tratti di un qualsiasi altro cittadino sofferente come ce ne sono tanti specie in una regione come la nostra, afflitta da cosi' gravi problemi sociali, di criminalita e di inquinamento ambientale. Grazie davvero per il tuo intervento.
EliminaAggiungo che sulla questione gay una chiesa non può limitarsi a motivazioni giuridiche o di etica pubblica ma deve confrontarsi col testo biblico senza forzare il significato di certi passi nella direzione auspicata e senza liquidare sbrigativamente tutti quelli che vanno invece in direzione contraria. Non si tratta di stabilire cosa è giusto per noi è secondo la corrente dominante al momento ma che cosa è giusto agli occhi del Signore sulla base della testimonianza biblica interpretata certamente secondo i canoni della critica storica ma non certo violentata con il pretesto della critica storica.
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